Un luogo dove archeologia e leggenda, storia e mito si fondono: Stonehenge. La straordinaria struttura – un cromlech (letteralmente “circolo di pietra”) del Neolitico – offre da decenni preziosi scorci sulla vita e la ritualità dell’età della pietra, non ultimo il suo probabile ruolo di “osservatorio astronomico” e calendario dei solstizi d’estate. E continua a farlo: al punto che questa settimana, cinquemila anni dopo la sua costruzione, un team di scienziati dichiara di aver capito come hanno fatto i suoi “sarsen” – i grandi blocchi di arenaria, originariamente 80 e oggi 52 – a reggere così bene la prova del tempo. Il segreto? Un cuore di quarzo. I cristalli, contenuti nei megaliti, formano una struttura a incastro che rende i massi quasi indistruttibili.
Lo studio è stato frutto di un caso: un membro del team che restaurò il sito negli anni Cinquanta, Robert Phillips, aveva prelevato un pezzo di roccia lungo circa un metro dalla “Stone 58” per portarlo nella sua casa in Florida. Dopo 60 anni la famiglia l’ha restituita all’English Heritage, un’organizzazione benefica che preserva Stonehenge: il ritorno della roccia ha offerto a una squadra di ricercatori della facoltà di Geografia fisica dell’Università di Brighton l’opportunità di indagare sulle origini geologiche del monumento, normalmente precluse: Stonehenge è infatti un monumento protetto, quindi è impossibile estrarre nuovi campioni.
Il team dei ricercatori, guidati dal professor David Nash, ha studiato la roccia ai raggi X, al microscopio e con una TAC. “Questo piccolo campione è probabilmente il pezzo di pietra più analizzato oltre alla roccia lunare!” ha detto lo stesso Nash in un comunicato stampa. È emerso che il pezzo di megalite contiene minuscoli granelli di quarzo che si incastrano come un puzzle: i grani più interni sono stati “cementati” insieme ad altri pezzi di quarzo che si sono poi cristallizzati, “creando una matrice di cristalli intrecciati con una forza incredibile”, ha detto Nash. La struttura interconnessa, che probabilmente è comune agli altri massi, potrebbe spiegare perché Stonehenge resiste così bene da millenni. Anche se, ricorda Nash, non è detto che i suoi costruttori fossero consapevoli di aver scelto gli elementi giusti per farlo durare.
Gli abitanti dell’attuale piana di Salisbury eressero Stonehenge – il principale centro cerimoniale dell’Inghilterra meridionale – in due ondate di costruzione, rispettivamente circa 5mila e 4mila e 500 anni fa: il monumento era inizialmente costituito da due cerchi concentrici di sarsen, composti da sedimenti risalenti al Mesozoico (parliamo di decine di milioni di anni addietro), tra i cui archi erano state installate delle pietre blu di minore dimensione provenienti da un sito in Galles. Era stato sempre Nash, l’anno scorso, a scoprire che i massi di arenaria del doppio circolo provenivano da un’area boschiva a 24 chilometri di distanza dal monumento, West Woods, giunti fino alla piana grazie a rulli o su una superficie ghiacciata. Ora, paradossalmente, l’unica cosa che potrebbe minacciare l’incrollabile sito sono i coniglietti locali, che “potrebbero scavare sotto le pietre e minarli dal basso, facendoli cadere sui fianchi”, ha detto Nash.
IL VALLO DI ADRIANO
Un’estate fortunata per l’archeologia inglese, dato che insieme alla scoperta su Stonehenge è emersa anche una sezione precedentemente sconosciuta del Vallo di Adriano. Anche qui la sorte ha dato una mano, dato che questo nuovo pezzo del muro più importante d’Inghilterra è stata trovata durante i lavori su una condotta idrica nella città di Newcastle, nel nord-est del Paese. Il Vallo di Adriano, completato nel 128 d.C. durante il regno dell’omonimo imperatore, è un muro in pietra di 117 chilometri che si estende attraverso l’Inghilterra settentrionale per segnare il confine ultimo dell’Impero Romano sull’isola.
Il pezzo ritrovato, lungo circa tre metri, è stato realizzato con grandi blocchi di pietra, il che suggerisce che sia stato costruito all’inizio del progetto – questo perché le sezioni che risalgono a fasi successive sono composte di pietre più piccole. “Nonostante il percorso del Vallo di Adriano sia abbastanza ben documentato in questa zona della città, è sempre emozionante incontrare i resti del muro e avere l’opportunità di saperne di più su questo sito di importanza internazionale“, ha affermato Philippa Hunter, dei Servizi di ricerca archeologica. Ora la rete idrica, fa sapere l’azienda Northumbrian Water, subirà una deviazione in modo da lasciare un cuscinetto attorno al muro.
Autore: Giulia Giaume
Fonte: www.artribune.com, 22 ago 2021