La stampa italiana e quella internazionale ci hanno informato dell’accordo raggiunto tra il Ministero dei Beni Culturali ed il Metropolitan Museum di New York, riguardante una serie di importanti oggetti archeologici – tra i quali il “vaso di Eufronio” e gli “argenti di Morgantina” – che da parte italiana si ritengono frutto di scavi illegali e di un altrettanto illegale commercio.
Il felice esito della vicenda è arrivato dopo decenni di indagini e di negoziati. I termini dell’accordo, che recepiscono le posizioni del nostro Ministero dei Beni Culturali, sono noti. Da un lato il Metropolitan Museum riconosce la proprietà del Governo italiano sugli oggetti, si impegna a restituirli ed a non effettuare in futuro acquisti di oggetti di cui non sia certa la provenienza. Dall’altro il Governo italiano promette di concedere in prestito di lunga durata al Museo americano gli stessi oggetti o, eventualmente, oggetti di pari valore. La durata massima del prestito è stata portata ad un massimo di quattro anni.
Entrambe le parti possono rallegrarsi del risultato raggiunto. Il MiBAC ha affermato un importante punto di principio e di sostanza: il riconoscimento della proprietà dello Stato italiano sugli oggetti di scavo, sulla base della Legge del 1939. Scoraggiare gli acquisti indiscriminati da parte delle grandi istituzioni museali significa togliere ossigeno agli scavi clandestini i quali, oltre a sottrarre oggetti di grande valore, distruggono gran parte del significato scientifico e storico degli oggetti stessi, cancellandone il rapporto con il contesto archeologico dal quale provengono.
Con il recente accordo, infatti, il Metropolitan potrà, non solamente ottenere in prestito a lunga durata importanti opere d’arte dell’antichità italiana, ma anche il relativo “corredo archeologico” ed altri oggetti che permetteranno ai fruitori di valutarne l’orizzonte culturale di provenienza. Nelle parole del negoziatore italiano, Giuseppe Proietti, Capo del Dipartimento per la Ricerca, l’Innovazione e l’Organizzazione del MiBAC “Un oggetto isolato può essere bello dal punto di vista estetico, ma esposto insieme al suo corredo di scavo diventa qualcosa di più”.
A questo risultato hanno concorso due fattori. Innanzitutto la determinazione e la costanza dell’azione italiana avviata poco dopo l‘acquisto degli oggetti da parte del Metropolitan, nell’ormai lontano 1972, e di cui sono stati protagonisti il MiBAC, il Ministero degli Affari Esteri, il Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, e la Magistratura, con la collaborazione del FBI. è stato un gioco di squadra che si è basato su complesse indagini in Italia ed all’estero, e che è proseguito sia con azioni sul piano giudiziario che su quello di delicati negoziati internazionali.
La validità dell’impostazione perseguita è confermata dal fatto che anche il Getty Museum di Los Angeles sembra orientarsi ad accettare una soluzione simile a quella accettata dal Metropolitan.
L’altro fattore, del tutto inaspettato che ha concorso a convincere la parte americana della opportunità di contrastare il traffico illecito di antichità, è stata la realizzazione, nel periodo più recente, di quanto tale traffico sia stato infiltrato dal terrorismo internazionale (ma anche da ambienti del narco traffico).
Se nel decennio scorso erano stati accertati episodi che coinvolgevano l’IRA irlandese, più recentemente sono emerse concrete connessioni operative collegate sia al finanziamento dell’insorgenza irachena che ad al Qaeda.
La positiva soluzione della controversia con il Metropolitan (e, probabilmente, di quella con il Getty), che tanta attenzione ha ricevuto dalla stampa internazionale, sarebbe in realtà lungi dal costituire di per sè la soluzione ad un problema diffuso come quello del traffico illecito di oggetti archeologici, di cui l’Italia è una delle principali vittime, ma che – come è noto – interessa tanti altri Paesi che sono responsabili di un ricco patrimonio archeologico: più vicini a noi la Grecia e l’Egitto, ma anche la Cina, l’India e tanti paesi dell’America latina. Ma, come dice lo stesso Philippe de Montebello, Direttore del Metropolitan Museum, l’esito della controversia tra il Met ed il MiBAC costituisce un “mutamento epocale” (“sea change”) avvenuto nei musei nel periodo più recente che implica “l’adozione di nuove linee guida etiche e di politiche di acquisizione più restrittive” . . . “inchieste rigorose vengono ora condotte prima di ogni acquisto e non vi sono dubbi che nel futuro un numero molto minore di reperti corrisponderà ai nostri criteri”.
Tali criteri, e questo è fondamentale, iniziano ad avere una tutela internazionale. Lo scorso 23 gennaio infatti è stato firmato il rinnovo del Memorandum of Understanding tra Italia e Stati Uniti del 2003 con il quale questi ultimi si erano impegnati a non fare entrare sul loro territorio reperti archeologici che non fossero accompagnati da un credibile certificato di origine. Il rinnovo di tale Memorandum non era scontato, in quanto esso aveva sollevato l’opposizione di lobbies e di associazioni di collezionisti e di commercianti d’arte, ma, probabilmente, il mutamento di atteggiamento del Metropolitan e del Getty farà scuola tra i Musei americani.
Per quanto riguarda gli altri principali mercati di commercio di oggetti di provenienza archeologica, i musei archeologici italiani hanno stipulato fin dal 2003, sotto l’egida del MiBAC, un accordo con una serie di musei tedeschi con i quali questi ultimi si impegnano a non effettuare acquisti di oggetti di provenienza dubbia, in cambio di una politica di prestiti di lunga durata da parte dei Musei italiani.
Una soluzione che prefigurava quella che è stata poi accettata da parte americana. Ma quello che è più interessante è che anche la Svizzera, che è notoriamente un importante centro di commercio e di transito di materiale archeologico illecitamente scavato, ha firmato un accordo con l’Italia, ed ha adottato una legislazione interna molto severa.
Tra i paesi che sono importanti mercati di antichità rimane “scoperta” solamente la Gran Bretagna, con la quale non abbiamo un accordo, e vale solamente la legislazione comunitaria che, in questo campo, non sembra particolarmente efficace.
Sul versante dei paesi che, come l’Italia, sono vittime del traffico illegale, è stato registrato l’interesse della Grecia per le soluzioni da noi raggiunte e, sopratutto, della Cina.
Con Pechino è stato raggiunto e firmato un importante accordo che prevede l’appoggio reciproco nella lotta contro il traffico illegale, che arriva fino alla interruzione dei rapporti con i musei di paesi terzi che effettueranno acquisti di oggetti provenienti illegalmente dall’altro partner dell’accordo.In pratica l’azione italiana, condotta magistralmente dal MiBAC, dal Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale dell’Arma dei Carabinieri e dalla Procura di Roma, sta creando una rete di accordi e di rapporti tra Stati e musei che viene a garantire una tutela crescente ad un nostro importante interesse nazionale, quello della preservazione del nostro patrimonio archeologico, e ad un altrettanto importante interesse scientifico, quello della analisi e pubblicazione scientifica dei risultati di ogni scavo.
Fonte: CivitaInforma 09/10/2006
Autore: Francesco Aloisi de Larderel