Disegni tracciati sulla roccia. Simboli impressi nella pietra: immensi affreschi opera dei nostri antenati più lontani o oggetti d’uso quotidiano vivificati da immagini che ne rivelano un’importanza diversa da quelli di semplice utensileria.
È l’arte rupestre che racconta di secoli lontani del Paleotico e del Neolitico.
Al tempo delle prime aggregazioni sociali. Un mondo lontano millenni che ci parla ancora proprio attraverso questi documenti incredibili che hanno attraversato i secoli che con straordinaria somiglianza quasi che lo stesso «artista» abbia lasciato il suo segno in ogni continente di quella Terra antica.
Tracce sono in Canada a sud di Alberta al Kekip Rock; in Sud Africa dove i disegni policromi campeggiano nei pressi di Drakensberg; a Pilbara nel deserto occidentale australiano. E ancora in Francia, Kosovo, in Armenia sui monti Aragats. In Italia dalla Sardegna alla Valcamonica fino a Ischia di Castro in provincia di Viterbo.
L’arte rupestre ha una propria sintassi e grammatica ed è una forma di protoscrittura che può essere letta anche oggi.
L’annuncio di ciò che gli studiosi definiscono una «svolta epocale», arriva dal fondatore e direttore del Centro Camuno di Studi Preistorici, Emmanuel Anati, durante il simposio internazionale «L’arte rupestre nel quadro del Patrimonio Culturale dell’Umanità» che si è tenuto in Valcamonica.
L’Unesco ha inserito la valle lombarda, primo sito italiano ad entrarvi, nella Lista del Patrimonio Culturale Mondiale.
«Abbiamo lavorato due anni per creare una sinergia con i gestori del patrimonio culturale e la presenza di enti diversi e di una dimensione culturale così ampia a questo simposio rappresentano un importante elemento di rottura – ha spiegato Anati -. L’archeologia esce dal suo guscio e da disciplina descrittiva diventa analisi storica ed entra a far parte delle scienze umane».
Al convegno, articolato in cinque sezioni fondamentali, hanno partecipato studiosi provenienti da oltre 30 Paesi di tutto il mondo. Così per la prima volta è stata data una lettura di 19 reperti della Dordogna scoperti all’inizio del 1900.
«Sono stati descritti, ma mai letti prima – ha spiegato Emmanuel Anati -. L’analisi della struttura grammaticale e dell’arte hanno permesso di decifrarli: sono accordi per far accoppiare uomini e donne che appartengono a gruppi con simboli totemici diversi. Si tratta della prima testimonianza di contratti di matrimonio che risale a 30 mila anni fa».
Sesso, cibo e territorio sono i temi attorno ai quali è focalizzata l’arte dei popoli che fino oggi chiamavamo «senza scrittura». Così lo studio comparato rivela che le figure delle grotte francesi rispondono a modelli iconografici trovati nelle figure tracciate in Tanzania e Gobustan in Azerbaijan.
Il professor Anati chiama questi «archetipi logici» o «modelli universali» un linguaggio comune a popoli lontanissimi come se avessero una radice comune: un esperanto del Paleotico.
«La nuova tendenza della ricerca archeologica – ha spiegato il professor Anati del Centro Camuno – in particolare per quanto riguarda l’arte rupestre, è quella di considerare questa antichissima forma di arte come un documento storico, inteso come scrittura pittografia ma leggibile. Si tratta di una svolta di grande importanza, che apre nuove prospettive».
Il contributo principale è stato dato proprio dal Centro Camuno che ha portato all’attenzione degli studiosi tre importanti temi. Uno studio sulle antiche figure paleolitiche de La Ferrassie, in Dordogna, databili oltre 30 mila anni fa, la cui lettura ha rivelato si tratti di una associazione tra simboli femminili e animali totemici, atta a definire gli accoppiamenti in base a precise regole totemiche. In pratica si tratta dei più antichi contratti di matrimonio di nostra conoscenza. Un esempio di lettura di una roccia della Valcamonica istoriata con circa 64 figure, che rappresenta la narrazione di un mito riguardante uno spirito ancestrale della virilità. Si trattava di una composizione a scopo didattico, probabilmente eseguita per insegnare il mito alle giovani generazioni. Lo studio del più elementare segno dell’arte rupestre, il punto, esaminato nei suoi vari e sorprendenti significati, differenti a seconda dei contesti. Per esempio, il punto può essere interpretato come «fare» (inteso come verbo): se è accanto al simbolo di un piede vuol dire «camminare», se si trova in una scena di caccia, accanto alla rappresentazione di un animale, vuol dire «è questo l’animale che dobbiamo cacciare».
Il punto disegnato tra la gambe della rappresentazione di un essere umano indica il sesso femminile, tanti punti stanno ad indicare una quantità numerosa.
L’arte rupestre si scopre essere un linguaggio fondamentalmente simbolico in quadro rituale, mitico e magico. Ma può avere anche risvolti pratici atti a soddisfare necessità primari della società che li ha espressi. L’espressione simbolica ha quindi un ruolo fondamentale. Ne sono un esempio i ciotoli con simboli di «bovidi» tracciati su entrambi i lati rinvenuti nella Grotta delle Settecannelle a Ischia di Castro dove è stato trovato, tra l’altro, un giacimento di ossa di bovidi.
Gli archeologi sono arrivati anche a conclusioni diverse dagli studi precedenti, per esempio sul significato delle figure femminili rappresentate in molti siti in Europa. Le figurine femminili prodotte nel periodo Paleotico e Neolitico sono generalmente interpretate come simbolo del predominio maschile o come offerte religiose per ottenere fertilità.
Una nuova ipotesi interpretativa viene da Piero Giorni del Centro di studi europei di Gargnano che basandosi su studi comportamentali spiega la presenza di un gran numero di simboli femminili come l’affermazione della centralità della donna nel periodo Paleolitico e Neoltico.
«Riprodurre simboli e figure femminili – spiega lo studioso – era per l’artista un modo per celebrare l’importante ruolo che ricopriva la donna all’interno delle comunità non violente dell’epoca. Stiamo parlando dei primi 90mila anni dell’esistenza umana. A quel tempo il predominio dell’uomo e la violenza strutturale non erano ancora emerse».
La dottoressa Nuria Sanz ha inoltre ricordato l’importanza della Valcamonica, primo ed unico sito italiano di arte rupestre ad essere considerato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO (tra i 20 siti sparsi in tutto il mondo tutt’ora certificati), e la necessità di un piano di gestione e di conservazione di tutti i siti, con raccordi internazionali: «Uno sforzo necessario in quanto i siti di arte rupestre sono egualmente diffusi in tutto il mondo e rappresentano le radici comuni dell’umanità».
Mail: m.piccirilli@iltempo.it
Fonte: Il Tempo.it 13/07/2007
Autore: Maurizio Piccirilli
Cronologia: Preistoria