Professor Settis, a che punto è la preparazione della mostra sul papiro di Artemidoro che lei sta allestendo con il professor Gallazzi che è prevista a Torino il prossimo inverno?
“Il progetto è pronto e abbiamo scelto una linea che illustri sia la storia di questo papiro unico per le illustrazioni che contiene, da una carta geografica della Spagna antica a disegni di animali e figure umane, sia il contesto di questa storia. Cioè la fabbricazione dei rotoli, le modalità della lettura nell’antichità, la pratica nelle botteghe artistiche e in particolare l’uso di libri di disegni e di modelli”.
Una mostra che appassionerà non solo gli egittologi ma tutti gli amanti del mondo antico?
“Presenta una novità eccezionale per gli specialisti, ma è concepita per poter parlare a chiunque. L’interesse è ancora molto vivo come dimostra il successo delle mostre sui misteri al Colosseo o sulla Magna Grecia a Catanzaro o il bellissimo Museo di Cortona appena inaugurato, come la grandissima attenzione che vi ha dedicato la stampa e il pubblico. Le mostre che hanno più successo sono quelle che hanno qualcosa da raccontare: le storie attraverso gli oggetti e questo corrisponde a una curiosità intellettuale diffusa”.
I popoli oggi emergenti come ad esempio i cinesi si interessano molto all’aspetto antico della nostra storia?
“I cinesi e gli indiani hanno molto rispetto per la nostra storia e un grande interesse per la nostra archeologia. In Cina c’è una città che sulla base di una leggenda ritiene di essere stata fondata da legionari romani. E’ stato ricostruito un tempio e un museo di reperti romani, naturalmente falsi, ipotizzando però che tutta la loro storia comincia da lì. La città si chiama Li Ch’ien (il modo in cui i cinesi chiamavano Roma), si trova nella provincia di Gansu, e nel 1994 è stato costruito un padiglione con colonne doriche e nella capitale della provincia un monumento ai legionari romani”.
Il nostro patrimonio com’è conservato?
“Bene e male. Le alternanze tra interventi ottimi e distruttivi e questo dipende da due fattori: quello umano, e lì ci sono persone che fanno scelte oculate altre invece che mancano di competenza, sono negligenti e talvolta disonesti; e poi c’è il fattore normativo. La cooperazione tra le diverse istanze: Stato, Regioni, Province, Comuni e i privati è sempre traballante per mancanza di chiari confini e per la presenza di conflitti di competenze. Aggiungerei che il codice dei beni culturali ha fatto un grosso sforzo di ricomposizione e ordine, ma occorre molto lavoro per superare i conflitti di competenze che tendono a diminuire la salvaguardia del patrimonio. A questo riguardo si pensi al paesaggio che è soggetto a speculazioni edilizie continue che stanno devastando le nostre coste e non solo. E purtroppo ogni tanto vengono condonate”.
Non si fa abbastanza per conservare i beni culturali?
“Gli investimenti sono inadeguati alla ricchezza del nostro patrimonio. Spesso le nostre amministrazioni, di qualunque colore politico siano, perdono di vista che quello sui beni culturali è un investimento produttivo e non una elargizione a fondo perduto. Nella storia italiana c’è stata molta attenzione al patrimonio artistico. Negli ultimi decenni c’è stata nella cultura istituzionale e giuridica del paese una svolta preoccupante verso un atteggiamento economicistico di corto respiro. Per cui ciò che non rende in tempi brevi è concepito come un peso morto, mentre l’investimento sui beni culturali deve essere di respiro lungo o medio”.
Ma mancano sempre i soldi.
“Ci sono molti soldi sprecati. Anche per i conflitti di competenza. Se uno stesso patrimonio viene per esempio catalogato due volte con criteri molto simili da parte dello Stato e della Regione ecco uno spreco che va eliminato. Molte mostre sono pretestuose e si potrebbero eliminare”.
C’è però una forte crescita di domanda di turismo culturale.
“La risposta a questa domanda è troppo spesso banale e rinunciataria. Alle folle danno spesso in pasto delle banalità. I musei e i siti archeologici sono poco frequentati: è una delle conseguenze più negative di questa concentrazione su “black buster exibitions” che affligge il mondo dell’arte. Si predilige l’effimero rispetto al permanente, le mostre al museo: ogni mostra dovrebbe essere un invito al museo”.
Ma un museo può essere luogo di divertimento?
“Deve esserlo e lo è se il museo è presentato con tecniche di comunicazione più sofisticate che potrebbero far parlare di più e far raccontare le storie che contengono. Bisogna puntare sulla curiosità che gli uomini hanno per la vita degli altri uomini”.
Lei è direttore della Scuola Normale di Pisa, sulla quale ha scritto anche un libro, ma qual è il ruolo delle università?
“Dovrebbero creare esperti in varie discipline culturali perché solo con una cultura più vasta si possono costruire percorsi narrativi più attraenti e interessanti. Nell’ateneo poi si formano addetti ai beni culturali che non trovano uno sbocco, l’anno scorso ci sono stati settemila iscritti in Italia, ma da anni non si assume quasi nessuno. Si deve riprendere una politica di assunzione per veri esperti per qualità”.
Ha altri progetti?
“E’ appena uscito un mio libro per Electa, “Battaglie senza eroi”, che contiene la raccolta dei miei interventi sui beni culturali negli ultimi tre anni e sto lavorando a un libro sul destino dell’arte greco-romana: dal Medioevo all’inizio del Quattrocento che Einaudi pubblicherà nel 2006”.
Altre mostre?
“Sì, una in preparazione con Artificio-Skira che riguarderà l’arte greca in Italia”.
Fonte: La Stampa 09/10/2005
Autore: Alain Elkann