E’ uno dei più importanti Musei Archeologici dell’Italia settentrionale per la ricchezza e la varietà dei reperti ivi contenuti.
Fu istituito nel 1890, come raccolta comunale, dal forlivese Antonio Santarelli, che ordinò una ricca collezione di iscrizioni romane in gran parte descritte del canonico umanista Filippo Antonini nel suo libro “Le antichità di Sarsina”, pubblicato nel 1607.
Ha continuato poi ad ampliarsi in seguito allo scavo della necropoli di Pian di Bezzo, nei pressi di Sarsina, grazie al quale sono stati riportati alla luce i grandi monumenti funerari e, successivamente, in seguito alle scoperte di materiali recuperati all’interno della città.
Dopo essere stato acquistato dallo Stato nel 1957, è stato ordinato più volte. Negli anni Ottanta, grazie alla collaborazione col Comune di Sarsina, la Soprintendenza Archeologica di Bologna ha proceduto ad un ulteriore ampliamento degli spazi espositivi; tale ristrutturazione ha consentito di ricomporre integralmente i principali monumenti funerari, in precedenza smembrati, e di proporre un nuovo allestimento delle collezioni.
Le raccolte del Museo, di provenienza quasi esclusivamente locale, pur coprendo un arco cronologico esteso dalla preistoria alla tarda antichità, riguardano in particolare l’età romana.
Il percorso espositivo si apre con un numeroso gruppo di epigrafi funerarie che offrono uno spaccato sociale dell’antica Sassina, attraverso il ricordo di uomini liberi appartenenti ad alcune delle più note famiglie locali o di schiavi affrancati (liberti). Tra queste significativo è il cippo funerario di Cetrania Severina (prima metà del II sec. d.C.) che su un lato riporta un passo del suo testamento a favore dei collegia (corporazioni professionali) dei dendrophori, fabri e dei centonari, ai quali era destinato un lascito da utilizzare ogni anno per offerte rituali destinate ad onorare la memoria della defunta.
Importante è pure la prescrizione sepolcrale di Horatius Balbus (I sec. a.C.) il cui testo ricorda la donazione di un terreno nelle vicinanze della necropoli per le sepolture di cittadini bisognosi, con l’esclusione, però, di alcune categorie di persone ritenute non degne.
Seguono poi i monumenti funerari provenienti dalla necropoli di Pian di Bezzo: quello di Publius Verginius Paetus, quello di Rufus, che costituisce una delle maggiori attrattive del museo ed altre steli, tra le quali quella che delimitava l’area sepolcrale della corporazione dei mulattieri (muliones).
Tra i reperti rinvenuti nell’area della città, di eccezionale interesse è il grande mosaico pavimentale policromo detto del “Trionfo di Dioniso“.
Molto importanti sono anche le attestazioni dei numerosi culti praticati, legati al mondo greco (Giove, Minerva, Apollo), alla tradizione italico-romana (Spes, Dei Publici), fino al mondo orientale.
Nel Museo è conservato, infatti, un gruppo di statue raffiguranti divinità frigie ed egizie, che costituivano il santuario più importante dell’Italia settentrionale dedicato a questi culti.
Tra queste emerge per bellezza la statua di Attis.
Tra le iscrizioni onorarie, alcune ricordano membri della famiglia imperiale (Nerva, Traiano, Faustina Maggiore, Marco Aurelio) ed importanti personaggi del luogo (L. Appaeus Pudens, Aulus Pudens, C. Caesius Sabinus, S. Montanus); le iscrizioni civiche ricordano la costruzione delle mura difensive della città (70-40 a.C.), ed in particolare i magistrati che promossero l’esecuzione della cinta (quattuorviri iure dicundo), un architectus che ne curò la costruzione, e le diverse parti dell’opera (murus, valvae, portae, turres).
Al piano superiore vi sono reperti attribuibili al primo nucleo insediativo di Sassina (IV-II sec. a.C.), nonché rocce, minerali e fossili provenienti dalla Valle del Savio; suppellettili di uso comune (vasi da mensa, lucerne, balsamari, oggetti di uso personale); la ricostruzione di una tomba alla “cappuccina”, tipo di struttura funeraria molto diffusa nella prima età imperiale (I-II sec. d.C.), materiali edilizi vari, sezioni di pavimenti in opus signinum (cocciopesto decorato), tubazioni in piombo.
Nell’ultima sala ancora materiali d’uso e di arredo; ceramica a vernice nera di età repubblicana (II-I sec. a.C.); terra sigillata; ceramica medioadriatica ed invetriata di età imperiale.
Di grande fascino ed interesse è la ricostruzione della stanza da pranzo (triclinium) della domus di via Finamore, di cui era esposto, fin dal momento del ritrovamento avvenuto nel 1988, il mosaico con Ercole.
Vi si trovano inoltre vetri, materiali provenienti dalla antiche terme di Bagno di Romagna, sculture varie tra le quali una testa femminile (forse Livia moglie di Augusto) ed un realistico ritratto di anziano, numeroso vasellame ed un servizio da gioco.
Fu istituito nel 1890, come raccolta comunale, dal forlivese Antonio Santarelli, che ordinò una ricca collezione di iscrizioni romane in gran parte descritte del canonico umanista Filippo Antonini nel suo libro “Le antichità di Sarsina”, pubblicato nel 1607.
Ha continuato poi ad ampliarsi in seguito allo scavo della necropoli di Pian di Bezzo, nei pressi di Sarsina, grazie al quale sono stati riportati alla luce i grandi monumenti funerari e, successivamente, in seguito alle scoperte di materiali recuperati all’interno della città.
Dopo essere stato acquistato dallo Stato nel 1957, è stato ordinato più volte. Negli anni Ottanta, grazie alla collaborazione col Comune di Sarsina, la Soprintendenza Archeologica di Bologna ha proceduto ad un ulteriore ampliamento degli spazi espositivi; tale ristrutturazione ha consentito di ricomporre integralmente i principali monumenti funerari, in precedenza smembrati, e di proporre un nuovo allestimento delle collezioni.
Le raccolte del Museo, di provenienza quasi esclusivamente locale, pur coprendo un arco cronologico esteso dalla preistoria alla tarda antichità, riguardano in particolare l’età romana.
Il percorso espositivo si apre con un numeroso gruppo di epigrafi funerarie che offrono uno spaccato sociale dell’antica Sassina, attraverso il ricordo di uomini liberi appartenenti ad alcune delle più note famiglie locali o di schiavi affrancati (liberti). Tra queste significativo è il cippo funerario di Cetrania Severina (prima metà del II sec. d.C.) che su un lato riporta un passo del suo testamento a favore dei collegia (corporazioni professionali) dei dendrophori, fabri e dei centonari, ai quali era destinato un lascito da utilizzare ogni anno per offerte rituali destinate ad onorare la memoria della defunta.
Importante è pure la prescrizione sepolcrale di Horatius Balbus (I sec. a.C.) il cui testo ricorda la donazione di un terreno nelle vicinanze della necropoli per le sepolture di cittadini bisognosi, con l’esclusione, però, di alcune categorie di persone ritenute non degne.
Seguono poi i monumenti funerari provenienti dalla necropoli di Pian di Bezzo: quello di Publius Verginius Paetus, quello di Rufus, che costituisce una delle maggiori attrattive del museo ed altre steli, tra le quali quella che delimitava l’area sepolcrale della corporazione dei mulattieri (muliones).
Tra i reperti rinvenuti nell’area della città, di eccezionale interesse è il grande mosaico pavimentale policromo detto del “Trionfo di Dioniso“.
Molto importanti sono anche le attestazioni dei numerosi culti praticati, legati al mondo greco (Giove, Minerva, Apollo), alla tradizione italico-romana (Spes, Dei Publici), fino al mondo orientale.
Nel Museo è conservato, infatti, un gruppo di statue raffiguranti divinità frigie ed egizie, che costituivano il santuario più importante dell’Italia settentrionale dedicato a questi culti.
Tra queste emerge per bellezza la statua di Attis.
Tra le iscrizioni onorarie, alcune ricordano membri della famiglia imperiale (Nerva, Traiano, Faustina Maggiore, Marco Aurelio) ed importanti personaggi del luogo (L. Appaeus Pudens, Aulus Pudens, C. Caesius Sabinus, S. Montanus); le iscrizioni civiche ricordano la costruzione delle mura difensive della città (70-40 a.C.), ed in particolare i magistrati che promossero l’esecuzione della cinta (quattuorviri iure dicundo), un architectus che ne curò la costruzione, e le diverse parti dell’opera (murus, valvae, portae, turres).
Al piano superiore vi sono reperti attribuibili al primo nucleo insediativo di Sassina (IV-II sec. a.C.), nonché rocce, minerali e fossili provenienti dalla Valle del Savio; suppellettili di uso comune (vasi da mensa, lucerne, balsamari, oggetti di uso personale); la ricostruzione di una tomba alla “cappuccina”, tipo di struttura funeraria molto diffusa nella prima età imperiale (I-II sec. d.C.), materiali edilizi vari, sezioni di pavimenti in opus signinum (cocciopesto decorato), tubazioni in piombo.
Nell’ultima sala ancora materiali d’uso e di arredo; ceramica a vernice nera di età repubblicana (II-I sec. a.C.); terra sigillata; ceramica medioadriatica ed invetriata di età imperiale.
Di grande fascino ed interesse è la ricostruzione della stanza da pranzo (triclinium) della domus di via Finamore, di cui era esposto, fin dal momento del ritrovamento avvenuto nel 1988, il mosaico con Ercole.
Vi si trovano inoltre vetri, materiali provenienti dalla antiche terme di Bagno di Romagna, sculture varie tra le quali una testa femminile (forse Livia moglie di Augusto) ed un realistico ritratto di anziano, numeroso vasellame ed un servizio da gioco.
Info:
Via Cesio Sabino, n. 39 – 47027 SARSINA (FC) – Tel/fax 0547 94641
Orari: dal 16 settembre al 14 giugno: mercoledì, venerdì, sabato e domenica: dalle 8.30 alle 13.30; martedì e giovedì: 8.30-13.30 e 15-18
dal 15 giugno al 15 settembre: mercoledì, giovedì, sabato e domenica: dalle 13,30 alle 18.30; martedì e venerdì: 8.30-13.30: La biglietteria chiude mezz’ora prima.
Giorni di chiusura: tutti lunedì non festivi, 1° Maggio, Natale, Capodanno
Ingresso: € 2,00: Intero, per le persone di età compresa fra i 25 ed i 65 anni
€ 1,00: Ridotto, per le persone di età compresa fra i 18 ed i 25 anni, così come per gli insegnanti di ruolo nelle scuole Statali italiane.
Gratuito per i minori di 18 anni e maggiori di 65 anni residenti in Paesi dell’Unione Europea nonché in Norvegia, Islanda, Liechtenstein e Svizzera.
L’ingresso gratuito è consentito anche ai giornalisti e a particolari categorie di studenti o insegnanti.
Direttore Dott.ssa Monica Miari
Ulteriori informazioni: Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna
Via Belle Arti, 52 – 40126 BOLOGNA
http://www.archeobo.arti.beniculturali.it – E-mail: archeobo@arti.beniculturali.it
Tel. +39 051 223773 / 220675 / 224402 – Fax +39 051 227170
Giorni di chiusura: tutti lunedì non festivi, 1° Maggio, Natale, Capodanno
Ingresso: € 2,00: Intero, per le persone di età compresa fra i 25 ed i 65 anni
€ 1,00: Ridotto, per le persone di età compresa fra i 18 ed i 25 anni, così come per gli insegnanti di ruolo nelle scuole Statali italiane.
Gratuito per i minori di 18 anni e maggiori di 65 anni residenti in Paesi dell’Unione Europea nonché in Norvegia, Islanda, Liechtenstein e Svizzera.
L’ingresso gratuito è consentito anche ai giornalisti e a particolari categorie di studenti o insegnanti.
Direttore Dott.ssa Monica Miari
Ulteriori informazioni: Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna
Via Belle Arti, 52 – 40126 BOLOGNA
http://www.archeobo.arti.beniculturali.it – E-mail: archeobo@arti.beniculturali.it
Tel. +39 051 223773 / 220675 / 224402 – Fax +39 051 227170