RESTAURO – Il Mausoleo, infatti, venne inglobato dal palazzo baronale dei Caetani nel 1302. Complesso che è stato restituito al grande pubblico dopo un intervento di restauro con fondi previsto per il Giubileo. E oggi, nell’area antistante, un tempo segnata dal perimetro del Castrum Caetani, spicca la chiesa di San Nicola dei Caetani, in stile gotico cistercense esemplare unico a Roma, al centro di un intervento di restauro: «È in corso l’intervento di restauro delle creste murarie della chiesa e anche dei manufatti lapidei interni – racconta Giammichele – sostenuto con 120mila euro di fondi della soprintendenza. In previsione, se bastano i soldi, puntiamo alla riapertura dell’ingresso originario della chiesa, murato per ragioni statiche da Munoz negli anni Cinquanta. La conclusione entro l’anno».
IL MAUSOLEO DI CECILIA METELLA – Il castello Caetani sull’Appia ingloba e sfrutta il mausoleo di Cecilia Metella, tomba colossale costruita intorno al 50 a.C. e situata nel punto in cui l’antica via Appia raggiunge l’altezza di cinquanta metri sul livello del mare. Il monumento è posizionato su un rilievo che ne consente la visibilità anche a notevole distanza e deve la sua sopravvivenza proprio al fatto di essere stato utilizzato in epoca medioevale come torre difensiva e di avvistamento. Cecilia Metella era figlia del console Quinto Metello, detto Cretico dopo la conquista dell’isola di Creta, ed era moglie di Marco Crasso, figlio di uno dei più leggendari personaggi di Roma: il ricchissimo Marco Licinio Crasso (che soffocò nel sangue la rivolta degli schiavi capeggiati da Spartaco). Crasso formò con Cesare e Pompeo il primo triumvirato e morì in una spedizione contro i Parti.
ARCHITETTURA ELLENISTICA – Cecilia Metella per ricevere una tomba così imponente in un punto sopraelevato della via Appia doveva essere un personaggio molto importante. La pendenza naturale del terreno dove è stata costruita crea un punto di vista privilegiato e latomba è un po’ il simbolo della strada. E’ costituita da una base a pianta rettangolare sormontata da un tamburo cilindrico alto 11 metri e dal diametro di 30 metri, rivestito di travertino. La forma è di tradizione ellenistica, che proprio in quel periodo raggiungeva a Roma la massima diffusione. Sul tamburo una iscrizione in marmo ricorda Cecilia Metella, mentre un fregio in rilievo rappresenta dei trofei di guerra, insieme a bucrani (crani bovini) sormontati da festoni di foglie e frutta. Proprio dai crani bovini che decorano il festone la zona ha assunto il curioso toponimo di “Capo di Bove”.
«LA PIAGA DELL’ABUSIVISMO» – Il sottosegretario Francesco giro nel corso del sopralluogo al Mausoleo ha dichiarato: «Chiederò ad Alemanno di affrontare con l’ufficio condoni la piaga dell’abusivismo, che va arrestata nel rispetto della proprietà privata legittima. Le richieste di condono sono state cassate ma bisogna superare questa situazione di stallo, e trarne le conseguenze dovute. Gli abusi vanno abbattuti. Va fatta una campagna di pulizia se si considera che sono stati stimati oltre un milione e mezzo di metri cubi di edilizia e attività improprie, che sfruttano la bellezza dell’area, in una zona che deve essere inedificabile. Altrimenti decretiamo la morte del parco».
«STOP AGLI ABUSI» – «Oggi è stata l’occasione per ammirare la bellezza ma anche la malattia che piaga l’Appia Antica – continua Giro – Lancio un appello al Comune di Roma ad aprire un tavolo di concertazione sull’Appia Antica coinvolgendo l’ufficio condoni». Ad accompagnarlo la soprintendente responsabile dell’Appia Antica Rita Paris che ha lamentato i problemi che assillano la «regina viarum»: «Il traffico, lo scarso arredo e manutenzione dei tratti di gestione comunale, l’abusivismo e l’assenza di una connotazione di parco archeologico più accentuata rispetto alla legge attuale istitutiva dei parchi. Insomma – dice Paris – Parco archeologico o no? Dobbiamo capire cosa vogliamo fare: ci danno fastidio le attività improprie sul’Appia, i vivai che si trasformano in ville a catering. E altro. Chiunque ha qualcosa qui, vuole metterlo a frutto. Noi dobbiamo garantire la tutela e promuovere nuove acquisizione, anche perché l’area è quasi per il 90 per cento privata, seppur sottoposta in parte a vincoli». «Dobbiamo definire meglio l’entità del parco archeologico dell’Appia Antica – insiste Giro – che si affianchi alla valenza paesaggistica. Insomma, stop agli abusi».
Fonte: Corriere.it, 08 febbraio 2010