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ROMA. Simbolo del merito piu’ forte del sangue.

Piu’ o meno novant’anni d’oro. Di splendore, di saggezza, di prosperita’. L’era dei cosiddetti «imperatori adottivi» e’ stata una delle migliori nella storia romana perche’ i cesari in carica, spesso fior di letterati, sceglievano come successore al trono non i loro pargoli ma qualche brillante giovane di corte che adottavano come vero e proprio figlio.

La regola del merito, contro quella sangue. Dal 96, anno in cui fu eletto Nerva, il primo della serie, al 180, quando Marco Aurelio se ne ando’ nei campi elisi lasciando un buon ricordo di se’, ma un erede mascalzone, come ben sanno gli spettatori del «GLADIATORE» di Ridley Scott.
L’imperatore filosofo, quello che seppe scrivere pensieri profondi sull’animo umano e sugli obblighi del potere, che venne «adottato» dallo zio Antonino Pio, spezzo’ il circolo virtuoso. Consegno’ l’impero a Commodo, figlio vero, generato con Faustina, una che rimaneva incinta praticamente ogni volta che l’imperatore tornava a casa. E l’erede di sangue si dimostro’ stravagante. Quando un servitore gli preparo’ un bagno troppo caldo, lui lo fece cuocere in un forno. Invece di pensare allo Stato, si distraeva con harem di fanciulle e fanciulli. Godeva a organizzare giochi gladiatori, spendendo milioni di sesterzi. Ogni tanto scendeva anche nell’arena, vestito come un Ercole, ma essendo bizzarro, e non fesso, si faceva portare davanti avversari scalcagnati che potevano difendersi solo con gladi di legno, meno efficaci di una pistola giocattolo a Baghdad.
Sulle crudelta’ compiute da Commodo sono stati scritti fiumi di pergamene. E quando Ridley Scott ha trasferito sullo schermo il mito del «GLADIATORE» non ha dovuto esagerare, perche’ la storiografia romana, negli effetti speciali, non e’ certo seconda a quella di Hollywood.

Il generale Marcus Nonius Macrinus, trovato ora sottoterra, forse non aveva il fascino di Russell Crowe, ma pare se la cavasse piu’ che bene nell’arte della guerra e nel conquistare la stima dei legionari. Era un confidente, un amico, uno dei favoriti di Marco Aurelio.
E perche’ il quinto degli «imperatori buoni» non punto’ su di lui, scelse una carogna e venne meno al principio dell’adozione meritocratica?

Difficile capirlo, anche se si rileggono «I colloqui con se stesso» con la lente della psicoanalisi. Ma lo storico Luciano Canfora spiega che la faccenda degli «imperatori buoni» e’ un po’ da rivedere.

«Dipende dalle fonti che leggiamo – dice – Se prendiamo l’Historia Augusta, ispirata da senatori arrabbiati con il potere imperiale che li relegava in secondo piano gli imperatori si segnalano sempre per crudelitas e ne fanno di tutti i colori. Se prendiamo Aurelio Vittore sono invece tutti bravissimi. Noi non possiamo sapere come siano andate veramente le cose. E non possiamo nemmeno dire se i ”buoni” sono stati davvero buoni. Dipende dai punti di vista, come diceva Hobbes. Uno come Traiano, optimus princeps, dagli ebrei, per esempio, e’ considerato una sciagura. Anche il meccanismo dell’adozione per scegliere meritocraticamente l’erede migliore fa parte della propaganda. Quando Tacito scrive che un’epoca nuova si e’ aperta con Nerva, dopo il dispotismo dei Flavi, unica vera dinastia fondata strettamente sul sangue, e’ perche’ si vergogna di avere fatto carriera sotto di loro. L’adozione era prevista dal diritto e ampiamente usata. Un cittadino poteva addirittura adottare figli piu’ vecchi di lui. Era uno strumento molto saggio per garantire la continuita’ del potere e delle fortune di una famiglia, perche’ il ”sangue” non e’ mai stato una garanzia. Se nel capitalismo moderno ci fossero state un po’ piu’ di adozioni nelle scelte dei delfini alla guida degli imperi famigliari, forse, vedremmo meno disastri intorno a noi».  


Fonte: La Stampa 18/10/2008
Autore: Bruno Ventavoli
Cronologia: Arch. Romana

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