“Stiamo vivendo un periodo buio in termini di crisi economica e questo, sicuramente, va a discapito del nostro patrimonio artistico che necessita di adeguate tutele e in certi casi d’interventi urgenti. Penso, ad esempio, all’affresco quattrocentesco realizzato dal Mantenga, a Palazzo Ducale di Mantova. La celebre ‘Camera degli sposi’ ha subito lesioni a causa del terremoto che un anno fa colpì l’Emilia Romagna. Da allora però è ancora chiusa”.
Quello dei Beni Culturali è certamente un tema nel quale più volte l’archeologo e storico dell’arte italiano Salvatore Settis è intervenuto. Oggi le sue considerazioni rivelano con estrema lucidità, e forse anche amarezza, quanto l’Italia sia indietro in materia di salvaguardia, tutela, politiche di rilancio dei beni storico-artistici. Anzi, per la verità siamo gli ultimi.
Secondo quanto rivela uno studio pubblicato da Eurostat, non solo il Bel Paese si trova dietro la Germania, la Francia, il Regno Unito, ma meglio di noi è riuscita a fare la Grecia, che infatti ci precede.
Per l’Unesco l’Italia detiene il più alto numero al mondo di beni patrimonio dell’umanità, ma ciò che destina alla cultura è appena l’1,1% del Pil, contro il 2,2% medio dell’Ue.
Professor Settis, alla luce dei dati e di quanto sino ad ora detto, pensa sia realizzabile un piano progettuale efficace attraverso cui sostenere e promuovere i Beni Culturali?
“Esiste nel nostro paese un profondo divario tra la sensibilità, persino una certa operosità, della società civile e la totale sordità e autoreferenzialità della classe politica che dovrebbe rappresentarla. Tranne alcune singole eccezioni, fra le quali rientra l’attuale ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo Massimo Bray, constato che la politica non tenga assolutamente conto delle oggettive problematicità del paese. Non è per nulla consapevole, ad esempio, dell’esistenza di circa 30mila associazioni impegnate nella tutela dei Beni Culturali. Una moltitudine composta da 4-5 milioni di italiani che autonomamente tenta con le proprie forze – e in molti casi riesce – a salvare segmenti importanti del nostro patrimonio artistico e paesaggistico: un bosco, un tratto di costa, un monumento. Un altro dato poi estremamente significativo, ma anche questo taciuto dalla politica, è il fenomeno dell’evasione fiscale. Secondo i dati diffusi dalla Guardia di Finanza e Confcommercio, l’Italia è ai primissimi posti nella classifica mondiale -peggio di noi fanno Messico e Turchia – con il più alto tasso di evasione. Nel 2012 i redditi sommersi ammontavano a 2,4 miliardi di euro. Ecco, se solo la politica riuscisse a recuperare il 10%, di questo enorme capitale, riusciremmo a garantire non solo la conservazione dei i Beni Culturali ma anche il funzionamento delle scuole e degli ospedali. Perché oggi ad essere negato è l’intero orizzonte dei diritti”.
Il critico d’arte Philippe Daverio ha lanciato un appello, “Save Italy”, rivolto alla Comunità Europea. Egli sostiene che l’Italia abbia dimostrato, in 150 anni, di non saper gestire il suo enorme patrimonio storico-artistico e per questo chiede un “Piano Marshall” per avviare una potentissima operazione di restauro che salvi i nostri beni. Qual è la sua opinione in proposito?
“È chiaro che quella di Daverio è una provocazione. Certo, anche comprensibile data la situazione. Basta pensare a quanto sta accadendo in questi giorni con Alitalia e Telecom. Una in mano ai francesi, l’altra che andrà agli spagnoli. Il nostro è attualmente un paese in vendita, non sa investire sul suo patrimonio. Per di più siamo condizionati da una pesante en passe politica. Il governare insieme di centro destra e centro sinistra, due schieramenti inconciliabili per idee, visioni, strategie, portano a uno stallo. È questo che blocca il paese. Se pure venisse approvato dall’Europa un Piano Marshall per l’Italia non cambierebbe la sostanza delle cose. Non è vero poi che in 150 anni non si sia saputo amministrare bene il nostro patrimonio. Penso al dopoguerra e alla ricostruzione di molti centri storici distrutti dai bombardamenti: l’Archiginnasio a Bologna, il Tempio Malatestiano a Rimini”.
Una nota dolente è certamente rappresentata dal Meridione e dalle condizioni, spesso disastrose, in cui si trovano musei, aree archeologiche, palazzi, ville, collezioni. Si può oggi sostenere che la vera questione meridionale sia rappresentata dalla gestione (o non gestione) dei Beni Culturali?
“Esiste, in effetti, una diversità delle regioni meridionali rispetto al Nord o anche al Centro Italia. Sono di origine calabrese, faccio spesso ritorno nella mia terra, e conosco le molte criticità che l’affliggono. I problemi al Sud esistono non perché non vi siano persone abbastanza preparate per affrontare le emergenze, tutelare i Beni Culturali, ma perché mancano le risorse economiche. Non bisogna dimenticare che fu proprio il governo Berlusconi a tagliare per circa 1 miliardo e mezzo di euro i fondi ai Beni Culturali. Ancora oggi risentiamo di quella scelta scellerata”.
Poi forse c’è anche una questione di sponsor.
“Sì, nel Meridione ci sono pochissime Fondazioni Bancarie, le quali con la loro liquidità potrebbero sopperire alla salvaguardia del patrimonio. Un tempo al Sud si poteva far ricorso ai tesori della Cassa di risparmio, ma adesso è stato tutto acquistato dalla banche del Nord. Così, secondo uno studio effettuato dalla Fondazione Cariplo, sono circa 47, con un capitale complessivamente di oltre 31 miliardi di euro, le fondazioni bancarie che hanno sede al Nord. E dunque la maggior parte delle risorse, circa il 60%, restano nel Settentrione, il 36% va al Centro, e solo il 4% viene investito al Sud. C’è un dovere costituzionale al quale dovremmo tutti attenerci ed è sancito dell’articolo 9 della Costituzione: ‘La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione'”.
Se le risorse sono poche o mal distribuite, è vero anche che l’Italia avrebbe potuto sfruttare meglio i soldi che da anni l’Unione Europea ha messo a disposizione proprio per lo sviluppo regionale: progetti di recupero, promozione culturale. Sembra che questa occasione si stata sprecata. Lei non crede?
“I fondi europei sono stati mal gestiti o non usati penso per una mancanza di coordinamento. Esiste però anche il rischio che questi contributi una volta ottenuti siano finiti nei mille rivoli della politica regionale e lì si siano persi”.
La Sicilia per esempio deve ancora sfruttare l’88% dei 716 milioni di euro stanziati dalla Ue. Nel frattempo ci sono musei che rischiano la chiusura, aree archeologiche senza manutenzione.
“Per quanto riguarda la Sicilia uno dei limiti credo sia rappresentato dallo Statuto Speciale. Nel 1975, anno in cui in Italia nasceva il ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, la Sicilia veniva espulsa da questo fondamentale passaggio, perché riuscì con due decreti ad avocare a sé il potere esclusivo su ‘turismo, vigilanza alberghiera e tutela del paesaggio, conservazione delle antichità e delle opere artistiche, urbanistica, lavori pubblici e musei’. Ed infatti in Sicilia il peso dell’autonomia regionale grava sui suoi funzionari, sulle Soprintendenze, mentre il degrado del territorio e gli sprechi sono sotto gli occhi di tutti”.
Autore: Valeria Ferrante
Fonte: inchieste.repubblica.it, 29 settembre 2013