Quelle che sembravano iscrizioni prive di senso sarebbero in realtà i nomi delle leggendarie guerriere scite: “Fianchi Bollenti” o “Non Fallire”.
Sembravano scritte senza senso, invece nascondevano un segreto: i nomi delle Amazzoni, le leggendarie guerriere raffigurate dalla mitologia greca, e forse davvero esistite. In uno studio di prossima pubblicazione, Adrienne Mayor della Stanford University e David Saunders, curatore presso il J. Paul Getty Museum, ipotizzano che alcune scritte trovate su una serie di vasi greci siano in realtà traslitterazioni fonetiche dei nomi (anzi dei nomignoli) attribuiti alle mitiche guerriere nella lingua degli Sciti, un popolo nomade che nell’antichità si scontrò spesso con i Greci.
I due ricercatori hanno trasmesso le iscrizioni, che non hanno alcun senso in greco antico, al linguista John Colarusso, un esperto di lingue rare caucasiche. Senza avere nessuna indicazione sul contesto relativo e sulle raffigurazioni delle Amazzoni, Colarusso ha tradotto le scritte, che non sono altro che delle trascrizioni fonetiche, in nomi come “Principessa”, “Fianchi Bollenti”, “Non Fallire”. I risultati dell’analisi, che verranno pubblicati nel prossimo numero della rivista di studi classici Hesperia, offrono ai linguisti una comprensione senza precedenti della lingua che veniva parlata più di duemila anni fa intorno al Mar Nero, allora regno degli Sciti.
In pratica, gli artisti che crearono i vasi cercarono di trascrivere in caratteri greci il suono dei nomi sciti, e in questo modo si sono conservate le radici di una lingua molto antica e in parte sconosciuta. “Sono molto impressionata, e penso che le conclusioni dello studio siano plausibili”, commenta l’archeologa Ann Steiner, esperta di ceramica greca del Franklin&Marshall College di Lancaster, Pennsylvania. Lo studio inoltre avvalora l’ipotesi che gli ateniesi vennero a conoscenza dei nomi e delle leggende sulle Amazzoni dagli stranieri con cui avevano dei contatti.
Chi erano le Amazzoni?
Si è creduto a lungo che le Amazzoni fossero solamente delle figure mitologiche finché, spiega Mayor, gli archeologi non hanno portato alla luce sepolture scite di autentiche donne guerriere. “Le Amazzoni erano chiaramente figure esotiche e intriganti per i Greci. C’erano sicuramente rispetto e ammirazione, mescolati però con sentimenti contrastanti. Nel mondo greco le donne vivevano in condizione di inferiorità: per questo l’idea di donne che si vestivano e combattevano come uomini era in qualche modo eccitante”. Sui vasi, Colarusso ha scovato un’arciere donna soprannominata “Grido di battaglia”, una guerriera a cavallo chiamata “Degna di armatura” e altri nomi, come il già citato “Fianchi bollenti”, che forse avevano una connotazione più che altro erotica.
In una scena con due Amazzoni a caccia con dei cani, Colarusso ha trovato invece la traslitterazione di una parola abkhaza che significa “libera i cani”. Visto che anche le altre figure presenti sui vasi che rappresentano i classici eroi greci, come Achille o Ercole, sono caratterizzate dalla presenza dei loro nomi, i ricercatori hanno pensato che anche le scritte poste vicino alle amazzoni fossero i loro nomi e non delle semplici descrizioni. Molto probabilmente si tratta però di soprannomi o appellativi erotici, più che di nomi reali. Ancora oggi, spiega Colarusso, nel Caucaso gli abitanti spesso usano dei nomignoli piuttosto che rivelare i loro veri nomi.
Nel sesto e quinto secolo a.C. la ceramica ateniese era una merce molto ricercata che veniva commerciata in tutto il Mediterraneo; i vasi venivano utilizzati come contenitori per il vino e altre bevande offerte nei simposi e durante le feste, così le scene raffigurate spesso erano motivo di discussione e dibattito tra i partecipanti. Solo una piccola parte delle raffigurazioni erano però accompagnate da iscrizioni e tra queste, in più di 1.500 vasi, ci sono scritte “senza senso” che utilizzano combinazioni di lettere greche, ma che non formano in realtà parole di senso compiuto in greco antico.
I primi vasi ateniesi che raffigurano le Amazzoni risalgono al 550 a.C. circa, spiega Saunders. In seguito all’incursione scita in Tracia, una regione a nord della Grecia, le guerriere cominciano a essere raffigurate in abiti sciti, a cavallo e con archi e asce. Mayor ha avuto un’intuizione preziosa quando si è accorta che i vestiti delle Amazzoni sui vasi ricordavano gli abiti trovati in alcune sepolture scite: “ho avuto un presentimento: ‘E se queste scritte incomprensibili in realtà significassero qualcosa?'”.
Il vaso dell’oca
Per scoprirlo, Mayor ha chiesto al linguista Colarusso di tradurre delle iscrizioni senza senso trovate su un vaso in cui però non c’erano immagini di Amazzoni. “Mi è venuta la pelle d’oca quando ho realizzato che stavamo davvero decifrando dei suoni vecchi di 3.000 anni”, racconta Colarusso. La scritta in questione era posta su un vaso, ora conservato al Metropolitan Museum of Art di New York, in cui era raffigurata una rappresentazione teatrale che coinvolge una sorta di guardia e un’oca morta in un cestino.
Nella scena, alcuni personaggi pronunciano – come in un fumetto – delle frasi in greco, ma la guardia dice qualcosa che suona come “noraretteblo” che non ha nessun senso in greco. Colarusso ha tradotto la frase, che era in antico circasso, con “questo ladro furtivo deruba l’uomo laggiù”. Effettivamente ad Atene, nel periodo in cui venne prodotto il vaso, gli sciti erano impiegati come guardie urbane. Ancora oggi le lingue caucasiche possiedono parole in cui si ripetono suoni duri, come ‘kh’. Questi sono i suoni arcaici che venivano traslitterati sui vasi greci, spiega Colarusso.
Dare un senso al nonsenso
Per mettere alla prova le traduzioni, Mayor ha inviato a Colarusso altre frasi senza senso che non riusciva a tradurre. In alcuni casi, Colarusso ha tradotto queste parole in frasi di altri dialetti arcaici. Per esempio, senza aver visto l’immagine corrispondente che raffigura un arciere scita accanto ad un cane, ha tradotto le parole incise con “il cane è seduto vicino a lui”.
“Hanno fatto un lavoro davvero convincente”, commenta Anthony Snodgrass, classicista dell’Università di Cambridge che non ha partecipato allo studio. L’unica nota, dice Snodgrass, è il numero limitato di vasi utilizzati nella ricerca: solo una dozzina sui più di mille di cui si ha conoscenza. “Ora abbiamo molte domande a cui rispondere”, spiega Saunders, “per esempio, perché mai gli Ateniesi volevano che queste frasi comparissero sui loro vasi?”.
Tra l’altro molte di queste ceramiche sono state rinvenute in Etruria, dove i contatti con gli sciti dovevano essere molto rari. Ecco perché questa ricerca evidenzia la vasta interconnessione esistente nel mondo antico, in cui erano ancora attive le rotte commerciali dell’età del Bronzo, attraverso cui le merci viaggiavano, dalla Siberia alla Spagna.
Fonte: http://www.nationalgeographic.it, 10 ott 2014