Quasi quattromila reperti sotto sequestro grazie a un’intensa collaborazione tra Italia e Svizzera che ha portato alla condanna a 10 anni di reclusione di Giacomo Medici, un mercante italiano (forse coinvolto anche nell’uscita illegale del vaso di Eufronio) e al rinvio a giudizio di Marion True, già curatrice per le antichità del Getty Museum di Los Angeles. Il 18 luglio la prima udienza.
Una condanna esemplare a un noto trafficante di reperti archeologici, un rinvio a giudizio per associazione a delinquere alla curatrice di uno dei musei più famosi del mondo: sono il risultato di dieci anni di indagini serrate che sta facendo tremare case d’asta, istituzioni museali e mercanti senza scrupoli.
Il Porto Franco di Ginevra.
Per ricostruire le fasi della vicenda, ricca di colpi di scena, si deve risalire al 1995. Il 13 settembre di quell’anno, i carabinieri del nucleo Tutela Patrimonio Culturale, insieme alla Polizia federale svizzera, entrano d’autorità in alcuni depositi del Porto Franco di Ginevra intestati alla società Edition Service. L’enorme edificio non effettua particolari controlli sulla merce da custodire, basta pagare una congrua tassa d’ingresso e il canone stabilito, e chiunque può depositare qualsiasi tipo di merce, anche 3.800 antichi reperti, come in questo caso, e una documentazione altrettanto cospicua (lettere, appunti, foto polaroid). Da un primo esame si capisce che la gran parte dei materiali proviene dall’Italia; viene avvertita la magistratura e, su sua richiesta, l’autorità giudiziaria svizzera mette tutto sotto sequestro.
Ha così inizio una collaborazione fra i due paesi che coinvolge l’Ufficio scavi e furti della Soprintendenza dell’Etruria meridionale (sede romana di Villa Giulia) con un lavoro capillare, senza sosta, affidato alla responsabile dell’ufficio Daniela Rizzo e al funzionario Maurizio Pellegrini, coordinati dalla soprintendente Anna Maria Moretti. Partecipano alla ricerca anche i Carabinieri della Sed (Sezione elaborazione dati) per verificare la presenza di oggetti rubati e, immediatamente, vengono riconosciuti due capitelli marmorei trafugati a Ostia antica e un altro depredato a Roma, nella Villa Celimontana. La strada imboccata è giusta, sono individuate le prime tracce di un giro d’affari illegale che riserverà inaspettate sorprese.
La provenienza dei materiali.
A Ginevra, con i tecnici italiani, si prosegue con l’esame delle foto per definire le aree di provenienza delle polaroid e si scopre che i materiali depositati in Svizzera erano stati ritrovati nel Lazio e nell’Italia meridionale: roba di prima qualità, relativa alle civiltà etrusca e magnogreca.
L’esame delle fotografie non si limita alle origini territoriali; gli esperti della Soprintendenza notano che su una gran quantità di oggetti c’è un cartellino che indica a chiare lettere: Sotheby’s. Il filone di indagine quindi si sposta ed entra in scena la sede londinese della rinomata casa d’aste. La Sotheby’s decide di collaborare e, su richiesta della nostra magistratura, invia tre poderosi faldoni, per complessive tremila pagine, sull’attività di vendita svolta dall’Edition Service tra la fine degli anni ’80 e il 1994. Grazie a questa ulteriore documentazione il cerchio delle responsabilità comincia a chiudersi: molti reperti sequestrati a Ginevra, che serviva a legittimare la provenienza, erano stati messi all’asta in Inghilterra in più occasioni (incrementando i prezzi anche di dieci volte) per conto della società in questione, e poi da questa riacquistati per “ripulirli”. È un guaio serio per la casa d’aste, precedentemente attaccata nel volume Sotheby’s inside story dell’inglese Peter Watson, che, a seguito dell’inchiesta italiana, decide di non mettere più in vendita reperti archeologici, almeno nella sede londinese. A questo punto le indagini si concentrano sul proprietario della Edition Service, intestatario dei magazzini di Porto Franco che risulta essere Giacomo Medici, ufficialmente “esperto d’arte” e “consulente presso il Tribunale penale e civile di Roma” ma conosciuto anche come mercante di materiali archeologici e apparentemente non estraneo, secondo indiscrezioni non provate, all’uscita dall’Italia del prezioso cratere greco di Euphronios, attualmente esposto al Metropolitan Museum di New York.
La perizia degli archeologi.
La Procura romana della Repubblica decide altresì di avviare una ricerca dettagliata sui reperti ginevrini per stabilirne, nei particolari, caratteristiche e valore, e chiede la consulenza di tre docenti di archeologia nell’Università La Sapienza, Gilda Bartoloni, Giovanni Colonna, Fausto Zevi, ai quali viene affiancato Maurizio Pellegrini, che ha seguito dall’inizio lo sviluppo delle indagini. In meno di un anno le perizie sono concluse (estate 1998) e vengono subito trasmesse alle autorità giudiziarie svizzere che, constatando la validità delle argomentazioni e mostrando grande spirito di collaborazione, delegano il nostro Paese per tutto il procedimento: nel 2000 inviano a Roma sia gli oggetti antichi che l’intera documentazione scritta.
Coinvolti.
E proprio dall’esame di appunti, corrispondenze, note autografe, spuntano nomi e istituzioni insospettabili. Davanti agli investigatori appaiono coinvolti in acquisti di reperti illegali musei prestigiosi (tra i quali il Paul Getty di Los Angeles, il Metropolitan di New York, il Ny Carlsberg Gliptoteke di Copenaghen) e collezionisti privati, per lo più statunitensi. Partono le rogatorie internazionali con destinazioni che vanno dal Giappone alla Germania, ovunque siano saltati fuori collegamenti incontestabili con Giacomo Medici e la sua società. Fra i nomi compare quello di Marion True, 56 anni, senior Curator per le antichità del Getty Museum di Los Angeles e direttrice della Villa Getty, responsabile delle acquisizioni per il museo dalla metà degli anni ’80 alla fine degli anni ’90. La signora dell’archeologia americana ha infatti avuto contatti con il Medici, sia direttamente sia attraverso il trafficante Robert Emanuel Hecht (il responsabile della vendita del succitato cratere greco), per acquisti di oggetti di elevato valore, le cui fotografie appaiono inesorabilmente tra i documenti svizzeri. Non è più possibile sfuggire alle maglie della giustizia.
La sentenza .
La lunga ricerca, ancora in corso, ha portato a una sentenza senza precedenti, nel dicembre scorso, emessa dal Gup (Giudice per l’Udienza Preliminare) Guglielmo Muntoni del Tribunale di Roma. Un’istruttoria poderosa: ore e ore di udienze, settanta faldoni di materiale probatorio.
Giacomo Medici è stato condannato a dieci anni di reclusione, a una multa di 16mila euro, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e al risarcimento di 10 milioni di euro in favore del Ministero dei Beni e delle Attività culturali come provvisionale per i danni subiti. Inoltre, a garanzia del pagamento della multa e delle spese processuali, è stato ordinato il sequestro conservativo di una villa a Santa Marinella e di un’auto Maserati di sua proprietà.
Dopo qualche mese il Gup Muntoni ha rinviato a giudizio anche Marion True per associazione a delinquere e ricettazione: una decisione che ha subito fatto scalpore per la notorietà del personaggio e anche perché l’Italia sembra non più disposta a fare sconti a chi commercia illegalmente beni storici e artistici. Il Getty Museum (una premonizione? una prova di collaborazione diversiva?) nel 1999 aveva restituito allo Stato italiano un vaso greco (kylix) firmato, un tripode di bronzo e un torso marmoreo del dio Mitra, riconosciuti come provenienti da furti e da scavi clandestini.
Il 18 luglio è stata fissata la prima udienza di questo eclatante processo, destinato a un’eco internazionale, come già rivela il risalto dato alla notizia dal “Los Angeles Times”.
”Non mi fa piacere, commenta Daniela Rizzo, assistere a incriminazioni del genere. Mi consola però la constatazione che un’indagine di così vasta portata sia riuscita a rallentare il mercato illegale che colpisce drammaticamente il nostro patrimonio archeologico”. La storia non finisce qui. Magistratura e carabinieri sono impegnati a riportare a casa centinaia di importanti reperti, seguendo vecchie e nuove piste, affinando sempre più le tecniche investigative.
Fonte: Il Giornale dell’Arte on line 05/08/05
Autore: Marisa Ranieri Panetta