Ricerche sulla nave lapidaria di epoca imperiale sepolta nei fondali di Kamarina. Rinvenuti marmi, anfore e un bozzello con cima ancora intatta.
Si è conclusa la terza campagna di archeologia subacquea in Sicilia condotta dall’Università di Udine, nell’ambito di un più ampio progetto di collaborazione scientifica con la Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana e il supporto dell’Institute of Nautical Archaeology di College Station (Texas, Stati Uniti), denominato Kaukana Project.
Il progetto prevede un organico programma di ricerca e studio delle testimonianze storico-archeologiche conservatesi lungo il litorale compreso tra le antiche città di Ispica, Kaukana e Kamarina, in provincia di Ragusa, finalizzato alla ricostruzione diacronica del paesaggio sommerso e costiero.
La scorsa estate l’Unità di archeologia subacquea (UAS) dell’Ateneo friulano ha concentrato le proprie ricerche nella baia di Kamarina, nel ragusano, dove, tra fine giugno e luglio 2019, è stato nuovamente messo in luce e rilevato un già noto relitto di una navis lapidaria di fine II secolo d.C., per sottoporlo ad una nuova indagine secondo le più recenti tecniche e tecnologie.
Kaukana Project è nato nel 2017 dalla volontà di Sebastiano Tusa, già Soprintendente del Mare e poi Assessore ai beni culturali della Regione Sicilia, ed è stato co-diretto dallo stesso Sebastiano Tusa e Massimo Capulli, docente di archeologia subacquea e navale del Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell’Università di Udine, fino alla tragica scomparsa di Tusa a marzo 2019 nel disastro aereo del volo Ethiopian Airlines. Capulli ha successivamente proseguito le ricerche la scorsa estate, anche in nome del collega scomparso, insieme alla Soprintendenza del Mare, che sta proseguendo con maggiore impegno e tenacia la divulgazione e la valorizzazione del patrimonio culturale attraverso le collaborazioni da tempo avviate con le Università, Enti di ricerca e Fondazioni italiane ed estere; la collaborazione con l’Università di Udine conferma tale impegno.
Il relitto di Kamarina
Obbiettivo della terza campagna, durata quattro settimane e che ha visto impegnati cinque operatori subacquei (tra ricercatori e studenti), è stato lo scavo e l‘avvio di uno studio tecnico-costruttivo dello scafo di una nave lapidaria di fine secondo secolo d.C.. Il sito sommerso si trova nella baia a sud del sito greco-romano di Kamarina, a circa 2 metri di profondità, sepolto da uno strato variabile compreso tra 1 e 2 metri di sabbia.
Il relitto, in parte già indagato in passato, trasportava due colonne monolitiche, semilavorate e lunghe poco più di 6 metri, di marmo giallo numidico. Si tratta di marmo caratterizzato dalla grana fine e compatta, con venature giallo-paglia, che arrivava a Roma dall’Africa fin dal I secolo a.C. e la cui esportazione continuò per tutto il III secolo d.C., risultando, nell’Editto dei prezzi di Diocleziano, il marmo più costoso.
A questo carico principale si aggiungevano altre merci e segnatamente blocchetti di marmo grigio e arenaria compatta, nonché anfore africane. Contenitore questo generalmente destinato al trasporto di olio e i cui luoghi di produzione si trovavano in territori corrispondenti all’odierna Tunisia.
Di notevole interesse è stato il recupero di un bozzello in legno a puleggia, ossia una carrucola usata per tendere e manovrare la velatura dell’imbarcazione, in perfetto stato di conservazione e con ancora una delle cime in posizione.
«Il relitto di Kamarina, preservatosi per circa 14 metri di lunghezza e 3 metri di larghezza – riferisce Massimo Capulli – rientra nella tipologia detta con “costruzione su guscio”, dove le tavole del fasciame vengono saldamente collegate fra di loro con funzione strutturale, mentre le ordinate sono solo di rinforzo. In questo caso l’assemblaggio del fasciame è atipicamente assicurato da un doppio ordine di incastri (mortase e tenoni) disposti in maniera sfalsata, verosimilmente per corroborare ulteriormente la tenuta dello scafo, destinato a carichi importanti».
«La campagna del 2019 – conclude Capulli – è stata estremamente fruttuosa. I nuovi dati raccolti da un relitto così importante sono un doveroso tributo all’amico Sebastiano Tusa: la sua lungimiranza rende oggi possibile pianificare con il Soprintendente Valeria Li Vigni anche le ricerche dell’estate 2020».
Lo scavo del relitto
Per poter studiare e documentare il relitto è stato necessario realizzare una ampia trincea longitudinale all’asse della nave. In particolare, l’indagine archeologica subacquea, svolta anche con finalità di esercitazione didattica, ha comportato l’impiego di una sorbona ad acqua per la rimozione della sabbia.
La difficoltà maggiore in basso fondale è costituita dalla necessità di procedere per piani inclinati che evitino lo scivolamento del materiale lungo le pareti dello scavo: il movimento della sabbia si arresta difatti solo al raggiungimento di una certa pendenza delle pareti nota come angolo di attrito.
La completa messa in luce dello scafo ha consentito di condurre rilievi diretti, riprese fotogrammetriche per generare un modello 3D e il prelievo di campioni per le analisi paleobotaniche.
Tutte le attività a mare sono state coordinate congiuntamente da Massimo Capulli con Fabrizio Sgroi della Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana con la collaborazione dell’Ufficio Locale Marittimo di Scoglitti della Capitaneria di Porto di Pozzallo.
Fonte: Università degli Studi di Udine – http://qui.uniud.it, 27 feb 2020