Sfatato un mito legato ai Fenici: il popolo che si affacciò dall’età del Ferro nella fascia costiera siro-palestinese non praticava il sacrificio rituale dei bambini.
Il mito nasce in età greco-romana con Diodoro Siculo, che racconta che nel 310 a.C. i Cartaginesi si ricordarono di non aver onorato il loro dio Chronos con il sacrificio annuale dei bambini delle famiglie nobili, per cui nell’arco di pochi giorni ne vennero trucidati duecento.
Le recenti scoperte archeologiche hanno smentito questa macabra tradizione religiosa, dimostrando che presso i Fenici non c’e’ traccia di sacrifici umani. Lo afferma, in un’intervista che appare sul nuovo fascicolo della rivista “Archeologia Viva” (Giunti editore), il professor Piero Bartoloni, ordinario di archeologia fenicio-punica all’Università di Sassari e allievo prediletto del celebre archeologo Sabatino Moscati, che sta conducendo una campagna di scavo a Zama, la località della Tunisia legata al crollo di Cartagine, con la battaglia che nel 202 a.C. mise fine alla seconda guerra punica.
“Nell’antichità su dieci bambini che nascevano, sette morivano entro il primo anno e dei tre rimasti solo uno diventava adulto. Ora mi chiedo: appare plausibile che, con una mortalità infantile così elevata, questa gente uccidesse i propri figli? Esistono poi dieci necropoli che hanno restituito resti di fanciulli. In realtà si è scoperto – rivela Bartoloni – che la maggior parte delle urne infantili ritrovate a Cartagine, circa seimila, contiene ossa di feti, dunque di bambini nati morti. Rimane il problema di quelli un po’ più grandi, che probabilmente sono deceduti prima dell’iniziazione, una cerimonia corrispondente al battesimo cattolico. Le fiamme in qualche modo c’entrano, perchè la stessa iniziazione prevedeva il “passaggio del fuoco”, con il bambino che accompagnato dal padrino saltava le braci ardenti, così com’è riportato nella Bibbia dal Libro dei Re”.
Fonte: Adnkronos 21/04/2007