Ritrovamento senza precedenti quello emerso in Domus Aurea, considerato che solitamente il pigmento di colore blu veniva trovato solo in polvere o in minuscole sfere.
Scavi archeologici recenti hanno portato, infatti, alla scoperta di due vasche utilizzate durante la costruzione del palazzo per la preparazione della calce e la lavorazione dei pigmenti per le decorazioni murali. Queste eccezionali scoperte sono venute alla luce durante le recenti indagini archeologiche su questo monumentale ampio ambiente archeologico di capolavori antichi.
Le analisi microscopiche e spettroscopiche hanno identificato, tra i pigmenti, ocra gialla in un’anfora, pigmenti rossi come realgar e terra rossa in vasetti, e un raro lingotto di blu egizio dalle dimensioni eccezionali: 15 cm di altezza e 2,4 kg di peso.
E’ questo il dato eccezionale: la grandezza del reperto. Prodotto con un processo complesso che univa minerali e alta temperatura, il blu egizio rappresentava un lusso riservato ai contesti più prestigiosi e sicuramente in passato questo sarà stato uno di quelli.
Inoltre, gli studi condotti sul pigmento della Domus Aurea potrebbero offrire nuovi spunti non solo per quanto riguarda l’antichità, ma anche sull’arte rinascimentale, come dimostrano le tracce di questo pigmento blu nel Trionfo di Galatea di Raffaello.
Queste le parole di Alfonsina Russo, Direttrice del Parco archeologico del Colosseo a Roma: “Il fascino trasmesso dalla profondità del blu di questo pigmento è incredibile la Domus Aurea ancora una volta emoziona e restituisce la brillantezza dei colori utilizzati dai pittori che abilmente decorarono la stanze di questo prezioso e raffinato palazzo imperiale”.
Il blu egizio era già conosciuto dalla metà del III millennio a.C. in Egitto, Mesopotamia, lungo tutto il Mediterraneo (Creta e isole dell’Egeo, Babilonia, Assiria, Grecia, ecc.) e nel mondo romano ha poi trovato applicazione ed utilizzo nelle decorazioni pittoriche di lusso, per realizzare tonalità fredde degli incarnati, chiaroscuri nei panneggi o per illuminare gli occhi delle figure.
Con i Romani prese il nome di “caeruleum”. Si suppone che la scoperta del processo di fabbricazione si collochi intorno al 3100 a.C. Si tratta di un pigmento che non esiste in natura, ma che viene invece prodotto artificialmente cuocendo, ad una temperatura molto elevata, una miscela di silice, rocce calcaree, minerali contenenti rame e carbonato di sodio, con quantità variabili di quarzo o sabbia silicea, ed eventualmente con l’aggiunta di fondenti alcalini.
Il procedimento per la sua preparazione viene descritto da Vitruvio nella sua opera “De Architectura” (VII, 11). Tra i principali centri che lo producevano si annoveravano Alessandria d’Egitto e, in Italia, siti come Cuma, Literno e Pozzuoli, citata da Vitruvio per l’eccellenza della sua manifattura. Per quanto riguarda nella fattispecie l’Italia, a Pompei, il blu egizio era impiegato in contesti di prestigio, ma il ritrovamento alla Domus Aurea testimonia l’impiego di quantità e qualità eccezionali per decorare gli spazi imperiali, sottolineando l’abilità di un’epoca capace di combinare materiali pregiati e tecniche avanzate per raggiungere una straordinaria qualità decorativa.
In uso moderno il blu egizio ha anche la sorprendente capacità di essere facilmente esfoliato in acqua fino a formare “nanosheets”, che rendono questo materiale assai promettente per diverse applicazioni di alta tecnologia. Tra queste possiamo annoverare la biomedicina (bioimaging), le telecomunicazioni, i laser e gli inchiostri di sicurezza, ma si può considerare l’impiego del blu egizio anche per dissipare calore in applicazioni termiche e per ottimizzare le prestazioni di celle fotovoltaiche. Dunque così come il pigmento è un preziosissimo elemento storico che può comprendere il passato, è allo stesso tempo una componente utilissima per le nuove frontiere della tecnologia presente e futura.
Autore: Francesca Orazi
Fonte: quotidianoarte.com 23 gen 2025