La città di Torre Annunziata accoglie uno dei siti archeologici più ricchi di storia e di bellezza dell’area alle falde del Vesuvio e della Campania. Un sito, quello di Oplontis, che negli ultimi anni sta tornando ad acquisire la centralità che gli compete nel panorama archeologico e che accoglie un numero sempre maggiore di visitatori e di studiosi.
L’area degli scavi archeologici dell’antica Oplontis faceva parte della zona extraurbana di Pompei, nel territorio del cosiddetto ager pompeianus, afferente alla giurisdizione pompeiana.
Più che una vera e propria cittadina, questa zona alle porte della ben più sviluppata Pompei e ugualmente coinvolta inesorabilmente nell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., si configurava come area suburbana nella quale insistevano diverse ville rustiche e complessi termali sviluppatisi grazie all’abbondanza di acque, come testimoniato dalla prima testimonianza documentale in cui si rinviene la denominazione Oplontis, ovvero la Tabula Peutingeriana, copia di età medievale di un’antica carta di epoca romana che descriveva le vie dell’Impero.
I ritrovamenti in questa zona hanno portato alla luce la villa A, celebre come Villa di Poppea, lussuosa villa d’otium d’età romana, e la villa di Lucius Crassius Tertius (cd. Villa B) unità destinata ad attività commerciali e produttive con una parte ad uso abitativo posta al piano superiore.
L’individuazione di un’area archeologica afferente all’antica Oplontis risale al XVI secolo all’epoca della costruzione del Canale di Sarno voluta dal conte Muzio Tuttavilla per alimentare i mulini di sua proprietà situati in quella zona. L’interesse di natura archeologica per quest’area alle falde del Vesuvio risale al Settecento quando, sulla scia dell’entusiasmo suscitato dai ritrovamenti di Pompei, Ercolano e Stabiae, hanno inizio le esplorazioni, guidate dall’ingegnere militare Francesco La Vega, uno dei primi esploratori di Ercolano, anche nell’area oplontina dove viene scoperta la Villa di Poppea.
Purtroppo gli scavi vengono presto abbandonati anche a causa della poca salubrità dell’aria in quella paludosa zona percorsa da fiume Sarno e del temibile fenomeno della mofeta ovvero le esalazioni di anidride carbonica dalla potenziale letalità. Una seconda campagna di scavo, anch’essa presto interrotta a causa della mancanza di fondi e di un progetto coerente di esplorazione dell’area, comincia nel 1839. Prima di questa fase avvengono alcune scellerate speculazioni clandestine da parte dell’architetto tedesco Carl Zahn. Pur nella sua breve vita, questa seconda fase di esplorazioni, conduce ad un provvedimento che risulterà fondamentale per la tutela e conservazione del sito ovvero l’acquisizione dell’area da parte del demanio.
Solo nel secolo successivo, nel 1964 e dal 1968, ulteriori e più intensi scavi, condotti grazie all’interesse di un gruppo di appassionati oplontini, portano alla luce ulteriori parti della Villa di Poppea e, nel 1974, conducono alla scoperta di un secondo complesso, la Villa di Lucius Crassius Tertius e semi celato dalle costruzioni di epoca moderna. Proprio
all’interno di questa costruzione, nel 1984, avviene l’eccezionale scoperta dei cosiddetti “ori di Oplontis”, un prezioso tesoro di monete e gioielli che verosimilmente gli abitanti della villa tentavano di salvare dall’eruzione del Vesuvio in attesa di soccorsi dal mare.
Ma perché la villa A è intitolata alla seconda moglie di Nerone, quella Poppea Sabina che la storia e la storiografia dipinge ambiziosa e priva di scrupoli e che resterà imperatrice consorte fino al 62 d.C.? E’ un’iscrizione sul dorso di un’anfora, riferita ad uno dei suoi liberti, che ha condotto all’attribuzione della villa come afferente al patrimonio immobiliare, molto nutrito in Campania, della famiglia dell’imperatrice. Dagli scavi è emerso che la villa, distrutta dalla furia dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., fosse disabitata in quel momento a causa di una ristrutturazione in corso. Una prova a favore di questa tesi sta nel ritrovamento degli oggetti della villa accantonati insieme in alcune stanze. La villa presenta le caratteristiche tipiche delle ville d’otium che popolavano massicciamente il golfo di Napoli e si identifica come una vera e propria dimora di lusso costruita a picco sul mare. La spettacolare decorazione pittorica che impreziosisce gli ambienti, un complesso termale riservato ed alimentato dalle cucine, una lunga piscina di 61×17 metri adornata da numerose sculture e circondata da un rigoglioso prato, sono i segni dell’antica imponenza del complesso. A proposito di quest’ultimo aspetto, le possibilità che la villa ha offerto per la ricostruzione della composizione e collocazione dei giardini interni rappresentano un aspetto peculiare di questo sito anche rispetto ai più celebri siti vesuviani di Pompei ed Ercolano.
La villa di Lucius Cassius Tertius, oggi ancora non visitabile, prende invece il suo nome da un sigillo bronzeo ritrovato nell’area dell’edificio. A differenza dell’altra villa, questa era abitata al momento dell’eruzione del Vesuvio, come risulta dal ritrovamento di resti di corpi umani oltre che dei sopra citati gioielli in oro e argento. Inoltre, sulla base degli elementi rinvenuti, si classifica come unità produttiva per la produzione di vino e di altri prodotti. Le esplorazioni di queste due ville non sono ancora complete e potrebbero riservare ulteriori sorprese ed elementi per la speculazione archeologica e per l’ampliamento della fruizione al pubblico. Ad oggi la villa di Lucius Cassius Tertius non è visitabile, mentre l’area archeologica attualmente visitabile sta conquistando sempre più lo spazio che gli compete nel complesso delle meraviglie archeologiche alle falde del Vesuvio. L’area archeologica di Oplontis fa registrare un numero di visitatori ogni anno maggiore e la crescita dell’interesse della comunità scientifica e del pubblico rappresenta un’ottima base per approfondirne la conoscenza e per far sì che possa essere sempre più interessata dai flussi del turismo vesuviano.
Fonte: www.wesuvio.it, 6 gen 2020