Lungo l’antico tracciato della via Labicana, in località “Colle del Noce” a San Cesareo, durante una serie di scavi archeologici vennero alla luce i resti di una grande Villa romana, comprendente fra le altre cose una fontana monumentale, terme pubbliche e una vasta necropoli di più di 200 tombe (2010).
La villa, che si trova al XVIII miglio della via Labicana, è stata identificata con quella che le fonti attribuiscono a Giulio Cesare prima, e a Massenzio poi.
Per questi motivi essa è divenuta pubblicamente nota come la “VILLA DI CESARE E MASSENZIO”, secondo una definizione proposta dall’archeologo e studioso Emilio Ferracci, residente a San Cesareo e profondo conoscitore del territorio circostante e della sua storia archeologica.
Sono state disseppellite in una prima fase le strutture murarie appartenenti ad una residenza di alto prestigio di epoca tardo repubblicana, e successivamente, in posizione contigua, spiccati murari più elevati di età imperiale. L’estensione dei due complessi è gigantesca e nella prima fase di scavi copriva almeno 13.000 mq.
Svetonio (Caes.,83) ci narra in effetti di possedimenti di Cesare lungo la via Labicana e di una stessa villa, in cui l’uomo avrebbe redatto il proprio testamento, alle idi di settembre del 45 a.C.
Successivamente, fonti tarde come Eutropio e Aurelio Vittore nell’Epitome de Caesaribus riportano che la villa in labicano di Cesare fu restaurata nei primi anni del IV secolo d.C. da Valerio Massenzio. Fu proprio in una villa della via Labicana (le fonti riportano il VI miglio, ma il riferimento non corrisponde, e quello che deve essere stato evidentemente un errore di trascrizione, dato che il tratto di strada presso cui sorge la villa è il [X]VI[II], fu già chiarito dall’archeologo Giuseppe Tommassetti agli inizi del ‘900) che, secondo gli storici del tempo, Massenzio venne acclamato imperatore dai pretoriani il 28 ottobre del 306 d.C.
Se ciò non bastasse, l’attribuzione di questa villa che fu di Cesare e di Massenzio è stata resa inequivocabile dal rinvenimento di una importante epigrafe onoraria (CIL 14, 02825 e CIL 14, 02826) dedicata da Valerio Romolo al padre e alla madre:
– Domino patri / Marco Valerio Maxentio / viro clarissimo / Valerius Romulus clarissimus puer / pro amore / caritatis eius / patri benignissimo –
– Dominae matri / Val(eriae) Maximillae / nob(ilissimae) fem(inae) / Val(erius) Romulus c(larissimus) p(uer) / pro amore / adfectionis eius / matri carissimae –
A oriente del Colle della Villetta, appaiono delle grandi rovine di edificio romano, noto nel XIX secolo come “La Torraccia”. Si tratta di un ampio ninfeo, con una pianta centrale su due livelli. Quadrato all’esterno e circolare all’interno, esso presentava un piano superiore ottagonale, mentre nell’area inferiore, ai quattro angoli, c’era un’esedra circolare sovrastata di grandi finestre. La volta era decorata con lacunari ottagonali, mentre la decorazione parietale era formata da un rivestimento di marmi pregiati policromi.
Le misure dovevano essere impressionanti: 20,50 metri di diametro interno, per un’altezza di 18 metri. Dalla tecnica edilizia e dalla tipologia dell’impianto, il monumento si può datare con l’inizio del IV secolo, epoca in cui vi risiedeva l’imperatore romano Massenzio (fonte: fondoambiente.it).
A distanza di 10 anni, costellati da ostacoli burocratici di ogni genere, da tentativi di speculazione edilizia fortunatamente bloccati, dalla empasse della politica e da promesse elettorali di riqualificazione e messa a fruizione pubblica del sito archeologico, fino ad oggi, purtroppo, ancora disattese, a fronte di ulteriori timide indagini, la superficie interessata dall’immenso patrimonio di scavo ha raggiunto la dimensione esorbitante di 20.000 mq.
Stiamo parlando di un patrimonio immenso, di un sito archeologico di valore smisurato, che languisce nella dimenticanza.
Nel 2019, a seguito di bando pubblico che il sito è riuscito ad aggiudicarsi, sono stati stanziati 600.000 euro per la riqualificazione. Una cifra totalmente inadeguata, ma è un primo passo. Se non fosse che questi soldi sono puntualmente, ancora una volta, spariti nel nulla. I lavori di riqualificazione non sono mai iniziati, e con la sciagura COVID a interessare tutto l’anno in corso, il pericolo concreto è che passino altri 10 anni senza che nessuno faccia qualcosa.
Sento che è un mio dovere morale, non solo come cittadino, ma come appassionato di storia, come rievocatore, e come araldo della memoria di Massenzio, sollevare all’attenzione pubblica approfittando della visibilità che questo network mi offre, il caso della Villa di Cesare e Massenzio. Questi 10 anni di nulla dimostrano inequivocabilmente che l’unico modo per salvare questa Villa è creare un vasto richiamo all’attenzione pubblica, un movimento cittadino che pretenda la valorizzazione del patrimonio archeologico che è di tutti, italiani e non, e dovrebbe venire prima di qualsiasi interesse locale e privato. La paura della cittadinanza, avallata da diverse interrogazioni parlamentari, è che le speculazioni edilizie che avrebbero interessato il terreno dello scavo prima della scoperta della Villa, e che erano già state approvate sin dal 1998, non abbiano mai smesso di tentare di far rimuovere il vincolo archeologico che dal 2011 difende il sito, per poter procedere con interessi privati che nulla hanno a che vedere con la valorizzazione di questo importante patrimonio pubblico.
Mentre la Villa langue nell’abbandono e nella dimenticanza, i suoi tesori sono stati prelevati e disseminati fra diversi musei, più o meno conosciuti, in Italia e anche all’estero, con il risultato di svilire e mortificare il sito archeologico, depauperato dei suoi ritrovamenti più brillanti, in un ruolo di secondo piano, quasi a volerne far perdere tracce e memoria. Il sito invece andrebbe valorizzato e impreziosito con un museo che possa ospitare in maniera contestuale tutte le magnifiche opere d’arte ritrovate IN LOCO.
Mi sono rivolto al vostro sito perché ritengo che soltanto con l’interesse, la partecipazione, l’attenzione collettiva, si possa uscire dalla palude. Solo creando il giusto clamore intorno a questa vicenda si può forse tentare di fare pressione su istituzioni che sembrano fare dell’indifferenza e dell’inconsapevolezza delle persone la loro arma principale.
Allego una foto del sito, altre sono disponibili sulla pagina FAI e in rete, rimarcando che i lavori di scavo sono fermi da 10 anni, lì sotto se si potesse lavorare con serietà e liberamente si troverebbe probabilmente di tutto.
Autore: Marco Cecini – mcecini@gmail.com
Si può anche sostenere il recupero del sito archeologico votando sul sito FAI, fino al 15 di dicembre:
https://www.fondoambiente.it/.
Vedi anche questo video, nel corso del quale non solo viene spiegata la travagliata storia del sito, ma anche discussi e presentati tutta una serie di reperti e scoperte incredibili ritrovati durante gli scavi (in particolare dal minuto 35 segnalo l’intervento proprio dell’archeologo Emilio Ferracci): https://www.youtube.com/watch?