Le acque placide di una laguna, imbarcazioni cariche di merci esotiche e preziose, trattative tra mercanti greci ed etruschi, santuari colmi di fedeli e di doni votivi; in poche parole l’antico emporio greco-etrusco di Gravisca, affacciato sul Tirreno centrale ma in contatto con l’intero Mediterraneo.
Con il nome Graviscae era indicato, in età romana, il porto di Tarquinia (l’etrusca Tarchna) situato, tra i fiumi Marta e Mignone, sulla sponda settentrionale di una laguna, nell’attuale area delle Saline; quest’area era particolarmente adatta ad ospitare un porto per la ricchezza di acqua potabile, necessaria per rifornire le imbarcazioni prima della partenza, e per le caratteristiche morfologiche, capaci di rendere sicuro l’approdo.
I primi ad interessarsi all’area furono, col consenso dei Signori di Tarquinia, i mercanti provenienti dalla città di Focea, colonia greca sorta in un’area corrispondente all’attuale Turchia occidentale, nel 580 a.C.; questo insediamento assunse subito le funzioni di “emporium”, divenendo in tal modo utile ai mercanti greci per effettuare scambi commerciali con le genti etrusche del posto.
I Focesi, per ingraziarsi le divinità e gli indigeni, costruirono anche, presso l’emporio, un santuario dedicato ad Afrodite, l’etrusca Turan, al quale donarono oggetti preziosi quali un vaso realizzato secondo lo stile del Wild Goat (stile della capra selvativa), un calderone di bronzo decorato da teste di grifo di fabbricazione greco-orientale e una statuetta in bronzo raffigurante la dea Afrdoite armata di lancia e scudo, utilizzata probabilmente come statua di culto.
Il territorio destò ben presto l’attenzione degli etruschi del posto che vi stabilirono un abitato: Gravisca
L’emporio si affermò rapidamente e attirò persone, interessate a commerciare con la vicina città di Tarquinia, provenienti da ogni angolo del Mediterraneo; l’arcaica presenza di questi visitatori è oggi testimoniata dal ritrovamento di manufatti quali statuine di produzione greco-orientale raffiguranti la divinità egizia Bes, oggetti decorati da artigiani vissuti nell’area nilotica, vasi corinzi, ceramiche della Laconia (nel Peloponneso) e della Ionia (nell’attuale Turchia occidentale).
Quando, alla metà del VI secolo a.C., l’emporio di Gravisca fu raggiunto da mercanti provenienti da Samo, un’isola greca dell’Egeo orientale, il piccolo tempio di Afrodite fu ricostruito ed ampliato e fu edificato un secondo edificio sacro dedicato al culto di Era, in etrusco Uni, particolarmente caro ai nuovi arrivati.
Nel corso della seconda metà dello stesso secolo, intorno al 530/520 a.C., Gravisca fu raggiunta da molti mercanti greci provenienti da Egina e, conseguentemente, aumentò nell’emporio la presenza di prodotti di origine attica.
Il culto di Afrodite, in quegli anni, fu unificato a quello di Era e, per questo scopo, si edificò una nuova costruzione composta da un cortile e da due celle affiancate; Afrodite ed Era erano divinità caratterizzate, allo stesso tempo, da tratti comuni e da profonde differenze, queste ultime erano legate, in particolar modo, alla contrapposizione tra la pratica della prostituzione sacra, relativa al culto di Afrodite e diffusa anche a Gravisca, e la tutela del matrimonio, tipica del culto di Era.
Negli stessi anni si sviluppò, poco distante, un santuario dedicato alle divinità etrusche Suri (signore dell’Ade dotato di poteri oracolari) e Cavatha, assimilati dai greci rispettivamente ad Apollo e Persefone. Il nuovo spazio era chiuso da un muro di cinta ed ospitava un portico e due altari monumentali.
A Gravisca trovò venerazione anche Demetra, l’etrusca Vei, onorata con la donazione di ricchi oggetti di bronzo e avorio; il culto di questa antichissima divinità, legata alla coltivazione e alla fertilità della terra, era praticato presso un edificio autonomo ed era particolarmtne caro ai frequentatori greci provenienti dalla Sicilia; gli scavi effettuati nel sito di Gravisca hanno restiuito a questo proposito numerosi frammenti di ceramiche dedicate a Demetra o a Vei.
Tra il santuario di Afrodite e quello di Demetra sorgeva inoltre un edificio dedicato ad Adone.
L’emporio-santuario di Gravisca sembra essere stato per molto tempo ricco di beni e di vita ma, nonostante tanta fortuna, subì, tra il 470 e il 420 a.C., gli effetti negativi della crisi politico-economica che colpì in quel periodo il mondo etrusco.
Gli edifici presenti a Gravisca furono restaurati una volta sul finire dello stesso V° secolo a.C., secondo le regole di una tradizione etrusco-italica, e due volte nel corso del IV° secolo, prima di essere distrutti alla fine del III° secolo a.C. in seguito alla conquista del territorio tarquiniese da parte dei romani.
C. Calpurnius Piso, P. Claudius Pulcher e C. Terentius Istra fondarono infine, nel 181 a.C., la colonia romana di Gravisca nella zona dell’antico insediamento greco.
Il mondo costruito da Greci ed Etruschi stava finendo, destinato a rivivere solo negli scavi degli archeologi e nei racconti degli storici, mentre il Mediterraneo avventuroso e pericoloso degli antichi mercanti e pirati si stava trasformando nel sicuro Mare Nostrum dei Romani.
Autore: Giuseppe Fort