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ROMA: La Collezione Castellani, a Villa Giulia.

Che la Collezione Castellani costituisca uno degli episodi di maggiore spicco nell’articolato percorso espositivo che il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia propone è noto a molti, come a molti capita di essere coinvolti emotivamente nel momento in cui, entrando nella Sala dei Sette Colli, si trovano letteralmente avvolti dalla magica atmosfera creata dal bagliore degli ori. Arduo peraltro è stabilire se in tale contesto l’attrazione maggiore sia da riconoscere nei materiali archeologici o nelle sfolgoranti creazioni dei Castellani esposte a fronte dei primi. In questa sala, del resto, forse più nitidamente che tra i vasi e i bronzi della ricca collezione si coglie la poliedrica personalità degli antichi proprietari e il senso e la valenza culturale della loro attività, sia sotto il profilo di instancabili e colti collezionisti, sia quali raffinati, eclettici eredi della lunga tradizione degli orafi romani. Risulta chiaro comunque quanto sia stata lucida e lungimirante la scelta di Augusto ed Alfredo, che tassativamente imposero che accanto agli ori archeologici della loro ricca collezione figurassero quelle oreficerie prodotte da una bottega che, nell’arco di molti decenni, seppe dar vita ad originali creazioni, ma anche a copie e rielaborazioni dell’antico che stentano a trovar confronti. Parallelamente si comprende come tali oggetti, diffondendosi e rapidamente affermando in Europa la moda del gioiello archeologico, siano stati anche veicolo di trasmissione di uno straordinario patrimonio culturale e delle sue complesse radici storiche. Se volessimo parlare con termini moderni potremmo in sostanza dire come, oltre che per la loro fama di mercanti antiquari e di collezionisti, i Castellani debbano essere considerati quali abili imprenditori, capaci di promuovere un “made in Italy” ante litteram, una produzione artistica caratterizzata da una profonda identità culturale, esito di un lungo e approfondito processo conoscitivo.

Questo è il senso del forte messaggio che si coglie allorché l’occhio spazia tra antico e moderno, quel moderno che, se all’epoca della donazione si accettò con grandi difficoltà di far figurare all’interno di una esposizione archeologica, oggi non solo si integra con quella ma concorre ad illustrarla, dandoci insieme misura di un rapporto dinamico di straordinario interesse.

Questa breve premessa appare doverosa per introdurre la mostra I Castellani e l’oreficeria archeologica italiana che, dopo le edizioni di New York e di Londra, viene ora ospitata nella Sala delle Arti e delle Scienze al piano nobile della villa di Papa Giulio III collocandosi nel quadro delle iniziative di collaborazione con Istituzioni museali e scientifiche statunitensi previste dal Memorandum Italia-USA. Si tratta di un evento che, raccogliendo gli esiti di un dibattito scientifico divenuto via via più vivace negli ultimi decenni, propone al pubblico italiano, come già a quello americano ed inglese, un’ampia panoramica utile ad inquadrare, attraverso una selezione attenta e accurata dei prodotti della bottega, l’attività di una stirpe di orafi. Non solo ma nell’edizione italiana vengono ad essere ricongiunti al nucleo storicizzato dei preziosi di Villa Giulia gioielli attualmente conservati in collezioni diverse sia pubbliche che private, con un risultato che non esitiamo a definire attraente sotto ogni profilo.

La scelta operata dalle curatrici, Susan Weber Soros e Stephanie Walker, con il contributo di studiosi italiani e stranieri, ci restituisce un quadro che dagli esordi della bottega si spinge a considerare gli epigoni della produzione, ponendo in opportuna evidenza la diversa personalità dei membri della famiglia Castellani come pure la varietà e la qualità della loro attività di orafi, che ininterrottamente si rapporta ai modelli dell’antico. L’edizione italiana della mostra, registrando alcune variazioni rispetto a quella americana, accoglie inoltre alcuni “nuovi” inediti oggetti e documenti originali concessi dall’Archivio di Stato di Roma. Le soluzioni espositive adottate, peraltro, intendono evocare la musealizzazione ottocentesca della collezione e dei preziosi, che vengono proposti sullo sfondo di quelle “sale di ricevimento”, precedentemente inedite, dello studio Castellani ubicato in piazza Fontana di Trevi, tappa obbligata nella seconda metà dell’Ottocento di personaggi famosi, di politici, di esponenti della più alta nobiltà europea. Un ulteriore tocco di evocazione viene conferito alla mostra mediante la ricostruzione di un angolo dello studio ove due “visitatrici” elegantemente abbigliate con abiti d’epoca impreziositi dai gioielli Castellani sono intente ad osservare le creazioni della bottega.

Si è trattato di un faticoso impegno che volentieri lo staff del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia ha affrontato non solo nell’intento di promuovere e ulteriormente accreditare presso il pubblico un patrimonio straordinario, ma soprattutto di far conoscere, attraverso documenti d’eccezione, quel mondo dell’archeologia antiquaria che tanto concorse alla formazione delle raccolte italiane e straniere e che appunto nella collezione Castellani trova ancor oggi una delle sue più vivide testimonianze.

Desidero a questo punto ricordare Luciana Di Salvio che, con il gruppo dei suoi bravi collaboratori e con Nicola Missori ha curato l’allestimento, Patrizia Aureli del Servizio Mostre, e ancora Marco Sala, Letizia Arancio, Adelia Carraro, i consegnatari e il personale di custodia tutto.

Quanto si è fatto certamente non avrebbe potuto essere realizzato senza il supporto della Direzione Generale per i Beni Archeologici, guidata dalla dottoressa Anna Maria Reggiani, e della Direzione Generale per l’Innovazione Tecnologica e la Promozione, guidata dall’architetto Antonia Pasqua Recchia, che ha inoltre concretamente sostenuto la realizzazione del bel catalogo stampato da “L’Erma” di Bretschneider, cui si è aggiunta la sponsorizzazione della Federazione Italiana Tabaccai e del Nobil Collegio di S. Eligio. Sono altresì grata alla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio, guidata dall’ingegner Luciano Marchetti, che ci ha dato indicazioni per gli aspetti giuridico-amministrativi, attentamente vagliati dalla dott. Maria Rosaria Mencarelli. Mi è gradito ancora ricordare la disponibilità dimostrata dai Musei prestatori, il British Museum e il Victoria and Albert Museum, il Museo del Louvre, il New College di Oxford, i Musei Capitolini, l’Istituto Statale d’Arte di Roma e la Basilica Patriarcale di Santa Maria Maggiore, come pure dai collezionisti privati. I documenti d’archivio che concorrono a integrare l’esposizione italiana provengono dall’Archivio di Stato di Roma, diretto da Luigi Londei. Un grato pensiero rivolgo infine ai discendenti della famiglia Castellani con i quali continua ininterrotto il proficuo dialogo avviato quasi un secolo fa e che ci sono stati anche in questa occasione vicini.

Gli aspetti organizzativi della mostra e quelli legati alla promozione e alla diffusione sono stati curati, con la consueta competenza, da Ingegneria per la Cultura srl del Gruppo Zètema.

Un vivo ringraziamento per la collaborazione prestata rivolgo inoltre a Bonizza Giordani Aragno, consulente per gli abiti d’epoca prestati da Costumi d’Arte Peruzzi e a Maria Stella Margozzi del Museo Boncompagni.

Un grazie particolare infine a Francesca Boitani che, con me impegnata ormai da anni nella crescita del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, ha condiviso questa nuova, gratificante esperienza curandone ogni dettaglio e portandola a buon fine.

Autore: Anna Maria Moretti Sgubini – Soprintendente per i Beni Archeologici del Lazio

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