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ROMA. L’Appia travolta dal cemento, una casa abusiva ogni 3 giorni.

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«Un piano per l’Appia? Certo che esiste: l’abusivismo edilizio». Con un paradosso la direttrice Rita Paris sintetizza la situazione del sito archeologico della più famosa antica strada romana, connubio esemplare tra paesaggio e monumenti.
Sul suo tavolo (e presto su quelli del ministero) c’è uno studio commissionato dalla soprintendenza archeologica all’urbanista Vezio De Lucia da cui emergono dati scandalosi: il cemento selvaggio e illegale attorno alla Regina Viarum cresce a ritmi persino superiori rispetto ai decenni del Far West edilizio.
Tra 2002 e 2011 è stata versata una colata di 300 mila metri cubi abusivi, un terzo di quelli depositati nei 35 anni precedenti. è come se in meno di un decennio quasi tre grattacieli come il Pirellone si fossero adagiati illegalmente sull’Appia sotto forma di appartamenti, ville, ristoranti, capannoni, negozi. Nonostante le battaglie ambientaliste, l’istituzione nel 1988 del parco regionale, gli appelli degli intellettuali, le leggi di tutela, ogni tre giorni si costruisce un alloggio abusivo di cento metri quadri.
Risultato: oggi quasi metà delle costruzioni nella zona del parco è fuorilegge. Dal 1967 sono stati edificati 1,3 milioni di metri cubi abusivi. Altrettanti erano stati costruiti dal 312 a.C., quando fu posata la prima pietra dell’Appia, al 1967, quando fu decisa l’inedificabilità di tutta la zona. E la stima del disastro ambientale è prudenziale, perché l’indagine cartografica non rileva la massa di microabusi edilizi (sopraelevazioni, verande trasformate in stanze, locali allargati), i cambi di destinazione d’uso e altre forme di utilizzo del territorio anche senza cemento, come i depositi a cielo aperto.
Dopo anni di denunce inascoltate, per richiamare l’attenzione sull’Appia, la direttrice Rita Paris ha deciso di promuovere un inedito festival intitolato «Dal tramonto all’Appia». Tre serate di eventi gratuiti – mostre, concerti di musica classica, inaugurazione della chiesa medievale di San Nicola, visite guidate, proiezioni, degustazioni gastronomiche – per far conoscere l’Appia, con le sue contraddizioni.
«Nonostante questo territorio sia pieno di ferite aperte, si può fare tanto», spiega la Paris. E così nell’ultimo weekend migliaia di persone hanno potuto «percepire l’idea della bellezza e dei problemi dell’Appia, con eventi culturali diversi da quelli che si trovano in città. Un successo strepitoso».
La storia dell’Appia è tormentata. La prima proposta di realizzare un Museo all’aperto risale al 1809. La prima legge di tutela al 1887. I primi restauri a metà Ottocento, con aree trasferite al Demanio: i monumenti erano tutti visibili e la strada richiamava migliaia di visitatori stranieri, con una media di sessanta carrozze al giorno.
Il piano regolatore del 1931 stabiliva una fascia di rispetto edilizio di 150 metri dalla strada e, per i palazzi più lontani, norme su altezze e materiali. Limiti flebili e mai rispettati, tanto che il piano del 1967, dopo la campagna giornalistica di Antonio Cederna seguita da un manifesto di quindici intellettuali tra cui Brancati, Silone, Moravia e Alvaro, dispose l’inedificabilità e l’acquisizione al patrimonio pubblico di tutta la zona.
Ma oggi solo 200 ettari su 3800 sono pubblici. Comune e Regione hanno condonato gli abusi, incoraggiandone altri. L’ultimo è stato scoperto due settimane fa: uno sbancamento di mille metri quadri per 3 di altezza per realizzare un piazzale (forse un deposito) a due passi dal mausoleo di Cecilia Metella. La soprintendenza denuncia invano.
I guardaparco sono solo 15 in tutta l’area. Monumenti importanti sono abbandonati, rinchiusi in recinti di ville come gazebo per picnic o trasformati impunemente in pertinenze residenziali. Basterebbero pochi milioni di euro per salvare e restaurare importanti monumenti. La soprintendenza fa quel che può, con gli spiccioli cerca di salvare il salvabile.
E poi il traffico: nessuna disposizione né limitazione: il prezioso basolato trattato come l’asfalto di una superstrada. Le auto costringono i malcapitati turisti a schiacciarsi contro il muro delle catacombe di San Callisto per evitare di essere investiti.
Ma la colpa è degli antichi romani che non avevano pensato ai marciapiedi…

Autore: Giuseppe Salvaggiulo

Fonte: La Stampa.it, 11/07/2012

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