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ROMA. Vandali sull’Appia Antica, muore la regina delle strade.

Traffico soffocante, vandalismo sui monumenti, abusivismo edilizio selvaggio incentivato da tre condoni: cinquantacinque anni dopo le accuse che Antonio Cederna scagliava ai “Gangster dell’Appia Antica”, nulla è cambiato. Anzi.

Come denunciato l’estate scorsa da Repubblica, le ville dei vip sono diventati centri di catering senza licenze commerciali per feste con tanto di fuochi artificiali.

Il degrado della regina viarum, e l’impotenza dello Stato nel perseguirne lo scempio, proseguono fra l’indifferenza generale che fa sì che una concessionaria automobilistica occupi da anni, abusivamente, un pezzo del parco accanto alla tomba di Priscilla. Ma mezzo secolo di denunce non hanno prodotto ancora gli effetti necessari al recupero di questo immenso patrimonio culturale e ambientale.
Proprio nei giorni scorsi il degrado dell’Appia Antica è stato denunciato dal “New York Times”, che ha addirittura evocato la violenza dei “vandali” per descrivere lo stato di abbandono in cui versa la queen of roads. Simbolo dell’incapacità della pubblica amministrazione laziale di affrontare efficacemente il fenomeno dell’abusivismo, in una delle aree di più alto interesse archeologico e storico al mondo è, oggi, il “Centro motoristico Appia Antica snc” ricavato nell’ex essiccatoio Tabacchi.

Mentre perfino i quotidiani Usa denunciano il degrado dell’Appia Antica, nessuno – politici, poliziotti, autisti, funzionari ministeriali e della Provincia, magistrati – sembra essersi mai accorto di questo piccolo-grande scandalo ambientale e storico: il parco dell’Appia Antica deturpato da una concessionaria Hyundai che occupa senza titolo — non avendo mai firmato un contratto di affitto — un immobile del Comune. Che espone le auto su un’area di diecimila metri espropriata dal municipio, nel marzo scorso, perché utilizzata abusivamente. E che non ha mai ottenuto l’autorizzazione di inizio attività perché ha sempre avuto i pareri negativi dall’Ente Parco, dalla Soprintendenza archeologica e dai vari uffici comunali.

Con in mezzo due sentenze, del Tar e poi del Consiglio di Stato, che le hanno sempre dato torto.
In una situazione igienico-ambientale del tutto fuorilegge: manca il permesso della Provincia per gli scarichi e l’emissione fumi, mentre l’allacciamento all’acqua è “di fortuna”, grazie al parroco della chiesetta del Domine Quo Vadis.

Eppure, da 10 anni, il centro motoristico di Salvatore Bonanno, fra il sepolcro di Geta e la sede del Parco, nel cuore della valle della Caffarella sulle rive dell’Almone e a breve distanza dalle catacombe di San Sebastiano, non solo è sempre là, ma incredibilmente, nell’aprile scorso, ha ottenuto dalla Provincia e senza bando pubblico (grazie a una scrittura privata), l’appalto della manutenzione delle auto della polizia provinciale.
La polizia della Provincia che dovrebbe perseguire «le violazioni urbanistiche edilizie» e provvedere alla «tutela dei vincoli archeologici e paesaggistici», invece di inviare i propri agenti a far rispettare al centro le leggi in materia ambientale e commerciale, si è convenzionata con quella concessionaria con un contratto esclusivo per riparare le proprie jeep.
Non solo: in quello stesso centro motoristico, nel cui perimetro una villetta a un piano completamente abusiva non può essere demolita, come previsto da un’ordinanza comunale, perché ci abita un’anziana parente del Bonanno (e dove perfino l’insegna blu della Hyundai, che s’affaccia sui selci della Regina Viarum da un pilone del cancello verde zozzo, è priva di autorizzazione), viene riparata anche parte del parco auto del Viminale.

I vigili della Capitale nel 2003 hanno denunciato Bonanno per vari reati edilizi. Il comune di Roma nell’aprile del 2007 gli ha espropriato il terreno (sul quale prosegue, come se nulla fosse, l’attività commerciale abusiva), e ha tentato, invano, di demolire la villetta abusiva.

A indagare sulla scrittura privata fra Provincia e la concessionaria di Bonanno è stato solo l’ex consigliere provinciale di sinistra critica Nando Simeone.

«Voglio sapere — ha dichiarato Simeone — come sia stato possibile che, all’interno della stessa amministrazione provinciale, l’assessorato alla Sicurezza abbia stipulato una scrittura privata con la concessionaria Hyundai alla quale l’assessorato all’Ambiente non ha rilasciato le necessarie autorizzazioni per gli scarichi».
Per Rita Paris, direttore archeologo della Soprintendenza, «si tratta di un caso emblematico della totale disattenzione, se non ignoranza, del valore del complesso monumentale del Parco. È, questa, la conferma che l’Appia Antica non evoca più nulla, neanche a un ente pubblico come la Provincia, se non la sede di una concessionaria di motori».
Ma la concessionaria non è certo l’unico caso di abusi edilizi e commerciali visto che Adriano La Regina, presidente del Parco dell’Appia Antica, nella relazione del bilancio di previsione 2008, ha dovuto porre l’obiettivo di «sollecitare le amministrazioni competenti per chiudere definitivamente tutte le pratiche relative agli abusi edilizi giacenti dal 1985 in poi».
A questo proposito, il contenzioso più antico fra pubblico e privato è quello degli abusi edilizi nel complesso del sepolcro di Sant’Urbano con annessa Villa Marmenia, un sito storico di straordinaria importanza scavato nell’Ottocento da Lugari — che ha dato il nome alla via — e venduto negli anni Sessanta, non si sa ancora oggi come, ad alcuni privati. Già nel 1965, “Paese Sera”, a proposito di quelle speculazioni edilizie, titolava così: «Stanno costruendo una casa nel rudere».
Da allora, però, gli abusi sono proseguiti pressoché indisturbati, nonostante dal 1970 la pubblica amministrazione tenti di fermarli. L’area storica che comprende il sepolcro, sulle cui mura romane è addossato un barbecue, è diventata un giardino privato: all’interno della cella funeraria è stato ricavato un piccolo spazio per feste, con tanto di tinello moquettato e cucinetta. Per costruire una piccola piscina sono stati rimossi preziosi pezzi da basolato.

Per quegli abusi, il proprietario dell’epoca, Gianfranco Anzalone, fu denunciato in procura dai carabinieri. Il processo però — l’accusa fu sostenuta dall’allora pm Giovanni Ferrara — finì con un nulla di fatto: il pretore Roberto Mendoza, nel 1987, assolse Anzalone: una parte dei reati si estinse grazie a un condono, un’altra per un’amnistia. E così il contenzioso con la Soprintendenza è arrivato ai giorni nostri con un nulla di fatto.
«È assurdo — commenta Rita Paris — che si possa presentare un condono per abusi fatti dentro un monumento ».

Gli eredi ora vorrebbero alienare l’immobile storico allo Stato, ma le trattative con la Soprintendenza sono appena all’inizio. «L’assoluzione del pretore — ha spiegato Paris — ha impedito di perseguire nel tempo quegli abusi. Un eventuale nostro acquisto ora deve tener conto che la situazione antica del bene è stata stravolta, la strada è scomparsa, e per riportare il monumento allo stato originale ci vuole un notevole impegno finanziario».
Accanto al sepolcro, un’altra storia di abusi che riguarda altri proprietari. Uno spezzone dell’antica villa romana di Marmenia fu trasformata, trentotto anni fa, in un villino che ha stravolto completamente il manufatto archeologico.

L’allora proprietario, Camillo Micarelli, fu denunciato nel 1970 dai carabinieri, ma nel tempo la struttura abusiva fu rilevata dalla società Sant’Urbano che, oggi, ha come amministratore unico la signora Antonella Meduri. Inutili, dagli anni Settanta a oggi, gli interventi di Soprintendenze, le ordinanze del Comune e altri enti pubblici per tentare di porre fine a tanto scempio. Vani anche i tentativi della Soprintendenza di acquistare l’area: il diritto di prelazione dell’ente è stato aggirato dalla Sant’Urbano evitando di ricorrere ad atti pubblici di compravendita, ma ricorrendo a riservati passaggi di proprietà delle azioni societarie.
Oggi la situazione è a un punto morto: il Comune, dopo il parere negativo della Soprintendenza Archeologica, ha rigettato l’istanza di condono presentato dalla signora Meduri. Quella villa edificata abusivamente nel ’70 è, di fatto, priva di licenza edilizia. Sulle carte catastali del 2008, pur essendoci da quasi 40 anni, ufficialmente non esiste.

«Ciò che non si capisce — dichiara Rita Paris — ora che il Comune ha respinto il condono, è come si possa procedere all’acquisizione pubblica del bene e a chi competa l’eventuale demolizione e il ripristino dello stato storico dei luoghi. Sono state fatte numerose riunioni, senza capire se debba intervenire la Prefettura, il Ministero o il Comune».

La morale della storia dell’abusivismo edilizio nel Parco dell’Appia Antica denunciato anche oltreoceano non è affatto rincuorante: lo Stato s’è rivelato impotente a tutelare il patrimonio archeologico che il mondo ci invidia.


Fonte: La Repubblica 03/05/2008
Autore: Alberto Custodero
Cronologia: Arch. Romana

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