Le tecnologie digitali più evolute in un progetto «open access» per resuscitare i documenti della scrittura più antica: è l’incrocio temporale che sta coinvolgendo i papiri del Museo Egizio di Torino, un patrimonio di circa 500 manoscritti interi e oltre 17 mila frammenti (in geroglifico, ieratico, demotico, greco, copto e arabo) che ne fa una delle collezioni più significative al mondo e la più ricca per quanto riguarda l’epoca pre-ellenistica.
Un materiale in larga parte inesplorato, che la fragilità e lacunosità del supporto espone a gravi problemi di conservazione e difficoltà spesso insormontabili di lettura.
Per valorizzare questo tesoro documentario il Museo torinese – in collaborazione con le università di Monaco, Leiden, Uppsala, Basilea, Liegi, Copenaghen e Lipsia – ha lanciato nel 2015 il progetto Turin Papyrus Online Platform (Tpop), che nel maggio scorso è stato insignito del prestigioso European Heritage Award / Premio Europa Nostra per la categoria ricerca. La cerimonia di consegna, ieri nel guariniano palazzo di via Accademia delle Scienze, è stata l’occasione per portarlo a conoscenza del grande pubblico.
«La nostra collezione appartiene al mondo, e dal mondo deve essere studiata», sosteneva Silvio Curto, sovrintendente del Museo per un ventennio dal 1964 all’84: nel solco di questa esortazione, che l’attuale direttore Christian Greco non ha dimenticato, il progetto metterà a disposizione di tutti il proprio patrimonio papiraceo in formato digitale.
Il programma si articola in diversi momenti: dapprima interviene il restauratore, che estrae i frammenti dalle cartelline in cui sono custoditi e provvede alla loro messa in sicurezza; quindi i frammenti vengono elaborati in immagini digitali ad alta risoluzione e collegati a metadati aperti, che ne registrano provenienza, caratteristiche fisiche, scrittura ed eventuali disegni, ed il tutto viene condiviso su Tpop, la piattaforma multiutente a cui si può accedere dal sito del Museo Egizio.
«Finora», spiega Greco, «abbiamo digitalizzato circa 1800 frammenti, grazie anche ai fondi di Crossing Boundaries, un sub-progetto messo a punto con le università di Basilea e di Liegi per lo studio dei papiri di Deir el-Medina, la comunità di artigiani che lavoravano alle tombe della Valle dei Re».
I documenti raccontano la vita quotidiana di un villaggio di età ramesside (circa 1291-1080 a.C.): testi amministrativi e giuridici, ma anche letterari, religiosi, magici, rituali. Dispersi però in migliaia di pezzetti. Tweet di tremila anni fa, che si tratta di ricomporre come un puzzle, inseguendo i contorni di frattura, le linee delle fibre vegetali, la distribuzione della scrittura, la grafia dei singoli scribi. Un lavoro difficilissimo, una sfida entusiasmante. «Abbiamo cercato di sviluppare un algoritmo per la ricomposizione automatica dei frammenti e per il riconoscimento delle scritture, applicando tecniche già utilizzate in ambito forense», dice Greco, «ma i risultati non sono ancora quelli sperati».
Per questo, come voleva Curto, è essenziale il contributo di tutto il mondo. Accedendo a Tpop è possibile «maneggiare» i frammenti, spostarli, combinarli. E questo apre la via allo scopo ultimo, che consiste nella decifrazione, traslitterazione, traduzione e interpretazione dei testi, presupposto della loro pubblicazione.
La piattaforma è aperta – basta fare richiesta sul sito dell’Egizio e in un paio di giorni si riceve la password per accedere e interloquire. Ma la possibilità di intervento sono soggette a limitazioni, a seconda delle competenze. «Esistono tre livelli», avverte Greco: «quello riservato al pubblico più vasto, che può entrare e vedere; quello dei dottorandi in discipline archeologiche, che possono suggerire interpretazioni e modifiche; e quello più ristretto degli specialisti egittologi che possono operare e modificare».
Il tutto sempre sotto la supervisione dei responsabili del progetto in ognuno degli istituti che ne fanno parte, e della coordinatrice generale, la papirologa dell’Egizio Susanne Töpfer.
Per completare il lavoro servirà un po’ di tempo – e il reperimento di nuovi fondi quando, tra due anni, si esaurirà Crossing Boundaries. Ma la strada è segnata: un archivio rimasto silente per trenta secoli tornerà a parlarci. È la nuova frontiera dell’archeologia, il passato dei faraoni è già nel futuro.
Autore: Maurizio Assalto
Fonte: www.lastampa.it, 13 ott 2020