Dopo una breve e limitata campagna di scavo effettuata da Annibaldi nel 1943, non proseguita per lo scoppio della guerra, la ricerca riprese con uno scavo condotto dal giovane Colonna nel 1961 che purtroppo non ebbe continuità. Da allora, il sito non ha ricevuto più alcuna attenzione da parte della ricerca, né da parte delle istituzioni preposte alla tutela e valorizzazione dei beni archeologici. L’insediamento sannitico, così, versa oggi in uno stato di totale dimenticanza e di abbandono, è difficile raggiungerlo e visitarlo e, pur se armati di una carta con il rilievo dei resti archeologici, non è agevole individuare le strutture messe in luce decenni fa.
La Postierla Matese
Ad una ricognizione assolutamente superficiale, però, si continuano a trovare reperti ceramici, laterizi e metallici, il che indica il grado notevole di interesse archeologico rappresentato da un sito praticamente sconosciuto e non sondato. La vegetazione ha preso possesso del territorio, invadendo l’intera area che ne risulta obliterata, scardinando i resti delle mura megalitiche e degli edifici medievali. In particolare, si richiama l’attenzione sulla cosiddetta “Postierla del Matese” che, con le sue particolari forme, costituisce probabilmente il simbolo di tutto il sito. Le strutture verticali sono composte da muratura a secco con conci calcarei, l’architrave è realizzato con lastroni di pietra calcarea.
Lo stato di degrado dell’intera struttura è molto evidente e diffuso. Le pietre di architrave soffrono infatti lo stress di sforzi di trazione, dovuti non solo al carico del peso proprio, ma anche al peso della muratura soprastante. Il tutto è aggravato dalla presenza di vegetazione infestante dall’apparato radicale piuttosto consistente. Le forme di degrado più evidenti, ma bisognerebbe effettuare delle analisi più approfondite dopo un’accurata pulitura, sono sia di natura chimica sia fisica. L’azione chimica dell’acqua comporta il cosiddetto “fenomeno carsico” ovvero una sostanziale dissoluzione delle rocce carbonatiche. Forme di degrado fisico, che si manifestano con la frammentazione della roccia, avvengono invece per cause climatiche, ovvero i cicli di gelo/disgelo e gli sbalzi termici da insolazione. I primi provocano la rottura a causa dei pori della pietra che intrappolano l’acqua che, in seguito all’abbassamento della temperatura, congela aumentando di volume e provocando lo sgretolamento della roccia. L’effetto degli sbalzi termici dipende dal coefficiente di dilatazione della pietra, l’irraggiamento di una parte rispetto ad un’altra dello stesso concio, genera delle tensioni interne in grado di fratturarlo. In aggiunta, l’acqua, il vento o il guano degli uccelli portano microrganismi dannosi come i licheni che si insediano nella struttura porosa e nelle zone meno esposte, costituendo aree costantemente umide e favorendo l’insediamento dei muschi che a loro volta producono secrezioni acide molto dannose. Ovviamente quasi sempre i fenomeni si combinano fra loro moltiplicando gli effetti del degrado e mettendo a serio rischio la conservazione della Postierla. Gli stessi effetti del degrado sono riconoscibili sulle altre strutture presenti nel sito ed anche sugli interventi di protezione delle creste murarie che furono realizzati probabilmente al termine degli scavi. Le copertine a bauletto in malta cementizia, risultano ormai totalmente inutili, se non addirittura dannose; in generale esse risultano fessurate, non più perfettamente aderenti alla muratura sottostante, infestate da licheni e muschi, dunque non solo hanno perso la funzione originaria di protezione, ma contribuiscono a concentrare diversi elementi che causano degrado.
Il sito è indicato in tutte le guide turistiche ma, come abbiamo detto, è molto difficile da raggiungere, non esiste infatti né cartografia, né apprestamenti strutturali e informativi per i sentieri, né siamo a conoscenza di tour-operator e associazioni di turismo naturalistico e culturale che forniscano il servizio di guida specifica per questo bellissimo sito.
Anche per quanto riguarda la divulgazione, si deve lamentare una mancanza totale di pubblicazioni recenti sul sito. In effetti cosa potrebbero dire di nuovo rispetto all’ultima risalente al 1962? Nulla, se non constatare lo stato in cui si trova questo luogo. Con questa denuncia vogliamo solo richiamare l’attenzione delle istituzioni e di tutti i molisani sul come è gestita e vissuta la radice storica della nostra comunità, vogliamo soltanto far presente che in Molise abbiamo tantissimi beni culturali ma non siamo capaci di trasformarli in risorse (in termini strettamente economici la “risorsa” è la capacità di un “bene” di produrre reddito), come ben possono dimostrare i dati statistici sul turismo molisano e sul reddito derivante da attività turistiche.
L’abbandono dei luoghi delle nostre radici (che è causa di una loro mancata valorizzazione ideale e materiale) è legato all’atteggiamento negativo che i molisani hanno nei confronti della propria terra e in una certa dose di ignoranza / vergogna per la propria identità storica. Ahinoi, se non c’è conoscenza non c’è orgoglio, se non c’è orgoglio non c’è iniziativa privata e non c’è offerta, né servizi pubblici che si sviluppino e, alla fine, non c’è turismo.
Mentre fortunatamente Saepinum assorbe le attenzioni e gli investimenti della Soprintendenza archeologica ed accoglie un sempre crescente flusso di turisti, infatti, la città sannitica posta in un sito panoramico notevole, tra i boschi del Matese, appare un insieme scalcinato di ruderi dimenticati da tutti. Da tutti, tranne che da un gruppo di giovani appassionati della storia e dell’archeologia molisana che nei giorni scorsi si sono recati a visitare il sito in località Terravecchia e hanno scattato le fotografie che si allegano come testimonianza del suo fascino e, insieme, del suo degrado, e ora lanciano un appello al Comune di Sepino, alla Soprintendenza archeologica e alla Regione Molise, affinché vengano al più presto effettuati interventi di manutenzione della “postierla” e del complesso delle mura del sito ma anche affinché si mettano in campo politiche serie di valorizzazione dell’intera area, luogo per eccellenza dell’identità storica del Sannio preromano. Un sito che, senza ombra di dubbio, ha molto da raccontare agli studiosi, oltre che ai molisani, se solo si cominciasse ad approfondirne la conoscenza.
Il meraviglioso complesso archeologico di Saepinum-Altilia va valorizzato e, anzi, non lo è al livello che meriterebbe, ma altrettanta attenzione e risorse andrebbero destinate agli altri insediamenti dell’area cantonale sannitica: Saipins in primis che ne è alle origini!
La fase romana, infatti, è solo UN aspetto della storia e cultura del nostro territorio.
Autori: Giovanna Battista, Giovanna Falasca, Lucio Fatica, Luca Lotti
Fonte: IlNuovoMolise, it, 08/01/2012