La storia dei rapporti culturali tra Trieste e l’Egitto è in realtà la storia dei rapporti con quel gran bazaar dell’oriente che era l’Impero Ottomano, continuamente attraversato tra il XVIII e il XIX secolo da pulsioni autonomiste e tentativi di riforma, brutali recrudescenze guerrafondaie e riformismi che tentavano (invano) di imitare il modello occidentale. In questo marasma di etnie e religioni, ideologie e interessi coloniali, si colloca la figura dimenticata di un armeno triestino, originario di Smirne, Pietro Jussuf, verso il quale Trieste e Vienna hanno un grande debito di riconoscenza per le collezioni egiziane, specie con riferimento al Kunsthistorisches Museum.
Il clima, tra la fine del settecento e i primi dell’ottocento, preannuncia l’Egittomania che si diffonderà dapprima nelle arti e nell’abbigliamento, identificandosi con il dominio napoleonico, proseguendo poi nell’ottocento con quella passione per i faraoni e la storia egiziana antica che rimane tutt’ora nella cultura pop(olare).
Pietro Jussuf nasce a Smirne nel 1778 da genitori armeni; successivamente si trasferisce a Trieste giovanissimo, a vent’anni, per sfruttare lo status di porto franco e dedicarsi al commercio. La richiesta di naturalizzazione risale al 1801 e lo vede socio della ditta armena “Giovanni Babich, Figli & Co“. Dopo una breve parentesi a Vienna (1809-1813) dovuta all’occupazione napoleonica di Trieste, Jussuf torna nella città con il governo austriaco, iniziando a tessere in questi primi anni della Restaurazione una ragnatela di rapporti con le autorità egiziane. Il ministro degli Esteri in Egitto, all’epoca, era il fratello di Jussuf, Boghos; e grazie al suo appoggio e alle perorazioni a Vienna, Pietro riuscì ad avere l’incarico di agente a Trieste degli interessi commerciali egiziani, in diretto collegamento con il vicerè d’Egitto Mehemet Alì Pascià. In quest’ambito sappiamo che Pietro Jussuf si era recato nella capitale austriaca su incarico del cavaliere de Stahl, presidente della Commissione Aulica per il Commercio, per discutere il tema delle relazioni con l’Egitto.
In quest’ambito, racconta, aveva già “insinuato a S.A. il Bascià in Cairo vari articoli dello Stato come: panni, acciai, ferramenta d’ogni specie, ottonami in assortimento, chioderie diverse, argento vivo, galloni d’oro e d’argento, cristalli di Boemia, contarie di Venezia, saglie e lastre dello stesso Paese”.
L’Egitto avrebbe in cambio offerto beni come il “caffè mocca, cotoni, asfori, gomma arabica e diversi altri prodotti dell’indie”.
Non sorprende pertanto che sia Jussuf, nel 1816, a fondare con il cugino Abram Abro una casa di intermediazione commerciale e finanziaria che “dialogasse” tra il porto di Trieste e Parigi, Londra, Marsiglia, Smirne e Alessandria d’Egitto. Gli affari giravano bene e dopo nemmeno dieci anni Jussuf è nella direzione della Società orientale d’Assicurazione, in compagnia con un altro nome d’eccezione, Cesare Cassis Faraone (figlio di Antonio Cassis). Nello stesso periodo Jussuf è anche azionista per le Assicurazioni Generali, come membro del Consiglio delle Amministrazioni (1833-35).
Il commercio con l’Egitto, i rapporti d’infanzia con Smirne, lo spiccato interesse per l’antichità permisero a Jussuf di dedicarsi alla sua autentica passione, il collezionismo “di oggetti d’arte e scienza“.
Quando l’imperatore Francesco I d’Austria visitò Trieste il 25 aprile 1818, incontrò anche lo stesso Pietro Jussuf, curiosando con grande interesse nel suo deposito di merci. Non era solo curiosità, perchè Jussuf quale agente commerciale dell’Egitto gestiva anche un lucroso commercio per l’impero austriaco. In quest’occasione Pietro gli mostrò due monumentali statue (vedi immagine) rinvenute dall’archeologo e avventuriero Giovanni Battista Belzoni.
Secondo quanto scriveva il quotidiano locale L’Osservatore Triestino si trattava di “due statue di nera pietra granita, recentemente scoperte nell’Egitto superiore rappresentanti due Isidi, le quali, sebbene abbiano più di trenta secoli, sono benissimo conservate e degne di formar parte dell’Imperiale Museo di antichità in Vienna, a cui vennero destinate”.
Una delle due era una statua della dea Sekhmet, tutt’ora ammirabile nella capitale dell’ex impero. Negli anni a seguire Jussuf continuò a donare un gran numero di oggetti d’arte salvati dalle distruzioni in Egitto al Museo di Vienna; a tal punto che il sovrano ritenette doveroso premiarlo con una medaglia d’oro. Ricordiamo, accanto agli oggetti, ad esempio la statuetta di un ippopotamo dell’età dei faraoni, come Jussuf fosse anche impegnato con il Consolato d’Austria ad Alessandria; pagava infatti di sua tasca le spese per gli studenti egiziani inviati a studiare medicina a Vienna.
Il fratello Boghos svolse un ruolo ancora maggiore dello stesso Pietro, perchè fu lui a procurare nel 1825 per la Congregazione Mechitarista di San Lazzaro degli Armeni la famosa mummia con sarcofago tutt’ora esposta nel monastero di Venezia (vedi immagine).
Si tratta di un sarcofago collocabile tra la fine del Terzo Periodo Intermedio e gli inizi della XXVI Dinastia (1069-525 a.C.); tra le poche mummie che conservi la reticella policroma originaria.
Alla sua morte (10 agosto 1846), avvenuta due anni prima che si scatenasse la rivoluzione del 1848, Pietro Jussuf lasciò in eredità un patrimonio di un milione e mezzo di fiorini che divise equamente tra le istituzioni religiose e scolastiche armene di Smirne, la città natale e gli enti assistenziali di Trieste, la città di adozione. Non a caso è ricordato come uno dei principali benefattori dell’Istituto dei Poveri.
Fonti:
– Collezione Egizia del Civico Museo d’Arte e Storia di Trieste, a cura di Franco Crevatin e Marzia Vidulli Torlo, Trieste, 2013.
– Anna Krekic e Michela Messina, Armeni a Trieste tra Settecento e Novecento: l’impronta di una nazione, Trieste, Civico Museo del Castello di San Giusto, 2008
Autore: Zeno Saracino
Fonte: triesteallnews.it, 3 ott 2020