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VICENZA. Le ricerche dell’Università di Ferrara al Riparo del Broion rivelano il più antico sito abitato da Homo sapiens in Italia settentrionale.

Homo sapiens (per intenderci, noi!) è il traguardo di un lungo cammino evolutivo che ha portato il genere umano a prendere il sopravvento in tutto il mondo. Per questo, come, dove e quando questa specie si sia sviluppata è uno degli argomenti che più intriga gli archeologi.
Le prime evidenze di Homo sapiens si hanno in Africa circa 300.000 anni fa: da qui è iniziato un lungo cammino che ha portato questa specie a occupare pian piano tutti i continenti. Per chi si occupa di archeologia del Paleolitico, l’ingresso di Homo sapiens in Europa è un tema a dir poco scottante, in quanto il suo arrivo ha segnato (almeno cronologicamente) l’estinzione di un’altra specie umana che ha vissuto in Eurasia per centinaia di migliaia di anni, l’uomo di Neandertal. Tradizionalmente, infatti, si considera il passaggio dal Neandertal al Sapiens come l’evento segnante della transizione dal Paleolitico Medio al Paleolitico Superiore, che ha portato con sé numerosi cambiamenti tecnologici e culturali. Nello specifico, si associava il Musteriano (la fine del Paleolitico Medio) all’uomo di Neandertal, e l’Aurignaziano (l’inizio del Paleolitico Superiore) all’Homo sapiens.
La ricerca, però, ha dimostrato che la situazione è molto più complessa, e che l’evoluzione umana deve essere vista non come una linea retta, ma come un albero molto ramificato. Infatti, tra Musteriano e Aurignaziano esistono dei periodi cronologici, tra 44 mila e 42 mila anni fa, che vedono una convivenza, e probabilmente una mescolanza, tra Neandertal e Sapiens. Denominazione e limiti cronologici di questi periodi di transizione variano in base alle aree geografiche e alle evidenze archeologiche: in Italia, si parla di Uluzziano.
L’Uluzziano prende il nome dalla Baia di Uluzzo, situata in Salento, poco più a nord di Gallipoli, dove è stato identificato per la prima volta durante gli scavi del sito di Grotta del Cavallo. Si tratta di un complesso culturale riconosciuto finora solo in pochissimi siti del Mediterraneo centrale e del sud dei Balcani, e considerato la più antica espressione culturale dei primi uomini anatomicamente moderni nell’Eurasia occidentale. L’Uluzziano è riconoscibile grazie alla presenza, tra i ritrovamenti archeologici, di strumenti in pietra scheggiata realizzati con particolari tecniche o morfologie, di strumenti ricavati da ossa animali e di perline ornamentali ricavate da conchiglie lavorate. Recentemente, le ricerche condotte da parte dell’Università di Ferrara hanno portato alla scoperta di un nuovo sito Uluzziano, Riparo del Broion, per la seconda volta in Italia settentrionale dopo la famosa grotta di Fumane nel veronese. Questa scoperta allarga l’orizzonte dell’espansione culturale uluzziana, fino ad ora relegata all’Italia del sud, collocando i primi uomini anatomicamente moderni anche nel nord della penisola, circa 44 mila anni fa.
Riparo del Broion si trova sui Colli Berici, a 135 m sul livello del mare nei pressi del comune di Longare, in provincia di Vicenza. Si tratta di un riparo sotto roccia, una forma di abitato molto comune nel Paleolitico, costituito da una copertura creata in seguito al collasso di una parete rocciosa. Le ricerche dell’Università di Ferrara sono iniziate nel 1998, con i primi scavi sistematici portati avanti dal prof. Alberto Broglio e durati fino al 2008. Nel 2015 le ricerche sono state riprese dal prof. Marco Peresani e dal dott. Matteo Romandini, portando alla luce una sequenza stratigrafica che copre migliaia di anni di cultura paleolitica, ancora oggi in fase di scavo. Ciò che rende importante il Riparo del Broion è la scoperta di tre unità stratigrafiche appartenenti al complesso culturale dell’Uluzziano. Diversi specialisti sono intervenuti per lo studio della grande varietà di reperti recuperati. Tra questi, numerosi strumenti in pietra scheggiata, osservati e classificati in base alla loro morfologia e dimensione: questa prima selezione ha restituito più di 1200 reperti, che sono stati studiati singolarmente per capire il ruolo di ognuno di essi nel processo di produzione. La zona intorno al Riparo del Broion non è molto ricca di materia prima litica: gli studi, infatti, hanno dimostrato che per la produzione degli strumenti uluzziani è stata utilizzata selce proveniente da affioramenti vicini (Colli Euganei), ma anche lontani (Monti Lessini, a circa 60 km di distanza). I reperti litici più significativi sono i cosiddetti “pezzi scagliati”, realizzati con una particolare tecnica di scheggiatura in cui si poggia il blocco di selce su una superficie dura che funge da incudine: questa tecnica è tipica della lavorazione della pietra durante l’Uluzziano. Essa viene spesso praticata su strumenti già esistenti, che vengono in questo modo “riciclati” e adoperati per altre funzioni.
I livelli uluzziani di Riparo del Broion hanno restituito anche moltissime ossa animali. Gli oltre 37 mila frammenti recuperati sono stati identificati, separati in classi dimensionali e analizzati alla ricerca di modificazioni antropiche. Nella maggior parte dei casi si tratta di tracce di macellazione (in gergo, “cut-marks”) dovute allo sfruttamento della carcassa dell’animale per fini alimentari o per altro, e di tracce da combustione dovute alla presenza di almeno due focolari. Secondo le analisi archeozoologiche, gli elementi scheletrici ritrovati (soprattutto denti e ossa degli arti) appartengono a varie specie animali, tra cui spiccano l’orso delle caverne, il cinghiale e i cervidi. Sono presenti anche ritrovamenti più rari, come ossa di uccelli (tra cui il germano reale) e vertebre di pesce, probabilmente appartenenti a un luccio. Lo studio dei reperti faunistici è molto importante perché fornisce informazioni non solo sulle faune cacciate dall’uomo, ma anche sull’ambiente circostante, che nel caso dell’Uluzziano di Riparo del Broion doveva essere costituito per lo più da foresta con zone umide. Una più attenta analisi dei reperti recuperati dai sedimenti archeologici ha permesso anche l’identificazione di alcuni strumenti in osso. Per la loro realizzazione, dagli scarti del pasto venivano selezionate le ossa con morfologia simile a quella dello strumento desiderato, dopodiché venivano sagomante e appuntite con la pietra. A Riparo del Broion sono stati ritrovati quattro punteruoli, identificati grazie alla presenza di microscopiche raschiature sulla superficie dell’osso. Essi sono tipici dello strumentario uluzziano.
Infine, sono stati ritrovati dei frammenti di conchiglie adoperate come ornamenti personali, estremamente indicativi della cultura uluzziana perché rappresentano una delle manifestazioni simboliche di Homo sapiens. Riparo del Broion ha restituito tre conchiglie marine, provenienti dalla costa adriatica che, in quel periodo, era distante quasi 200 km dal sito. Esse sono state prima lavorate con uno strumento in pietra per ottenere una superficie piatta, e successivamente segate per ottenere delle “perline”. Un’altra conchiglia, stavolta di acqua dolce e di provenienza locale, è stata invece perforata per poi essere sospesa su un filo e probabilmente adoperata come collana; sulla sua superficie sono state trovate anche tracce di ocra rossa, un pigmento comunemente utilizzato nel Paleolitico. Le deduzioni riguardo alla funzione degli ornamenti e degli strumenti, così come per lo sfruttamento delle ossa, sono state possibili grazie all’osservazione dei reperti al microscopio ottico e, per quelli più significativi, al microscopio a scansione elettronica (SEM).
L’approccio multidisciplinare impiegato nelle ricerche a Riparo del Broion ha portato alla pubblicazione di un articolo scientifico sulla rivista internazionale Archaeological and Anthropological Sciences:
Peresani, M., Bertola, S., Delpiano, D. et al. Archaeol Anthropol Sci (2019). https://doi.org/10.1007/s12520-018-0770-z
Fin dall’inizio, le ricerche sono sotto la direzione scientifica dell’Università di Ferrara, grazie alla concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, e ai contributi di Regione del Veneto, Comune di Longare (VI), Fondazione Leakey, Fondazione CariVerona e Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. Recenti finanziamenti sono stati erogati dall’European Research Council (ERC) nell’ambito del Programma di Ricerca e Innovazione “Horizon 2020”, coordinato dal prof. Stefano Benazzi dell’Università di Bologna.
Le nuove scoperte a Riparo del Broion propongono questo sito come la meta di nuove popolazioni di Homo sapiens provenienti da est, e portatori di una nuova cultura e di nuove tecnologie riguardanti la produzione di strumenti e l’utilizzo di ornamenti personali carichi di una valenza simbolica che rende questa specie umana diversa da quelle che l’hanno preceduta. Molte sono ancora le cose da scoprire riguardo al rapporto tra questi nuovi arrivati e i Neandertaliani già presenti sui Colli Berici: per saperne di più non resta che continuare a scavare.

Autore: Eva F. Martellotta – eva.martellotta@gmail.com

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