Uno degli ultimi reperti restituiti dallo scavo della villa detta di «Augusto», a Somma Vesuviana, è una moneta di bronzo, grande poco più di due centesimi di euro, malamente conservata. Gli esperti stanno cercando di recuperarne la leggibilità in maniera da individuare sotto quale imperatore venne coniata. E mettere, così, un altro tassello al grande ed enigmatico puzzle costituito dalla struttura. Anche se si fa strada l’ipotesi che la moneta possa essere datata agli inizi del II secolo dopo Cristo. E tuttavia, non è questo l’unico rebus delle indagini che il gruppo di scienziati (archeologi, vulcanologi, naturalisti) giapponesi stanno conducendo, da un decennio, per riportare alla luce il grande complesso di epoca augustea di «Starza della Regina», sulle prime balze del monte Somma.
Nell’area indagata, difatti, sono venute alla luce una ventina di fosse circolari, vuote, ciascuna di circa un metro di diametro, e altrettanto profonde. A che cosa servivano? Quali materiali contenevano?
«E questo è uno dei segreti che lo scavo ci ha di recente consegnato e che dovremo spiegare» sottolinea l’archeologo Antonio De Simone che segue l’indagine sulla villa di Augusto per l’Università napoletana «Suor Orsola Benincasa», partner italiano del progetto nipponico. Un programma, quest’ultimo, che, in virtù dell’intesa con la Soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei, coinvolge gli atenei di giapponesi di Ochanomizu e Tohoku, l’Istituto Politecnico di Tokyo, l’University of London «UCL» e l’Université de Provence «Aix-Marseille I».
Il gruppo di scienziati è guidato da Masanori Aoyagi, professore emerito di archeologia all’Università di Tokio, e lo scavo è seguito da Claudia Angelelli e Satoshi Matsuyama. «Perché quelle buche – continua l’archeologo – fanno parte del momento di trasformazione della villa che, da importantissima struttura di epoca romana, subisce numerose modifiche sino al IV secolo dopo Cristo, quando diventa fattoria».
È questo, tra gli altri, uno dei elementi che fanno della «villa di Augusto» un monumento di particolare importanza. Oltre al fatto che quanto riportato alla luce è riccamente decorato ed ha restituito materiali di valore. E lo scavo ha consegnato agli studiosi una enorme quantità di informazioni, sostanziali per conoscere la storia dell’area a nord del vulcano. Ovviamente va considerato il valore aggiunto di ritrovarsi in presenza di pregevoli pitture, sculture e mosaici.
Come nel caso della scena di corteo marino con Nereidi e Tritoni, trovato in un ambiente a cupola e dell’altra pittura raffigurante un tendaggio policromo di notevole fattura, che decora la stanza vicina. O, ancora, delle statua di Dioniso con pantera; delle pareti affrescate di una grande aula; dei decori a stucco del portale; del colonnato in marmo nero, costruito con colonne fatte venire espressamente dall’Africa; della cella vinaria che poteva contenere cinquantamila litri di vino. È interessante notare che, secondo gli archeologi, i dolia (i grossi recipienti usati per lo stoccaggio del vino) vennero usati per almeno tre secoli. E ora gli scienziati stanno studiando i residui trovati nei dolia per individuare il tipo di vitigno coltivato sul quel lato del vulcano.
L’eruzione del 472 dopo Cristo sotterrò tutto. E si dovette aspettare il 1930 per ritrovare quei resti che Matteo della Corte ipotizzò fossero appartenuti alla villa «apud Nolam», presso Nola, dove morì l’imperatore Augusto. «Insomma, quella che stiamo scavando è una struttura più unica che rara» sottolinea l’archeologo Matsuyama «e credo che possa paragonarsi solo a villa Adriana, a Tivoli, con tanti edifici indipendenti che si distribuiscono sulle pendici del vulcano». Un grande disegno finalizzato a realizzare un complesso capace di stupire chi la guardava e del quale l’edificio appena scavato potrebbe essere il nucleo centrale o la struttura di rappresentanza. «Questo – continua l’archeologo – lo sapremo solo quando avremo scavato tutta l’area».
Nell’area indagata, difatti, sono venute alla luce una ventina di fosse circolari, vuote, ciascuna di circa un metro di diametro, e altrettanto profonde. A che cosa servivano? Quali materiali contenevano?
«E questo è uno dei segreti che lo scavo ci ha di recente consegnato e che dovremo spiegare» sottolinea l’archeologo Antonio De Simone che segue l’indagine sulla villa di Augusto per l’Università napoletana «Suor Orsola Benincasa», partner italiano del progetto nipponico. Un programma, quest’ultimo, che, in virtù dell’intesa con la Soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei, coinvolge gli atenei di giapponesi di Ochanomizu e Tohoku, l’Istituto Politecnico di Tokyo, l’University of London «UCL» e l’Université de Provence «Aix-Marseille I».
Il gruppo di scienziati è guidato da Masanori Aoyagi, professore emerito di archeologia all’Università di Tokio, e lo scavo è seguito da Claudia Angelelli e Satoshi Matsuyama. «Perché quelle buche – continua l’archeologo – fanno parte del momento di trasformazione della villa che, da importantissima struttura di epoca romana, subisce numerose modifiche sino al IV secolo dopo Cristo, quando diventa fattoria».
È questo, tra gli altri, uno dei elementi che fanno della «villa di Augusto» un monumento di particolare importanza. Oltre al fatto che quanto riportato alla luce è riccamente decorato ed ha restituito materiali di valore. E lo scavo ha consegnato agli studiosi una enorme quantità di informazioni, sostanziali per conoscere la storia dell’area a nord del vulcano. Ovviamente va considerato il valore aggiunto di ritrovarsi in presenza di pregevoli pitture, sculture e mosaici.
Come nel caso della scena di corteo marino con Nereidi e Tritoni, trovato in un ambiente a cupola e dell’altra pittura raffigurante un tendaggio policromo di notevole fattura, che decora la stanza vicina. O, ancora, delle statua di Dioniso con pantera; delle pareti affrescate di una grande aula; dei decori a stucco del portale; del colonnato in marmo nero, costruito con colonne fatte venire espressamente dall’Africa; della cella vinaria che poteva contenere cinquantamila litri di vino. È interessante notare che, secondo gli archeologi, i dolia (i grossi recipienti usati per lo stoccaggio del vino) vennero usati per almeno tre secoli. E ora gli scienziati stanno studiando i residui trovati nei dolia per individuare il tipo di vitigno coltivato sul quel lato del vulcano.
L’eruzione del 472 dopo Cristo sotterrò tutto. E si dovette aspettare il 1930 per ritrovare quei resti che Matteo della Corte ipotizzò fossero appartenuti alla villa «apud Nolam», presso Nola, dove morì l’imperatore Augusto. «Insomma, quella che stiamo scavando è una struttura più unica che rara» sottolinea l’archeologo Matsuyama «e credo che possa paragonarsi solo a villa Adriana, a Tivoli, con tanti edifici indipendenti che si distribuiscono sulle pendici del vulcano». Un grande disegno finalizzato a realizzare un complesso capace di stupire chi la guardava e del quale l’edificio appena scavato potrebbe essere il nucleo centrale o la struttura di rappresentanza. «Questo – continua l’archeologo – lo sapremo solo quando avremo scavato tutta l’area».
Autore: Carlo Avvisati
Fonte: Il Mattino.it, 18 set 2012