L’anfiteatro romano di Volterra nel 2015 era “L’Anfiteatro che non c’era”, una sorta di claim pubblicitario che campeggia ora sulla vivacissima e seguita pagina Facebook dello scavo archeologico. Non c’era perchè nessuno ne sospettava neppure l’esistenza: nessuna fonte antica, nessun reperto riconosciuto, nessun sospetto che un edificio mastodontico giacesse silenzioso da forse oltre 1600 anni, in una vallecola verde di erba, di ortaggi e alberi da frutto a poca distanza dalla necropoli etrusca del Portone, con le cosiddette tombe dei Marmini.
Questa necropoli è, di fatto, la “fornitrice” di una gran parte del materiale conservato al museo Guarnacci, uno dei più antichi d’Europa. Un’area scavata dall’Ottocento in poi e non certo ignorata da generazioni di archeologi, di ricerche, di sopralluoghi.
Benchè poco più a sud del teatro romano di Vallebuona, la cui scoperta risale agli anni ’50 del XX secolo, e poco più a nord della Porta Diana, questo lacerto bucolico nell’area urbana di Volterra sembrava solo un vasto terreno collinare di fianco al cimitero, quello moderno, senza nessuna traccia visibile anche ad occhio esperto. E neppure i simpatici signori che si affacciavano dalla loro casa verso la vallata dell’Era, breve e vivace fiume che si butta in Arno, avevano mai sospettato che la loro scoscesa proprietà potesse nascondere una delle più importanti scoperte dell’archeologia classica recente in Italia.
Eppure, proprio le acque che poi finiscono nell’Era, avevano deciso di fare la loro parte nella scoperta. Il regime torrentizio del fiume è alimentato da quelle che gli arrivano veloci dai poggi soprastanti. Per tenerle sotto controllo da secoli i fossi e i torrenti più o meno regolati, che qui chiamano botri, sono essenziali. Il deflusso idrico dal colle di Volterra si era ridotto troppo a seguito di una serie di frane dovute al maltempo, e il Consorzio Idraulico del Basso Valdarno nell’estate del 2015 aveva iniziato i lavori di ripristino. E qui, per fortuna, scatta il buonsenso dell’archeologia preventiva, sotto il controllo della Soprintendenza Archeologica di Pisa (Sorge, 2016, p.249).
Il botro di Docciola fluiva attraverso un argine malmesso, dove l’acqua aveva scoperto un muro in panchino, la pietra che rappresenza l’essenza stessa della città, la spina dorsale dei suoi edifici. Una decina di metri in tutto, ma non dritti, curvi. E non molto curvi, una cosa appena accennata. Poi altri 7 metri, un po’ curvi. Poi altri 20 metri, ancora curvi. Insomma, un totale di 42 metri, manco a dirlo, tutti curvi.
“Sta a vedere che… Va beh, proviamo sulla parte opposta della vallecola…”. Ed ecco un altro saggio di scavo, e ancora due spezzoni murari. Non vi diciamo che aspetto avevano, avete già indovinato. Insomma, a settembre 2015 era chiaro che la struttura fosse ellittica, gigantesca, e appartenente (per tipologie murarie) a un edificio pubblico di epoca romana. Insomma, se due più due faceva ancora quattro, un edificio con ellittico con un asse di 87 metri ed uno di 68 non poteva che essere un anfiteatro. L’anfiteatro che non c’era. E che ad un lustro di distanza c’è eccome, e non smette di riservare grosse sorprese. Ecco il motivo per cui abbiamo scelto di raccontare i primi cinque anni di questa indagine archeologica nel primo videoreportage di ArchaeoReporter.
La sorpresa arriva in un altro settembre, quello del 2020, alle 15 del primo giorno. Il buco che si apre è quello tipico di una tana di un animale, magari un comune topo. Elena Sorge, l’archeologa della soprintendenza che si culla il suo scavo fin dal primo giorno, sa che bisogna procedere con prudenza comunque, come lo sanno i suoi collaboratori. Infatti il foro si allarga, poi ancora, s’intravvede un arco perfettamente conservato. Arriva una torcia elettrica, e si fa fatica a scrutare il fondo: è una galleria perfettamente conservata, almeno fin dove s’intuiscono possibili crolli più avanti. Serviva per portare gli spettatori da un ordine dell’anfiteatro all’altro.
Forse 8/10.000 poteva ospitarne la struttura, ma ovviamente mancano ancora i dati materiali per averne una visione definitiva. Nel frattempo il colpo d’occhio, rispetto a cinque anni prima, è radicalmente cambiato. Il valloncello bucolico ora è un grande scavo archeologico. Dalla parte verso Volterra affiorano, finalmente, i primi gradini, anche se spogliati dal loro rivestimento originario. Qui la struttura appoggia sulla roccia, a volte duramente e caparbiamente scavata. Dall’altra parte, invece, imponenti strutture murarie, i carceres, le nicchie, emergono ancora maestose nella loro ellissi. Lì l’anfiteatro era una struttura costruita in muratura, emersa dal suolo, mentre in altre zone i costruttori avevano guadagnato spazio sottraendolo alla roccia della collina.
A un certo punto lo scavo mostra chiaramente come gli architetti della romanizzazione di questo territorio etrusco non si siano fermati davanti a nulla, pur di segnare la città con il più romano di tutti gli edifici, l’anfiteatro. Nel momento in cui ci si avvicina al luogo dei combattimenti gladiatorii, l’arena, nell’ottobre 2020, emergono le varie fasi attraversate dall’edificio: quelle della sua destinazione ludica-rappresentativa originaria e quelle successive, dove il grande monumento si trasforma in un bivacco, in un luogo di passaggio, in una grande cava di materiali edilizi per la città medievale e anche, e soprattutto, in una sorta di Valle degli Orti di Volterra. E’ il momento in cui il gigante di pietra e roccia scompare dalla storia ed entra nelle pieghe degli strati archeologici, fino ad oggi. E’ il momento, anche, di raccontare in presa diretta lo scavo con questo video:
L’occasione rappresentata dagli scavi dell’anfiteatro di Volterra è stata colta in pieno dall’archeologia classica italiana, di cui sono in questo momento uno dei progetti più significativi. In primo luogo, come sottoninea la stessa Elena Sorge (qui, al minuto…), una struttura del genere non veniva scavata in modo sistematico da almeno mezzo secolo. Una base da cui partire per applicare un approccio di scavo interdisciplinare, a cominciare dai casi di studio per le tecniche non invasive: prima la tomografia elettrica 2D (ERT), poi il ricorso alla fotogrammetria in varie declinazioni, alla realtà aumentata per costruire modelli di scavo, per la creazione di database con informazioni colorimetriche, la progettazione di un app mobile per gestire le informazioni in un ambiente virtuale (Battini e Sorge, 2016).
Poi l’approccio con l’archeologia del paesaggio, per esempio a proposito dell’uso agricolo dell’area fino ai tempi recenti dopo la “fine” del monumento. Si tiene ben presente fin dall’inizio la possibilità di studiare tutte le fasi della struttura, a cominciare da quelle tarde, in relazione con il territorio e con quella che sarebbe poi stata la Volterra medievale. Una scoperta che porta al ripensamento del ruolo stesso della Volterra romana, perchè una città con l’anfiteatro mostra chiaramente di essere al centro di un interesse urbanistico che non si sospettava per la città ben dentro all’età imperiale. Insomma, queste e altre considerazioni per un’autentica palestra dell’archeologia classica, compreso un importante restauro iniziato subito a scavi archeologici in corso.
Come si ipotizzava fin dalle prime settimane di scavo, con dati confermati soprattutto dalla campagna del 2019, le dimensioni dell’ovale dell’anfiteatro di Volterra è ora valutato in circa 65 metri per l’asse minore e 82 per l’asse maggiore. Si può ormai affermare con certezza che è articolato e in tre maeniana, una cavea distinta in ima e media con un portico in summa cavea (Sorge, 2020). Possiamo già azzardare un primo confronto con altri anfiteatri. Se nulla infatti è paragonabile per dimensioni all’Anfiteatro Flavio (il Colosseo ha infatti dimensioni di 188 metri di lunghezza per 156), e neppure con quelli celebri di Arles e Nîmes che sono di oltre 130 metri per 100 (Brothers, 1989), si può valutare un paragone con strutture più vicine, come quella di Lucca, 107 per 79 metri, esempio classico di un riuso medievale di edifici pubblici romani.
Certamente la posizione urbanistica e la tecnica costruttiva lo rende già particolare di per sè: di solito gli anfiteatri sono costruiti senza sfruttare l’orografia, mentre questo si poggia in parte sulla collina e in parte interseca le rocce dell’area, riproponendo in misura minore quanto è visibile a Cagliari. Elena Sorge sottolinea che quello di Volterra abbia evidenti caratteri misti “con una duttilità di soluzioni che passa dallo sfruttamento del banco roccioso naturale o di vani compartimentati colmati da terra di riporto per il sostegno della cavea, alle sostruzioni voltate del settore nord/nord-est” (Sorge, 2020)
Appare piuttosto chiaro che la tecnica costruttiva sia debitrice di quella del vicino teatro, detta a filaretto (filari di pietre che contengono un riempimento di terra, sassi, malta e altro materiale), e che la struttura abbia avuto una sorte simile, quando il teatro fu gravemente danneggiato per un terremoto tra il terzo e quarto secolo.
La fase di abbandono dell’edificio, in epoca tardoantica, vide l’utilizzo delle strutture dell’anfiteatro come probabile rifugio o abitazioni di fortuna. Ci sono i resti dei fuochi accesi, numerose monete dell’epoca e altre testimonianze di cultura materiale in fase di analisi. E’ il momento della lunga spoliazione dell’edificio, che a questo punto potrà essere messa in relazione con le costruzioni medievali della zona. tutto questo mentre, a partire dal sesto secolo, l’arena si trasformava in un terreno agricolo, tra l’altro uno dei pochi pianeggianti a Volterra. Gli scavi hanno mostrato le opere di canalizzazione del Basso Medioevo ed i segni delle arature fino al Rinascimento e oltre. I canali di drenaggio sono spesso rafforzati dalle pietre ricavate dall’anfiteatro stesso (Sorge, 2020).
In fase di scavo gli archeologi si sono immediatamente accorti di come una pioggia abbondante portasse immediatamente molti metri cubi di fango nell’area di cantiere. Questo magari nel giro di 24 ore. Molto facile, quindi, immaginarsi come questa vallecola scoscesa fosse stata “obliterata”, ovvero ricoperta e dimenticata, nel corso dei secoli. Se infatti nel 2015 si pensava di dover rimuovere 25.000 metri cubi di terreno, quattro anni dopo i numeri parlavano già di 35.000 metri cubi, in un incessante lavoro di camion e di macchine movimento terra.
Quando nella prima settimana di settembre 2020 è apparso il sistema di ambulacri sotterranei, ben conservati (che verranno esplorati nel 2021, con l’aiuto dei vigili del fuoco di Pisa), si è aggiunto un altro tassello importante alla compensione del monumento. E questo vale anche per la scoperta del cuniculo circumpodiale, ossia il corridoio provvisto di volta che circondava l’arena. Ancora più recente la scoperta del corridoio voltato che circondava l’arena, con probabili funzioni di servizio per gladiatori, addetti ai servizi e forse anche le belve per gli spettacoli (Sorge, 2020). Da ultimo, appare evidente come sotto l’arena stessa si trovi un altro sistema sotterraneo, che si dovrà valutare con quali funzioni con il proseguimento degli scavi. Ci si può forse aspettare, ma qui mi gioco la carta della scommessa più che dell’ipotesi, un sistema complesso paragonabile ad anfiteatri tipo quello di Capua.
Ce n’è comunque abbastanza ritenere il monumento come un privilegiato campo d’azione da cui ricavare preziosi dati, soprattutto da mettere in confronto con altri edifici analoghi ancora solo parzialmente indagati. Una pietra angolare per la ricerca archeologica legata agli edifici pubblici romani in Italia
Nota tecnica: Lo scavo è diretto da Elena Sorge, funzionario della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Pisa, con a collaborazione di professionisti, tecnici dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Cuturale del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), studiosi dell’Università degli Studi di Firenze e di Pisa e della Detroit Foundation. Nel 2020 è eseguito da Cooperativa Archeologia.
Nota sui Finanziamenti: tra i primi a finanziare gli scavi la Fondazione e la Cassa di Risparmio di Volterra; poi la Direzione Generale Archeologia; il Comune di Volterra che ha acquisito e reso di proprietà pubblica il terreno dell’area di scavo; la Regione Toscana e i finanziamenti legati al concorso Art Bonus
EDIT (22 novembre 2020): ci segnalano cortesemente che negli ultimi 50 anni in effetti in Italia è stato scavato (e pubblicato) anche l’anfiteatro di Cividate Camuno, scoperto nel 1984 assieme al teatro (e non è l’unico soggetto di ricerca, agggiungiamo). Senz’altro diverso come “impatto”, non paragonabile come stato di conservazione e dimensioni, ma molto importante per gettare luce sui processi della presenza romana nell’arco alpino.
BIBLIOGRAFIA / REFERENCES
– Battini, C. and Sorge, E. (2016). Dynamic Management of Survey Data and Archaeological Excavation. The Case Study of the Amphitheatre of Volterra. Scientific Research and Information Technology Vol. 6, Issue 2 pp. 119-132
– Brothers, A.J. (1989). Buildings for Entertainment. In Barton, J.M, Roman Public Buindings. Exeter: University of Exeter Press, pp.97-125
– Sorge, E. (2016). La scoperta dell’Anfiteatro di Volterra. Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana 11/2015, Saggi (p. 241-276). Firenze: All’Insegna del Giglio
– Sorge, E. (2020) L’Anfiteatro che non c’era: la scoperta, lo scavo e la valorizzazione dell’anfiteatro romano di Volterra. Internal Report. Unpublished in november 2020.
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Autore: Angelo Cimarosti
Fonte: www.archaeoreporter.com, 22 nov 2020