Nella Media Valle del Volturno, alla frazione Calvisi del comune di Gioia Sannitica si conserva la tradizione natalizia legata al fuoco. Nella memoria orale il rito si perde nella notte dei tempi, nel passaggio della tradizione orale è come se esistesse da sempre in una sorte di normalità del rito stesso. Qualche informazione più dettagliata si riporta rispetto al XIX° secolo quando i membri della famiglia Fiondella, che erano dei grandi proprietari terrieri del luogo partecipando alla serata usavano lanciare nel fuoco delle monete.
Nel ricordo popolare fino ad alcuni decenni orsono, gli anziani del paese riunitisi intorno al grande falò, ne osservavano le fiamme ed il comportamento di queste, analizzando la vivacità delle fiamme stesse, le scintille che si sviluppavano e da tale osservazione erano in grado di dire se l’annata agricola, in particolare per i cereali (grano ed orzo) sarebbe stata più o meno proficua.
Secondo la tradizione la preparazione della “catasta” di legname avveniva durante l’intera giornata del 24 Dicembre in due diverse modalità: una con la raccolta ed il taglio di legna in montagna prediligendo in particolare legno di faggio e quercia tipico dei luoghi, realizzato dai giovani con l’ausilio di adulti.
Una seconda modalità con l’offerta libera di legna da parte delle famiglie del paese raccolta dagli adolescenti, in questo caso la tipologia del legname era molto variegata, andando dalle fascine di ulivo e carpino, al legno di olmo, al quercino. Tale materiale minuto serviva così da comburente per la catasta, la quale cresceva di diversi metri in altezza e diametro nell’arco della giornata e che veniva gestito e strutturato dagli uomini più anziani spesso sotto la supervisione delle donne.
In tarda serata si dava fuoco alla grande catasta in concomitanza della messa di mezzanotte, in tal modo al termine della funzione la popolazione la trovava incendiata, e poteva così giudicare positivamente o negativamente la bellezza stessa “dell’opera”. Ci si riuniva così intorno alla luce ed al calore del fuoco durante tutta la notte di Natale, consumando vino, pane tostato alla fiamma e salsiccia di maiale (di carne e fegato), formaggio di pecora, capra e vaccino sia fresco che stagionato, tutti questi, elementi della tradizione alimentare agropastorale dei luoghi.
Ma il fuoco per la mole stessa della catasta ardeva per diversi giorni e la popolazione cercava di ravvivarlo se necessario fino alla vigilia del nuovo anno, quando in una forma ridotta si ripeteva la ritualità del ritrovarsi durante la notte.
Come accennato l’origine della tradizione del fuoco che infiamma e illumina la vigilia di Natale si perde nella notte dei tempi, rifacendosi al calore ed alla luce che accompagnavano i pastori durante le soste notturne della transumanza, ma soprattutto ad un rituale ancestrale del legame dell’uomo con il fuoco ritenuto fonte primaria di vita, elemento fecondatore e purificatore della natura, ed al rito del solstizio d’inverno tipico delle popolazioni Sannite. Ed è in particolare dal solstizio d’inverno (il 21 Dicembre) il giorno più breve dell’anno dopo il quale le giornate iniziano ad allungarsi, che il rito ha origini e di seguito acquisito per sincretismo dal Cristianesimo divenendo il fuoco che riscalda la nascita di Cristo, la nuova luce il nuovo calore per l’umanità.
L’antichità del rito e dei suoi rituali a Calvisi è dettato dall’antichità stessa del paese; la storiografia romana cita la Pentra Callifae che per assonanza è associata a Calvisi, quale città conquistata dai romani nel 326 a. C. nella prima incursione nel territorio della Media Valle del Volturno. A tal proposito Tito Livio, nel IV° secolo a.C. scriveva: “… tria oppida in potestatem venerunt, Allifae, Callifae, Rufrium, aliusque ager primo aduentu consulum longelate que est peruastatus …”
Senza prolungarci troppo sulla parte storica si può affermare con certezza che popolazioni abitarono questo luogo in epoca Sannita e con l’arrivo dei romani la località continuò ad essere abitata; ne sono testimonianza le tombe ritrovate in zona San Mandato (Necropoli di San Mandato) ed i relativi corredi ceramici, purtroppo in cocci frutto di un salvataggio del 2004 che includono materiali vari a vernice nero-marrone più spesso opaca che lucente, privi di decorazione e cronologicamente databili dalla metà o dalla fine del IV° ai primi decenni del III° sec. a. C. di produzione locale per la tipologia di argilla usata.
L’antichità dunque dell’abitabilità dei luoghi fa presupporre che il rito del fuoco possa risalire al periodo Sannita e si è conservato attraverso il sincretismo religioso fino ad oggi. L’uso degli elementi alimentari, in particolare i formaggi di ovini e caprini che sono alla base dell’elemento della transumanza, ricordando inoltre che proprio durante la transumanza i pastori la sera, alla luce del fuoco e con l’ausilio di questo lavoravano il latte delle mungiture creando formaggio.
Nella realtà “Sannita” della Media Valle del Volturno è solo il “villaggio” di Calvisi a conservare tale uso e rito, mentre è maggiormente presente nell’area dell’Alto Volturno e dell’Alto Molise (catena appenninica delle Mainarde) in particolare con la città di Agnone che conserva il più importante e grande rito del fuoco al mondo la “ndocciata di Agnone” dove l’uso delle torce di legno si accomuna o meglio parte proprio dai fuochi rituali del solstizio d’inverno di Sannita memoria.
Resta oggi per la piccola località l’ammirevole volontà di conservazione del rituale nella sua ancestrale forma e usi intorno al fuoco stesso, in considerazione del triste fenomeno dell’abbandono, purtroppo, del paese ma di tutta la realtà delle aree montane della zona e della regione Campania (e non solo).
Autore:
Sandrino Luigi Marra – sandrinoluigi.marra@unipr.it