Di considerevole potenza evocativa due granitiche sfingi fungono tuttora da sentinelle della maggior porta del duomo come già dovettero esserlo del lussuoso Iseion.
Due felini solenni e ieratici, abbastanza ben conservati a dispetto delle ingiurie del tempo e degli uomini osservano con impassibile noncuranza il fluido avvicendarsi di fedeli, pellegrini ,visitatori e occasionali curiosi che penetrano ombre e luci del Duomo di Teano.
La sfinge egizia, rappresentava una metafora visiva per “l’immagine vivente del re”. Era un leone con testa umana, con o senza finta barba. Si conoscono alcune sfingi femminili, come quella della regina Hatshepsut della XVIII dinastia, perfino una del giovane Re dalla maschera d’oro Neb-Kheperu-Ra meglio noto come Tutankhamon, ultimo Monarca di sangue reale della XVIII dinastia. Generalmente la sfinge è rappresentata come nel nostro caso con il tipico copricapo faraonico nemes. Era raffigurata sia distesa sia, con minor frequenza, eretta nell’atto di calpestare i nemici. Generalmente la si collocava all’ingresso dei templi con una definita correlazione con il dio del sole Amon-Ra. La si utilizzava anche come mezzo per determinare un percorso processionale di fronte al tempio o come connessione tra una cappella e l’altra. Gli Egizi la indicavano col nome di Shespankh, che significa in primo luogo “statua vivente”, con quel misto di slancio potente e di immobilità estrema, quasi che le molecole del suo granito vibrassero interiormente. La sfinge è “guardiana delle soglie proibite e delle mummie reali. Ascolta il canto dei pianeti, veglia sul limitare dell’eternità, su tutto ciò che è stato e che sarà. Vede scorrere in lontananza i Nili celesti e navigare le barche del sole.” (da “Il libro dei morti“).
La sfinge è simbolo strettamente connesso alla morte, al passaggio a un mondo al di là. Il suo sguardo “ha qualcosa di feroce nell’estasi e dà la sensazione del vuoto. Va diritto davanti a sé, ma in una direzione che non appartiene allo spazio, che non è di questo mondo.” Per gli Egizi antichi dunque essa esprimeva più la serenità del sapere che l’angoscia che le attribuirà la successiva tradizione ellenica. Più che all’insolubile enigma della vita, rimanda al punto d’origine: “si erge all’origine della storia come un’affermazione assoluta”.
Le sfingi di Teano sono ambedue anepigrafi, senza iscrizioni cioè. Rappresentate distese in postura ieratica su due bassi plinti, il corpo felino dalle forme naturalistiche espressivamente modellate, la tenue curva della criniera finemente scolpita. Il volto grande dalla guance piene, le palpebre pesanti, le labbra spesse lievemente corrugate agli angoli, in una di esse. La coda risulta ritorta in curva elegante sul corpo felino. La testa androcefala, ossia a testa d’uomo, dalle grandi orecchie a sventola, abbozza un enigmatico, stanco sorriso. La testa di quella di sinistra si presenta, invero, discretamente erosa. Il mitico animale è logorato da calamità, consunto dal tempo o più semplicemente è un non finito? La sfinge che di solito rappresentava le fattezze del Faraone del tempo, nel nostro caso doveva rivestire solo funzione apotropaica, in parole povere serviva a scongiurare un’influenza magica maligna. Non dimentichiamo il rilievo preponderante e reiteratamente ossessivo che i rituali magici rivestivano nell’Egitto faraonico, affiancandosi a una fervida religiosità paludata di mistero e fluttuazioni fortemente mistiche e simboliche. Prodotti in due o più esemplari questi fantastici animali erano posti ai lati di strade o ingressi, realizzati in granito provenienti dalle famose cave di Assuan o in altre varietà di marmo colorato.
Le nostre sfingi dovevano arredare il santuario di Iside sottoposto in parte almeno alla cattedrale e esendentesi nell’attuale area della piazza o forse più. A giusta ragione poteva e doveva consolidarsi anche a Teano crocevia di razze e culture il culto egittizzante di Iside, importato quasi sicuramente da veterani convertiti durante il servizio militare in Oriente e con la costante e intensa frequentazione della città immensa, splendida e strategicamente importante da parte di mercanti di origini orientali e di una folla cosmopolita dedita alle più svariate attività, prostituzione compresa. Secondo il Kemetismo, una specie di neoreligione pagana che si prefigge di ricostituire l’antica religione egizia, il giorno di Iside dovrebbe cadere il 5 di agosto. Strana e sicuramente casuale coincidenza con la festa di S. Paride. Nella prima settimana di agosto festeggiano la nascita di un nuovo ciclo corrispondente al sorgere della stella Sirio. Considerata l’importanza globale dei due documenti artistici sarebbe il caso di effettuarne una degna e meritevole riproposizione scenografica, anche con tabelle didattico-esplicative.
E’ stato più volte ripetuto almeno da tre anni o forse più, a chi di dovere e al prelibato architetto episcopale Di Sano.
Finora zorbe! Ci riusciremo per Pasqua?
Due felini solenni e ieratici, abbastanza ben conservati a dispetto delle ingiurie del tempo e degli uomini osservano con impassibile noncuranza il fluido avvicendarsi di fedeli, pellegrini ,visitatori e occasionali curiosi che penetrano ombre e luci del Duomo di Teano.
La sfinge egizia, rappresentava una metafora visiva per “l’immagine vivente del re”. Era un leone con testa umana, con o senza finta barba. Si conoscono alcune sfingi femminili, come quella della regina Hatshepsut della XVIII dinastia, perfino una del giovane Re dalla maschera d’oro Neb-Kheperu-Ra meglio noto come Tutankhamon, ultimo Monarca di sangue reale della XVIII dinastia. Generalmente la sfinge è rappresentata come nel nostro caso con il tipico copricapo faraonico nemes. Era raffigurata sia distesa sia, con minor frequenza, eretta nell’atto di calpestare i nemici. Generalmente la si collocava all’ingresso dei templi con una definita correlazione con il dio del sole Amon-Ra. La si utilizzava anche come mezzo per determinare un percorso processionale di fronte al tempio o come connessione tra una cappella e l’altra. Gli Egizi la indicavano col nome di Shespankh, che significa in primo luogo “statua vivente”, con quel misto di slancio potente e di immobilità estrema, quasi che le molecole del suo granito vibrassero interiormente. La sfinge è “guardiana delle soglie proibite e delle mummie reali. Ascolta il canto dei pianeti, veglia sul limitare dell’eternità, su tutto ciò che è stato e che sarà. Vede scorrere in lontananza i Nili celesti e navigare le barche del sole.” (da “Il libro dei morti“).
La sfinge è simbolo strettamente connesso alla morte, al passaggio a un mondo al di là. Il suo sguardo “ha qualcosa di feroce nell’estasi e dà la sensazione del vuoto. Va diritto davanti a sé, ma in una direzione che non appartiene allo spazio, che non è di questo mondo.” Per gli Egizi antichi dunque essa esprimeva più la serenità del sapere che l’angoscia che le attribuirà la successiva tradizione ellenica. Più che all’insolubile enigma della vita, rimanda al punto d’origine: “si erge all’origine della storia come un’affermazione assoluta”.
Le sfingi di Teano sono ambedue anepigrafi, senza iscrizioni cioè. Rappresentate distese in postura ieratica su due bassi plinti, il corpo felino dalle forme naturalistiche espressivamente modellate, la tenue curva della criniera finemente scolpita. Il volto grande dalla guance piene, le palpebre pesanti, le labbra spesse lievemente corrugate agli angoli, in una di esse. La coda risulta ritorta in curva elegante sul corpo felino. La testa androcefala, ossia a testa d’uomo, dalle grandi orecchie a sventola, abbozza un enigmatico, stanco sorriso. La testa di quella di sinistra si presenta, invero, discretamente erosa. Il mitico animale è logorato da calamità, consunto dal tempo o più semplicemente è un non finito? La sfinge che di solito rappresentava le fattezze del Faraone del tempo, nel nostro caso doveva rivestire solo funzione apotropaica, in parole povere serviva a scongiurare un’influenza magica maligna. Non dimentichiamo il rilievo preponderante e reiteratamente ossessivo che i rituali magici rivestivano nell’Egitto faraonico, affiancandosi a una fervida religiosità paludata di mistero e fluttuazioni fortemente mistiche e simboliche. Prodotti in due o più esemplari questi fantastici animali erano posti ai lati di strade o ingressi, realizzati in granito provenienti dalle famose cave di Assuan o in altre varietà di marmo colorato.
Le nostre sfingi dovevano arredare il santuario di Iside sottoposto in parte almeno alla cattedrale e esendentesi nell’attuale area della piazza o forse più. A giusta ragione poteva e doveva consolidarsi anche a Teano crocevia di razze e culture il culto egittizzante di Iside, importato quasi sicuramente da veterani convertiti durante il servizio militare in Oriente e con la costante e intensa frequentazione della città immensa, splendida e strategicamente importante da parte di mercanti di origini orientali e di una folla cosmopolita dedita alle più svariate attività, prostituzione compresa. Secondo il Kemetismo, una specie di neoreligione pagana che si prefigge di ricostituire l’antica religione egizia, il giorno di Iside dovrebbe cadere il 5 di agosto. Strana e sicuramente casuale coincidenza con la festa di S. Paride. Nella prima settimana di agosto festeggiano la nascita di un nuovo ciclo corrispondente al sorgere della stella Sirio. Considerata l’importanza globale dei due documenti artistici sarebbe il caso di effettuarne una degna e meritevole riproposizione scenografica, anche con tabelle didattico-esplicative.
E’ stato più volte ripetuto almeno da tre anni o forse più, a chi di dovere e al prelibato architetto episcopale Di Sano.
Finora zorbe! Ci riusciremo per Pasqua?
Autore: Giulio De Monaco
Fonte: IlMessaggioTeano.it, 19/03/2012