Tra le immagini scelte dagli imperatori per celebrare l’impero, le vittorie e, non ultimo, se stessi, un ruolo eminente spetta alla divinizzazione del Sol, simbolo per eccellenza di vita, forza, eternità, spesso identificato e assimilato ad altri dèi del pantheon, primo tra tutti Apollo e, nel mondo orientale, Mitra.
La tradizione attribuisce l’introduzione del suo culto a Roma, insieme a quello della Luna, al re sabino Tito Tazio, che lo affiancò agli dèi venerati nella città. Sulle monete romane, il Sole compare in età repubblicana e prosegue il suo cammino durante tutto l’impero, sino a Costantino.
Nel tempo, al suo nome si aggiunsero molti epiteti – comiti, invicto, conservatori augusti, dominus imperii romani, pacator orbis e altri ancora –, che ne qualificano la sfera d’azione, naturalmente connessa alla grandezza di Roma e dei suoi rappresentanti. L’iconografia prevede dapprima il volto del dio, di profilo o frontale, contraddistinto da nobili tratti virili, una capigliatura a ciocche mosse e una corona radiata, la stessa che troneggiava sulla gigantesca statua in bronzo di Nerone-Sol posta originariamente, con immodestia imperiale, presso il lago della Domus Aurea, nell’area in cui sorse l’Anfiteatro Flavio.
Sempre in corsa nei cieli
In età imperiale il Sole compare stante nella sua magnificenza, oppure in elaborate composizioni che lo vedono in quadriga, simbolo della sua eterna corsa nei cieli da dove regola il giorno e la notte.
Numerosi magistrati preposti alle emissioni scelsero il dio per il dritto dei loro denari, come fecero i membri delle gentes Aquilia, Clodia, Lucretia, Mussidia, Valeria; si distingue, dal punto di vista iconografico, il denario emesso a Roma nel 109 a.C. dal magistrato Manio Aquilio. Sul dritto campeggia la bella testa del Sol radiato, mentre sul rovescio vi è la Luna su biga, sovrastata dal crescente lunare e quattro stelle.
Il nostro personaggio, noto anche dalle fonti storiche, volle racchiudere nelle due immagini l’intero cosmo con le sue principali divinità. Queste ultime alludono anche alle vittorie condotte in Oriente dall’omonimo padre di Manio Aquilio, il quale nel 128 a.C. celebrò il trionfo su Aristonico, figlio di Eumene re di Pergamo. In questo caso l’associazione iconografica tra dritto e rovescio rimanda all’Oriente, lí dove nasce il Sole e dove il culto della divinità conosceva da tempo larga diffusione; associazione, questa tra Oriente e Sole, ripresa soprattutto sulle monete del III secolo d.C.
E, come già detto, numerosi furono anche gli imperatori che vollero il Sole sulle proprie emissioni, per le sue valenze di eternità e potenza, ma fu senz’altro con la dinastia dei Severi e con Giulia Domna, originaria di Emesa, che il Sol assurse a divinità di primo piano. Marco Aurelio Antonino, noto con il nome di Elagabalo, nel suo breve regno (218-222 d.C.) diede particolare risalto a una religiosità pressoché monoteistica incentrata sul culto di El Gabal, nome della divinità solare di Emesa di cui era fervente sacerdote. Su alcune sue monete il Sole compare nella forma di un monolite conico, la pietra nera venerata nel santuario di Emesa, portato in carro.
La regina ribelle
La valenza orientale del culto del Sol fu esplicita poco piú tardi con Aureliano (270-275 d.C.), il quale, appena salito al soglio imperiale, dovette fronteggiare una difficile situazione politico-sociale interna ed estera, con l’arbitraria suddivisione dell’impero in tre parti. Con una serie di efficaci azioni militari, l’imperatore debellò gli usurpatori, ristabilendo l’unità territoriale.
Particolare rilievo rivestí la duplice vittoria conseguita in Oriente sulla regina di Palmira Zenobia e sul figlio Vallabato, che attuarono una politica filopersiana prima ostile ai Romani e poi di aperta ribellione. Sconfitta nel 272 d.C. la regina, la quale dopo aver sfilato nel corteo trionfale di Aureliano ebbe un vitalizio e visse in una villa a Tivoli, la vittoria romana fu attribuita dall’imperatore al dio Sol venerato a Palmira. Cosí, nel 274 d.C. Aureliano istituí il culto del Deus Sol Invictus quale divinità suprema; tale riforma rappresentava il coronamento di una politica volta al ripristino della coesione, anche morale e religiosa, dell’impero.
A Roma fu edificato un tempio al Sol nel Campus Agrippae, venne istituito un nuovo collegio sacerdotale e furono indetti giochi dedicati al dio, gli Agonis Solis, celebrati il 25 dicembre, il giorno del solstizio invernale.
Le immagini proposte sulle emissioni monetali di Aureliano contribuirono alla diffusione del nuovo culto, evidenziando l’assoluta e programmatica predominanza conferita al Sole rispetto alle divinità tradizionali. Tra di esse si distingue un asse in cui la posizione dei tipi sul dritto e sul rovescio risulta invertita: all’immagine frontale del Sol emergente da una piccola quadriga solare è assegnato il dritto, solitamente destinato all’effigie imperiale, mentre l’imperatore compare sulla parte opposta, mentre sacrifica al dio.
In tal modo si sanciva l’identificazione – e quasi l’interscambiabilità – tra il dio e il principe, ribadita anche nella legenda Sol Dominus Imperii Romani. Aureliano, con una politica marcatamente accentratrice, assunse cosí ufficialmente caratteri divini, attestati anche dalle fonti epigrafiche e da altre emissioni monetali. Il culto del Deus Sol Invictus ebbe ampio seguito fino a Costantino, che attribuí alla propria dinastia un carattere solare.
Autore: Francesca Ceci
Fonte: http://www.archeo.it, gen 2010