Archivi

SOMMA VESUVIANA (Na). Cella vinaria scoperta nella villa augustea.

Era una cella vinaria di grosse dimensioni quella scoperta durante lo scavo della cosiddetta «villa di Augusto» a Somma Vesuviana. Il dato che viene considerato dagli archeologi «di grandissima importanza» è quello emerso dallo studio dei contenitori, che vuole i ventuno dolia (i recipienti di coccio utilizzati per conservare il vino) prodotti in una officina locale e soltanto pochi anni prima dell’eruzione del 79 d. C.
«Questo significa – spiega l’archeologa Giuseppina Cerullli Irelli – che non solo quei contenitori sono stati usati prima della catastrofe ma che si è provveduto a riutilizzarli successivamente e per almeno altri tre secoli».
Vale a dire che appena dopo l’eruzione, visto che l’area a nord del vulcano non venne devastata come quella pompeiana-ercolanese, i vesuviani rimisero rapidamente in funzione tutto quanto era ancora utilizzabile.
L’impianto di stoccaggio del vino, con i dolia sigillati da frammenti di anfore invece che dal solito coperchio, viene difatti stimato risalente al III-IV secolo d. C. Ovvero a un periodo in cui la struttura, secondo gli esperti, venne riconvertita dagli occupanti che, non ricevendo più sovvenzioni da Roma, misero su un’azienda in grado di dare ricavi e sostentamento a chi vi lavorava.
Con l’obiettivo di individuare i vitigni coltivati all’epoca nell’area a Nord del vulcano, si stanno poi studiando anche i residui di materiale trovato sul fondo dei dolia. Ma tutti i rinvenimenti effettuati dalla missione dell’università di Tokyo appaiono decisamente interessanti, per ricostruire il quadro generale di un complesso che evidenzia sempre più la sua origine di villa imperiale e di dimora dove si spense l’imperatore Augusto, così come ipotizza l’archeologa, che sottolinea tuttavia la mancanza di una prova certa.
Le fonti storiche difatti indicano in una villa situata apud Nolam, vicino Nola, il luogo dove l’imperatore trascorse i suoi ultimi istanti di vita e il complesso di Somma Vesuviana è troppo imponente e ricco per poter essere appartenuto a qualcuno che non fosse stato di rango imperiale.
Gli scavi che gli archeologi giapponesi hanno effettuato quest’anno, assieme agli esperti del Suor Orsola Benincasa e su concessione della Soprintendenza speciale Napoli-Pompei, hanno difatti consentito di riportare alla luce un pavimento interamente mosaicato, di stupenda fattura; locali dalle pareti affrescate; i resti di un statua di marmo, attrezzi agricoli e una cesta intrecciata con vimini. Infine, i lavori di pulitura dai depositi di fango e cenere di una seconda abside scoperta accanto a quella scavata l’anno scorso, hanno rivelato pitture con soggetti simili alla precedente.
Secondo gli archeologi il rinvenimento di questa nuova stanza con volta a botte prelude al ritrovamento di un locale simile sul lato opposto.
«È uno schema che si ripete anche nelle basiliche cristiane – conferma Cerulli Irelli -. Credo che questo insieme di locali facesse parte di un ambiente di rappresentanza e di soggiorno estivo particolarmente importante».
Un elemento interessante, rivela Antonio De Simone, docente di Archeologia al Suor Orsola Benincasa, è appunto il mosaico che al centro mostra mattonelle di marmo pregiato, una sorta di opus sectile. E questo senza contare i resti del busto in marmo, forse in origine un «Sileno», trovato poco distante.
Insomma, siamo in presenza di un più vasto complesso: «Ci vorranno anni per riportarlo interamente alla luce. Ma quando lo scavo sarà finito i risultati saranno eccezionali».

 


Fonte: Il Mattino 03/01/2009
Cronologia: Arch. Romana

Segnala la tua notizia