In un’alba nebbiosa del maggio 2009 due uomini si aggiravano tra i megaliti di Stonehenge, facendo scoppiare dei palloncini e registrando i suoni con un microfono al centro del cerchio. Non erano seguaci di culti pagani, ma ingegneri acustici: Bruno Fazenda dell’Universita’ di Salford e Rupert Till dell’Universita’ di Huddersfield.
Lo scopo era misurare la «risposta all’impulso», una sorta di impronta acustica del sito. L’accurata levigatura e curvatura delle superfici interne dei blocchi suggerisce che, probabilmente, gli antichi costruttori sapevano come ottenere effetti molto suggestivi. Poiche’ in 4 mila anni Stonehenge ha subito varie manomissioni e molti megaliti sono stati rimossi o giacciono a terra, i ricercatori inglesi sono andati anche a Maryhill, nello Stato di Washington, dove un cimitero militare ospita una versione in cemento di quella che doveva essere la struttura originaria dei sito inglese. I dati sembrano confermare che nel «magico» cerchio ogni parola poteva essere udita distintamente da ogni punto periferico. «Ovviamente a Maryhill e’ in gioco una maggiore energia acustica, perche’ lo spazio e’ chiuso da piu’ superfici e quindi ne ”scappa” fuori una minore quantita’ – commenta Renato Spagnolo dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica di Torino -.
Per la stessa ragione il tempo di riverberazione medio risulta piu’ lungo, circa 1,1 secondi, vale a dire quello che caratterizza una sala conferenze ben progettata, mentre sarebbe troppo breve per una buona resa musicale».
La ricerca, presentata da Trevor Cox, che insegna ingegneria acustica a Salford, ha dato visibilita’ all’archeoacustica, una disciplina che sta conquistando autorevolezza un po’ alla volta. Studiosi «di frontiera», come Paul Devereux, David Lubman o il musicologo italiano Walter Maioli, si occupano da tempo della dimensione sonora del mondo antico. E le scoperte si susseguono, partendo da una considerazione che non e’ affatto ovvia: solo da pochi secoli la visione ha preso il sopravvento sugli altri sensi, mentre in passato l’udito era fondamentale, in un mondo piu’ silenzioso e pericoloso di quello attuale. Ogni rumore poteva celare una minaccia. Ma gli stessi suoni della natura, oltre che la parola, il canto e la musica avevano anche significati sacri o magici, perche’ si riteneva che permettessero una comunicazione con la sfera divina e con i regni dei morti.
I ricercatori dell’archeoacustica sostengono quindi che grotte affrescate, ipogei, edifici e luoghi sacri venissero realizzati ponendo grande attenzione agli effetti sonori o «aurali» .
Al momento gli studi piu’ approfonditi sono quelli condotti sugli anfiteatri greci e romani: gli ingegneri conoscevano bene i principi fisici e nel tempo riuscirono a migliorare il rendimento acustico, utilizzando materiali compatti, aumentando l’altezza del palcoscenico, modificando l’angolazione e la disposizione delle gradinate e distribuendo tra queste vasi di bronzo con funzione di risonatori. L’opera di riferimento, a partire dal I secolo a. C., fu il «De Architectura» di Vitruvio. Un alone di mistero, invece, circonda le anomalie acustiche nel sito Maya di Chiche’n Itza, in Messico, costruito tra l’XI e il XIII secolo.
Le parole sussurrate a un’estremita’ del piu’ vasto dei campi per il gioco della palla, lungo 166 metri e largo 68, sono udibili dalla parte opposta grazie a fenomeni di focalizzazione e concentrazione del suono noti come «whispering galleries». Inoltre, ogni suono prodotto nel centro dell’area crea nove echi distinti. Non solo. C’e’ anche la performance della piramide a gradoni di Quetzalcoatl, nota come El Castillo.
Le guide che accompagnano i turisti si esibiscono spesso in un piccolo show: un battito di mani, rimbalzando sui gradoni, si trasforma come per magia nel cinguettio del Quetzal, l’uccello sacro oggi quasi estinto. Anche a Malta si sono registrati fenomeni sorprendenti: l’Ipogeo di Hal Saflieni, straordinario complesso di grotte e camere rituali scavate tra il 3600 e il 2500 a.C., presenta un’acustica eccezionale. «E’ come stare dentro una gigantesca campana – commenta Linda Eneix, della Old Temples Study Foundation -. Il suono penetra nelle ossa, non solo nelle orecchie». Ma le analisi piu’ impressionanti, forse, restano quelle del gruppo «Princeton Engineering Anomalies Research», diretto dal fisico Robert Jahn: negli Anni 90 ha condotto vari test in siti megalitici risalenti a 5 mila anni fa, come Wayland’s Smithy e Cairn Euny nel Regno Unito o Newgrange e Cairns in Irlanda: gli ambienti, sebbene di struttura diversa, mostrano una buona risonanza a una frequenza media di 110-112 Hz, frequenza che e’ presente nella gamma vocale umana, soprattutto nei toni gravi dei baritoni.
Basandosi su queste e altre ricerche, lo psichiatra Ian A. Cook dell’Universita’ di California a Los Angeles ha condotto uno studio su 30 volontari e ha dimostrato che i suoni di frequenza 110 Hz modificano l’attivita’ cerebrale, «silenziando» la regione temporale sinistra e causando «asimmetrie operative» nella corteccia prefrontale, dovute a una predominanza dell’emisfero destro. Il risultato e’ che i centri del linguaggio vengono depotenziati, mentre sono favoriti i processi emozionali. E’ probabile, quindi, che in molte strutture cerimoniali la salmodia o il canto risuonassero con un’eco profonda, che induceva lo stato di trance e favoriva il passaggio a dimensioni «altre».
Ma c’e’ chi e’ risalito ancora piu’ indietro: Igor Reznikoff, dell’Universita’ di Parigi X, ha studiato l’acustica di alcune grotte francesi affrescate nel Paleolitico, come quelle di Niaux, Arcy-sur-Cure e Rouffignac. Ha concluso che le pitture rupestri venivano realizzate proprio sulle pareti e sulle volte che restituivano i suoni con maggiore efficacia. Bastavano pochi rumori o un grido per far «rivivere» le scene di caccia raffigurate sulla roccia, trasformando quelle cavita’ in sale cinematografiche della preistoria.
Lo scopo era misurare la «risposta all’impulso», una sorta di impronta acustica del sito. L’accurata levigatura e curvatura delle superfici interne dei blocchi suggerisce che, probabilmente, gli antichi costruttori sapevano come ottenere effetti molto suggestivi. Poiche’ in 4 mila anni Stonehenge ha subito varie manomissioni e molti megaliti sono stati rimossi o giacciono a terra, i ricercatori inglesi sono andati anche a Maryhill, nello Stato di Washington, dove un cimitero militare ospita una versione in cemento di quella che doveva essere la struttura originaria dei sito inglese. I dati sembrano confermare che nel «magico» cerchio ogni parola poteva essere udita distintamente da ogni punto periferico. «Ovviamente a Maryhill e’ in gioco una maggiore energia acustica, perche’ lo spazio e’ chiuso da piu’ superfici e quindi ne ”scappa” fuori una minore quantita’ – commenta Renato Spagnolo dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica di Torino -.
Per la stessa ragione il tempo di riverberazione medio risulta piu’ lungo, circa 1,1 secondi, vale a dire quello che caratterizza una sala conferenze ben progettata, mentre sarebbe troppo breve per una buona resa musicale».
La ricerca, presentata da Trevor Cox, che insegna ingegneria acustica a Salford, ha dato visibilita’ all’archeoacustica, una disciplina che sta conquistando autorevolezza un po’ alla volta. Studiosi «di frontiera», come Paul Devereux, David Lubman o il musicologo italiano Walter Maioli, si occupano da tempo della dimensione sonora del mondo antico. E le scoperte si susseguono, partendo da una considerazione che non e’ affatto ovvia: solo da pochi secoli la visione ha preso il sopravvento sugli altri sensi, mentre in passato l’udito era fondamentale, in un mondo piu’ silenzioso e pericoloso di quello attuale. Ogni rumore poteva celare una minaccia. Ma gli stessi suoni della natura, oltre che la parola, il canto e la musica avevano anche significati sacri o magici, perche’ si riteneva che permettessero una comunicazione con la sfera divina e con i regni dei morti.
I ricercatori dell’archeoacustica sostengono quindi che grotte affrescate, ipogei, edifici e luoghi sacri venissero realizzati ponendo grande attenzione agli effetti sonori o «aurali» .
Al momento gli studi piu’ approfonditi sono quelli condotti sugli anfiteatri greci e romani: gli ingegneri conoscevano bene i principi fisici e nel tempo riuscirono a migliorare il rendimento acustico, utilizzando materiali compatti, aumentando l’altezza del palcoscenico, modificando l’angolazione e la disposizione delle gradinate e distribuendo tra queste vasi di bronzo con funzione di risonatori. L’opera di riferimento, a partire dal I secolo a. C., fu il «De Architectura» di Vitruvio. Un alone di mistero, invece, circonda le anomalie acustiche nel sito Maya di Chiche’n Itza, in Messico, costruito tra l’XI e il XIII secolo.
Le parole sussurrate a un’estremita’ del piu’ vasto dei campi per il gioco della palla, lungo 166 metri e largo 68, sono udibili dalla parte opposta grazie a fenomeni di focalizzazione e concentrazione del suono noti come «whispering galleries». Inoltre, ogni suono prodotto nel centro dell’area crea nove echi distinti. Non solo. C’e’ anche la performance della piramide a gradoni di Quetzalcoatl, nota come El Castillo.
Le guide che accompagnano i turisti si esibiscono spesso in un piccolo show: un battito di mani, rimbalzando sui gradoni, si trasforma come per magia nel cinguettio del Quetzal, l’uccello sacro oggi quasi estinto. Anche a Malta si sono registrati fenomeni sorprendenti: l’Ipogeo di Hal Saflieni, straordinario complesso di grotte e camere rituali scavate tra il 3600 e il 2500 a.C., presenta un’acustica eccezionale. «E’ come stare dentro una gigantesca campana – commenta Linda Eneix, della Old Temples Study Foundation -. Il suono penetra nelle ossa, non solo nelle orecchie». Ma le analisi piu’ impressionanti, forse, restano quelle del gruppo «Princeton Engineering Anomalies Research», diretto dal fisico Robert Jahn: negli Anni 90 ha condotto vari test in siti megalitici risalenti a 5 mila anni fa, come Wayland’s Smithy e Cairn Euny nel Regno Unito o Newgrange e Cairns in Irlanda: gli ambienti, sebbene di struttura diversa, mostrano una buona risonanza a una frequenza media di 110-112 Hz, frequenza che e’ presente nella gamma vocale umana, soprattutto nei toni gravi dei baritoni.
Basandosi su queste e altre ricerche, lo psichiatra Ian A. Cook dell’Universita’ di California a Los Angeles ha condotto uno studio su 30 volontari e ha dimostrato che i suoni di frequenza 110 Hz modificano l’attivita’ cerebrale, «silenziando» la regione temporale sinistra e causando «asimmetrie operative» nella corteccia prefrontale, dovute a una predominanza dell’emisfero destro. Il risultato e’ che i centri del linguaggio vengono depotenziati, mentre sono favoriti i processi emozionali. E’ probabile, quindi, che in molte strutture cerimoniali la salmodia o il canto risuonassero con un’eco profonda, che induceva lo stato di trance e favoriva il passaggio a dimensioni «altre».
Ma c’e’ chi e’ risalito ancora piu’ indietro: Igor Reznikoff, dell’Universita’ di Parigi X, ha studiato l’acustica di alcune grotte francesi affrescate nel Paleolitico, come quelle di Niaux, Arcy-sur-Cure e Rouffignac. Ha concluso che le pitture rupestri venivano realizzate proprio sulle pareti e sulle volte che restituivano i suoni con maggiore efficacia. Bastavano pochi rumori o un grido per far «rivivere» le scene di caccia raffigurate sulla roccia, trasformando quelle cavita’ in sale cinematografiche della preistoria.
Autore: Cinzia Cianni
Fonte: La Stampa, Tuttoscienze, 26 gennaio 2011