Uno tra i vini più antichi al mondo potrebbe trovarsi in un’anfora recuperata nei mesi scorsi al largo di San Felice Circeo. Analizzando i reperti scoperti in mare, con cui il Comune intende allestire un museo, gli archeologi hanno appurato che quel contenitore romano, risalente al I secolo avanti Cristo, è ancora integro e con tanto di sigillo, che indica il luogo di provenienza del prodotto e il nome del viticoltore. Una sorta di codice a barre dell’antica Roma. E altri bolli sono stati individuati su altre anfore.
Il vino sarebbe il frutto delle viti coltivate nell’entroterra pontino, una delle regioni vinicole romane più pregiate, nota per il Cecubo, prodotto elogiato anche da Plinio il Vecchio, Columella, Orazio e Marziale, il fundanum, il formianum prodotto nel golfo di Gaeta, e il setinum, il vino di Sezze, di cui sono state trovate tracce anche nel corso degli scavi di Pompei.
La rara scoperta è considerata di particolare importanza e l’anfora, che riporta anche i nomi dei consoli, verrà ora analizzata pure da un epigrafista e da due botaniche del Dipartimento di biologia ambientale dell’Università La Sapienza di Roma.
Con ogni probabilità nel contenitore, che potrebbe essere stato infiltrato dall’acqua di mare, ci sono tracce significative di vino che, una volta analizzate, possono portare a ricostruire un pezzo di storia dell’antico Lazio e dell’agricoltura in Italia. Non è ancora chiaro inoltre agli archeologi se le anfore provengano da un relitto o se invece, ipotesi considerata più probabile, non siano quelle abbandonate o perse da navi alla fonda dinanzi all’antico porto canale, che stazionavano al Circeo per consentire il trasporto a terra delle merci tramite barchini.
Verranno così studiati anche gli impasti di tali contenitori, vecchi di oltre 2.100 anni.
“Attualmente stiamo studiando e archiviando i reperti trovati sui fondali del Circeo. La realizzazione di questo inventario – dichiara Chiara Delpino, archeologa della Soprintendenza incaricata della tutela subacquea – è una forma di tutela per controlli futuri non solo di ciò che sarà esposto ma anche dei beni che non saranno usati per le mostre e lasciati in deposito presso San Felice. Abbiamo messo sotto la lente di ingrandimento quaranta reperti, in larga parte anfore di tipo greco-italico, anfore tardo-repubblicane e anfore di provenienza africana. A queste si aggiungono ancore in ferro che stiamo ancora datando”.
L’archeologa sottolinea inoltre che alcune anfore riportano appunto sul collo l’indicazione del contenuto e la provenienza geografica, e altre hanno ancora i bolli che all’epoca venivano apposti dal commerciante. “L’idea – afferma il sindaco di San Felice Circeo, Giuseppe Schiboni – è quella di creare un museo “diffuso”, composto di percorsi di visita, passeggiate e spazi espositivi su tutto il territorio. Il lavoro della Soprintendenza ci permetterà di valorizzare il patrimonio storico”.
Autore: Clemente Pistillo
Fonte: www.roma.repubblica.it, 24 dic 2020