A proposito della notizia riportata da alcune agenzie e organi di stampa sulla presunta scoperta di un monolite attribuito ad opera umana e datato all’epoca mesolitica (ca 9000 anni fa) sul fondo del mare presso il Banco di Pantelleria a ca m 30-40 di profondità è bene fare alcune considerazioni chiarificatrici.
Al di la delle notizie stampa, al fine di valutare la presunta scoperta del monolite, ci si è basati sull’analisi dall’articolo pubblicato dai coordinatori della relativa ricerca sul Journal of Archaeological Science 3 (2015) alle pp.398-407 ad opera di Emanuele Lodolo e Zvi Ben-Avraham dal titolo “A submerged monolith in the Sicilian Channel (central Mediterranean Sea): Evidence for Mesolithic activity”. In seguito a tale analisi si è giunti alla conclusione che il presunto monolite non sia da attribuire ad opera umana, bensì sia il prodotto di una formazione naturale ben nota nel Mediterraneo e definita dai geologi “beachrock”. Tali formazioni sono tipiche di ambiente litorale e spesso si staccano dal bacino roccioso di origine per effetto dell’erosione costiera. Pur ammettendo che il fondale in questione sia stato emerso in quel periodo il presunto manufatto è, anche per le sue caratteristiche morfologiche, non attribuibile ad opera umana. Sia la forma arcuata, sia la morfologia degli spigoli, sia il contesto escludono una sua attribuzione ad opera umana. Inoltre anche il foro descritto nel suddetto articolo come opera dell’uomo è del tutto naturale. Simili fori, ancorché molto regolari, sono comuni in molteplici formazioni rocciose e sono l’effetto di erosione naturale. Pur ammettendo, in conclusione, che è probabile che in quella zona potessero essere presenti tracce della presenza umana in epoca preistorica (del resto anche dal sottoscritto ripetutamente ipotizzata in molteplici saggi scientifici e divulgativi) non è questo il caso poiché le caratteristiche dell’oggetto e l’assenza di un contesto antropizzato plausibile di riferimento escludono la sua natura di manufatto. Al contrario confermano la sua naturalità.
Inoltre c’è da considerare il contesto geografico più generale entro cui tale presunta scoperta si collocherebbe. Chi conosce la preistoria maghrebina e siciliana sa che il megalitismo ebbe poca incidenza negli sviluppi culturali rispettivi. In Sicilia la religiosità dei popoli pre- e protostorici fu sempre legata all’ipogeismo che ha generato per millenni una ricca produzione architettonica rupestre costituita dall’evoluzione della tomba a grotticella scavata nella roccia nelle sua svariate forme ed articolazioni. L’unico episodio megalitico è da collegare con l’arrivo del popolo del Bicchiere Campaniforme dalla Sardegna che avviene sul finire del III millennio a.C., pertanto ben lungi dal mesolitico cui si riferirebbe il presunto monolite dello Stretto di Sicilia. Anche in Nord-Africa, nelle odierne Tunisia, Libia e Algeria il fenomeno megalitico è marginale e, comunque, tardo riferendosi al III e II millennio a.C. Situazione diversa si verifica in Sardegna dove il fenomeno è molto diffuso, ma comunque risalente ad un epoca non anteriore al IV-III millennio a.C. Anche i confronti con la vicina Malta non reggono per una chiara contraddizione cronologica. La nascita de fenomeno megalitico maltese inizia nel IV millennio a.C., anche in questo caso ben lungi dal mesolitico.
Gli autori mettono in relazione il presunto monolite con il fantastico monumento megalitico di Gobekli tepe (Turchia sud orientale, provincia di Sanliurfa). In effetti la datazione del complesso megalitico di Gobekli tepe è pressoché contemporanea con quella del presunto monolite dello Stretto di Sicilia poiché collocabile intorno a 9500 anni a.C., pertanto addirittura precedente di oltre 2000 anni. Tuttavia è bene ribadire che il contesto geografico di riferimento è completamente diverso trovandoci già in alta Mesopotamia dove le dinamiche culturali sono state sempre completamente diverse da quelle mediterranee. E’ assolutamente errato metodologicamente, pertanto, confrontare dinamiche storiche lontane ed indipendenti per giustificare presunte presenze di manufatti assolutamente ingiustificabili nel loro corretto contesto geografico di riferimento.
In sintesi, dunque, molteplici considerazioni sia di ordine squisitamente geologico, sia intrinseche alle caratteristiche morfologiche dell’oggetto, sia inerenti il contesto immediato di giacitura, sia in riferimento al contesto cronologico e geografico più vasto, ci portano alla naturale conclusione che non trattasi di manufatto, bensì di prodotto naturale.
Purtroppo tale svista è dovuta al fatto che la ricerca cui fa riferimento il summenzionato articolo e le notizie stampa derivate sono state prodotte senza alcun riscontro da parte di specialisti del settore archeologico. Si auspica che in futuro siffatte interessanti e utili ricerche vengano effettuate con maggiore accuratezza scientifica in un’ottica di sano e indispensabile confronto tra specialisti dei settori disciplinari di riferimento.
Autore: Sebastiano Tusa, Paletnologo, Soprintendente del Mare, Regione Siciliana
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