Il poeta latino Ovidio (43 a.C.-17 d.C.), esiliato a Tomi (l’attuale Costanza, in Romania), sul Mar Nero, ricorda con mestizia la sua città: «Il mio animo non desidera campi che ho lasciato // o le grandi proprietà nella terra dei Peligni, // né i miei giardini sulle colline coperte di pini // che guardano la via Clodia alla giunzione con la Flaminia» (Ex Ponto I, 8 vv. 41-44). Il suo lamento, unica testimonianza letteraria della via, ricorda il tratto iniziale in uscita da Roma comune a Clodia, Flaminia e Cassia e suggerisce, per il contesto in cui è inserito, come il percorso fosse conosciuto e in uso nella prima età imperiale.
Le altre testimonianze, le epigrafi di curatores viarum (i responsabili pubblici delle vie romane, n.d.r.) vissuti tra la fine del I e il III secolo d.C. e la Tabula Peutingeriana – copia di un documento del III-IV secolo d.C. – sono piú tarde, benché la via Clodia sia considerata il risultato della riorganizzazione, in epoca repubblicana, della preesistente rete viaria etrusca. Questa collegava una serie di centri agricoli interni, passati nel III secolo a.C. sotto il controllo di Roma in seguito alla conquista delle grandi città etrusche di Tarquinia, Vulci, Cerveteri, Volsinii, Falerii.
Quando nacque la strada romana?
Quale simbolico, ma significativo, presidio del territorio, negli anni tra il 200 e il 144 a.C., si ebbe la fondazione di Forum Clodii, nel luogo i cui oggi sorge la chiesa dei SS. Marciano e Liberato, un paio di chilometri a nord di Bracciano, sull’altura prospiciente il lago e, nel 183 a.C., la trasformazione in colonia del centro etrusco di Saturnia.
Controversa è l’epoca della realizzazione del tracciato romano della via Clodia: alcuni la collocano fra il 225 e il 183 a.C.; altri, nella ricerca del magistrato eponimo, ne hanno attribuito la costruzione a Gaio Claudio Canina, console nel 273 a.C, oppure ad Aulo Claudio Russo, console nel 268 a.C., o, ancora, a Gaio Claudio Centone, censore nel 225 a.C. La via Cassia, esistente nel 187 a.C., coincideva nel primo tratto con la via Clodia, dalla quale si separava poco fuori Roma, nei pressi della località oggi denominata La Storta.
Gli interrogativi non solo sull’origine, ma anche sulla natura di via consolare in età repubblicana del percorso, possono trovare parziale risposta nell’analisi del popolamento del territorio compreso fra la litoranea tirrenica della via Aurelia e la direttrice della via Cassia. L’importanza dell’Etruria meridionale interna e dei suoi grandi centri nelle fasi dell’espansione romana a nord del Tevere è stata confermata dall’indagine topografica, che ha rilevato una cospicua presenza di ville rustiche e fattorie romane nelle piane fertili comprese fra i monti della Tolfa e Canale Monterano, Manziana e Bracciano, che si insediarono e svilupparono fra il III e il I secolo a.C.
Tale ruolo è coerente con la pratica di controllo del territorio conquistato tramite la costruzione di un asse viario, funzionale al presidio e a un rapido intervento militare, attraverso i preesistenti centri abitati; un’arteria che aveva anche la funzione di collegamento con gli insediamenti e le colonie di recente fondazione. A partire dall’età imperiale, nelle campagne dell’Etruria si diffondono le grandi proprietà delle ville rustiche, con l’impiego di numerosa manodopera servile, e un sistema di rapporti economico-politici che sopravvisse in queste regioni interne piú a lungo che sulla costa, sottoposta a frequenti invasioni.
La via Clodia continuò a svolgere un ruolo importante anche dopo la guerra greco-gotica in Italia (535-553): il trattato di pace tra Bizantini e Longobardi del 605, segnando la linea di confine tra le due potenze, sancí la definitiva spartizione della regione in Tuscia Langobardorum a est e Tuscia Romanorum (cioè bizantina) a ovest. In questo nuovo quadro politico la via Clodia assunse progressivamente il ruolo di asse portante della dominazione longobarda e di via diretta di collegamento fra Tuscania, caposaldo principale della zona controllata dalla nuova signoria germanica, e il Nord della Penisola.
La Tabula Peutingeriana è una carta stradale a colori del mondo antico che riporta le vie e i centri abitati con le distanze relative, i fiumi, i mari e altre caratteristiche geografiche del dominio di Roma in età imperiale. Si tratta di un documento medievale, eseguito nel XIII-XIV secolo e ricavato da un originale antico risalente al III-IV secolo d.C., a sua volta, forse, elaborazione di un documento precedente.
Il V segmento della carta rappresenta la città di Roma, con le strade che si dipartono a raggiera. Augusto, nel 20 a.C., aveva fatto collocare nel Foro, fra il tempio di Saturno e i Rostri, una colonna rivestita in bronzo dorato, il Miliarium Aureum, con i nomi delle principali città dell’impero e le distanze da Roma. Ancora oggi è visibile la base del monumento che costituiva il punto di partenza delle vie consolari. Il primo tratto della via Flaminia giunge sino al Ponte Milvio, ad Ponte Iulii, e riporta il numerale III, a 3 miglia dal Foro Romano (pari a 4,4 km), che corrispondono all’effettiva distanza. Subito dopo la strada inizia a dividersi e, presso la località Ad Sextum, ovvero dopo sei miglia dal Foro (4,4 km da Ponte Milvio a La Storta), compare il nome della via Clodia.
Careias, al miglio VIIII (pari al km 13,3), è la tappa successiva. La località è stata individuata nelle rovine di Galeria, poste sul rilievo a quota 131 sulla riva sinistra del fosso Arrone, circa 1 km a ovest di S. Maria di Galeria. Questa identificazione fa sorgere un problema in quanto la distanza delle rovine da La Storta è di circa 9 km; inoltre, evidenti tracce di pavimentazione basolata emergono molto piú a nord, sulla Riva della Casaccia, posta a circa 12 km dall’inizio della via Clodia. Dopo altri 2 km verso il lago di Bracciano si incontra il toponimo Cancelli Galera e, poco oltre, in località Le Crocicchie, agli inizi del secolo scorso, Thomas Ashby aveva individuato e fotografato un lungo tratto di selciato a poliedri.
Il percorso prosegue con la rappresentazione di un edificio che indica una struttura termale, o un centro di una certa importanza, seguito dal numerale VIII. Dalla costruzione si dipartono due vie: la superiore porta a Sutrio XII, quella inferiore Ad Novas VIIII. Possiamo collocarla, in base alla distanza di 26,5 km da La Storta, poco prima del lago di Bracciano. Nei pressi di Anguillara Sabazia, alle fonti dell’Acqua Claudia fu scavato il vasto complesso di una villa romana risalente al I secolo a.C. che utilizzava le sorgenti termali attive ancor oggi. Vi sono quindi le premesse per identificarla con il simbolo dell’impianto termale posto al bivio fra i due percorsi che lambiscono da nord e da sud il lago di Bracciano.
Ma ecco, qui di seguito, l’elenco delle località che potrebbero essere riferite alla via Clodia, anche sulla base delle testimonianze archeologiche a oggi individuate.
Ad Novas VIII, e, poco oltre, Foro Clodo Co. Sabate. L’approccio geografico all’interpretazione di questa cartografia antica evidenzia come la distanza indicata, 11,8 km, corrisponda a quella che separa la collina di S. Liberato, l’antico Forum Clodii poco a nord di Bracciano, dalle terme dell’Acqua Claudia. Non è ben chiaro il significato della sigla co, che nella Tabula collega anche altre località, tuttavia l’ipotesi piú convincente la ritiene elemento di collegamento fra due ubicazioni molto vicine.
Blera XXII. Da Forum Clodii, si raggiunge Oriolo Romano; proseguendo verso nord, sulla strada interpoderale fra il fosso di Fontegrillo e l’altura del Poggiaccio emergono alcuni basoli oramai dissestati. A Barbarano Romano, lungo il sentiero naturalistico della Macchia della Banditella, si incontrano continue teorie di poliedri, ove la strada è fiancheggiata da un monumento funerario oramai ridotto al solo nucleo. Superato il fosso Petrola attraverso il distrutto ponte Piro, Blera è raggiunta dopo circa 30 km, come indicato dalla Tabula.
Marta VIIII. La distanza indicata di 13,3 km non è sufficiente per raggiungere il fiume Marta, ma adeguata alla località di Norchia, nei pressi della quale si può collocare la tappa della Tabula.
Tuscania. Questo tratto non riporta alcuna indicazione per le distanze, tuttavia prima e dopo il paese di Tuscania sono ben evidenti i resti di pavimentazione stradale.
Materno XII. L’antica località di Maternum non è stata individuata con certezza; la distanza ricavabile dalla Tabula, 17,8 km dopo Tuscania e 26,6 da Saturnia, suggerisce di collocarla ai margini meridionali della Selva del Lamone, fra Ponte San Pietro, Farnese e Ischia di Castro.
Saturnia XVIII. Probabilmente il percorso toccava Pitigliano e Sovana, per poi salire al colle di Saturnia su antico basolato ed entrare in paese attraverso la Porta Romana.
Succosa VIII. A questo punto il percorso perde ogni logica: è indicato il collegamento con la costiera Aurelia a sud del Monte Argentario, presso Ansedonia (l’antica Cosa), con un tratto di soli 12 km, pari a un terzo della distanza effettiva, che implicherebbe una brusca deviazione a gomito e l’impervio superamento di una successione di rilievi. In mancanza di altri indizi possiamo attribuire questa incongruità a un errore del copista medievale e seguire l’ipotesi della prosecuzione verso Montorgiali, ove è ancora visibile l’antico manufatto che la tradizione chiama Ponte Romano, per giungere poi sino a Roselle.
Oltre alla Tabula Peutingeriana, un altro documento può essere utilizzato per ricostruire il tracciato della via Clodia: è l’Itinerarium Antonini, un elenco dei collegamenti fra varie località dell’impero romano giunto a noi attraverso la trascrizione in codici medievali, nei quali compare il nome con il quale è oggi designato; risale a un originale databile tra la fine del III e la metà del IV secolo d.C. È suddiviso in due sezioni: la prima, Itinerarium Provinciarum, elenca 256 percorsi terrestri; la seconda, Itinerarium Marittimum, riporta le principali rotte navali del Mediterraneo. La compilazione non indica le vie, ma le tappe e le miglia che le separano.
Un percorso definisce via Clodia il tragitto da Lucca a Roma, attraverso Firenze, Arezzo, Chiusi, Orvieto, Sutri. Questa attestazione, problematica – in quanto presenta un itinerario alternativo coincidente da Chiusi a Roma con quello della via Cassia –, non trova conferma in nessun’altra fonte. Potrebbe riferirsi a una denominazione della Clodia non tramandata da altri documenti, o a un errore di chi ha trascritto le tappe ricopiandole dalla carta geografica originaria, indotto dalla sovrapposizione fra le due vie nel primo tratto in uscita da Roma.
Diversa è l’opinione di Nevio Degrassi, il quale ritiene che proprio questa sia la via Clodia. La tesi è supportata dalla constatazione che, nelle epigrafi dei curatores imperiali, la via Clodia precede sempre tutte le altre, perché considerata piú importante della Cassia, Annia, Cimina, Amerina e Traiana; la via Clodia, o Claudia, che giungeva a Forum Clodii e Tuscania era solo di secondaria importanza. Senza dubbio la gerarchia viaria cosí interpretata è argomento suggestivo per spiegare le cariche conferite ai curatores, che altrimenti non troverebbero giustificazione dalla supervisione di una direttrice viaria interna, attraverso territori che in età medio-imperiale avevano perso importanza strategica, economica e demografica.
Autore: Pierluigi Banchig
Fonte: Archeo n° 358 Dicembre 2014
Vedi anche percorso SFA realizzato nel 2008: LA VIA CLODIA