Nuovi dati dalle ricerche archeologiche nei collettori fognari». Come anticipato sul numero di ottobre del «Giornale dell’Arte», durante i lavori di restauro, tuttora in corso al Colosseo, sono emerse importanti novità che fanno luce, nelle parole di Alfonsina Russo, direttore del Parco archeologico, «sulla vita quotidiana all’Anfiteatro Flavio, fatta di piccoli pasti e giochi per passare il tempo». I responsabili del team di restauro, che terminerà nel gennaio 2023, ci illustrano il complesso progetto, che prevede il restauro delle superfici e un consolidamento strutturale sull’intera controfacciata nord del monumento.
Perché questo intervento?
L’intervento, spiega Barbara Nazzaro, architetto responsabile tecnico del monumento e direttore dei lavori, è stato programmato in ragione della realizzazione del tratto della metropolitana linea C che passa a 35 metri di profondità ma non distante dal Colosseo. Pertanto in occasione del passaggio delle talpe nel 2019, oltre ai sistemi di monitoraggio statico e dinamico installati da alcuni anni sulla facciata del monumento, sono stati installati dei ponteggi con funzione di presidio e in seguito sono iniziati i lavori di restauro e consolidamento della controfacciata.
Come abbastanza noto, da secoli il Colosseo ha perso la continuità strutturale dell’anello esterno e la controfacciata è solidale con la cavea dell’Anfiteatro solo in ragione del corpo di fabbrica realizzato da Luigi Canina alla metà del 1800, ripristinando in parte l’organicità costruttiva necessaria. Per il resto i crolli avvenuti nei secoli passati hanno privato la controfacciata del sistema di volte e ambulacri che costituivano la struttura originaria, esponendola potenzialmente a situazioni di maggiore rischio.
A conferma di ciò, diversi studi hanno evidenziato come la parete settentrionale presenti un comportamento locale, che la pone proprio come una delle porzioni più vulnerabili dell’Anfiteatro Flavio nei confronti di una possibile azione dinamica (sismica o vibrazionale). Inoltre l’uso di materiali diversi tra loro (travertino, laterizio e conglomerato-opus caementicium), le diverse fasi realizzative e le trasformazioni nel tempo, unite agli eventi naturali (incendi o terremoti) o antropici, legate anche a nuove esigenze funzionali del monumento, hanno interferito con la conservazione delle murature antiche: si è reso dunque necessario un intervento di restauro e consolidamento delle superfici e delle strutture, attraverso l’utilizzo di metodologie calibrate a ogni tipologia di materiale.
Per queste ragioni la realizzazione del tratto della metropolitana linea C, con lo stanziamento dei fondi per la compensazione dei lavori dell’infrastruttura pubblica, è divenuta la causa ma anche l’occasione per la messa in sicurezza e la manutenzione straordinaria delle superfici, oggetto negli anni passati di interventi settoriali ma mai estensivi. Questi lavori in un certo senso completano, almeno nel fronte settentrionale, quelli di pulitura delle superfici della facciata sponsorizzati da Tod’s.
In quali fasi è articolato il restauro e come state intervenendo sulle differenti tipologie di materiali?
L’intervento, spiega Angelica Pujia, restauratrice e direttore operativo del cantiere, è stato concepito pianificando una serie di operazioni volte a restituire la corretta lettura delle superfici e dei diversi materiali che le compongono e a preservare nel tempo la conservazione dei materiali costitutivi. Le attività sono articolate nella rimozione della vegetazione infestante e delle patine biologiche che si sono formate sulla superficie ma che, in alcuni casi, sono penetrate anche in profondità per mezzo di apparati radicali molto sviluppati. A questa fase segue il consolidamento della pietra, dei laterizi e delle malte degradate che, a causa della lunga esposizione, hanno perduto le loro caratteristiche meccaniche originali; si procede poi alla sigillatura di tutte le fessurazioni e fratturazioni presenti, utilizzando malta di calce e materiali tradizionali, allo scopo di evitare la penetrazione delle acque meteoriche e la deposizione di terriccio, polveri e inquinanti portati dal vento. Nel caso di alcuni distacchi maggiori sono stati realizzati consolidamenti di profondità per mezzo di iniezioni di malta e l’inserimento di perni a fissare gli elementi scollegati.
Sono state messe a punto metodologie di intervento diversificate in ragione dei diversi materiali costitutivi, in base alle loro caratteristiche specifiche e al loro stato di conservazione; la pulitura delle superfici, ad esempio come nel caso del travertino, viene eseguita con il metodo della nebulizzazione: un sistema che tramite piccoli bracci snodabili emette minutissime gocce d’acqua che grazie al notevole potere pulente disciolgono i depositi superficiali aderenti alla pietra. Nel caso in cui invece la materia appare troppo fragile o porosa, o nel caso di cortine laterizie e malte cementizie antiche la pulitura viene effettuata manualmente con irroratori e spugne. Tutte le operazioni vengono eseguite utilizzando prodotti compatibili con quelli originali riproponendo, per quanto possibile, i materiali e le tecniche di intervento usati in antico.
Quello in corso è un cantiere sia di restauro che di ricerca. Quanto è importante l’aspetto multidisciplinare di quest’attività?
Andiamo molto fieri di questo cantiere, spiega Federica Rinaldi, archeologa responsabile del monumento e RUP dei lavori, come di tutti i cantieri che sono attualmente in corso al Colosseo (l’ultimo dei quali è quello della galleria intermedia tra il secondo e il terzo livello dove abbiamo seguito lo stesso approccio). Le attività che portiamo avanti all’interno dell’Anfiteatro, infatti, non sono mai finalizzate al solo intervento di restauro in sé e per sé, ma sono sempre occasione – irripetibile – per raccogliere dati e informazioni che spaziano dalla lettura della stratigrafia degli alzati murari, al prelievo di campioni di malte e/o patine, alle verifiche strutturali, tutti momenti di imprescindibile conoscenza che spesso traggono ulteriori dati preziosi dalla ricerca d’archivio.
Nel caso del cantiere dell’attico (compreso tra il terzo e il sesto livello della cavea), come già di quello della galleria intermedia, il team di archeologi analizza e studia la sequenza stratigrafica degli alzati alla ricerca di tracce, in negativo o in positivo, riconducibili alla storia dei “cantieri” del Colosseo, ma nello stesso tempo offre al team dei restauratori le informazioni necessarie per un corretto intervento di restauro; ancora i restauratori con il supporto di fisici e chimici individuano e riconoscono quelle patine che si depositano naturalmente o artificialmente sulle superfici, alterandone l’aspetto finale, offrendo all’archeologo ulteriori elementi per la lettura storica; non da ultimo architetti e ingegneri strutturisti verificano la solidità dell’impianto e/o la presenza di possibili lesioni su cui intervenire, mentre i professionisti incaricati dei rilievi contribuiscono a tradurre graficamente i nuovi dati o ad aggiornare quelli noti ricostruendo il palinsesto.
La conoscenza del Colosseo, di cui rimane ancora molto da scoprire, non viene solo dallo scavo archeologico dei numerosi ambiti del monumento ancora intatti e che tanto potrebbe dire delle fasi di vita e di quelle post antiche, ma scaturisce anche e soprattutto da un approccio che consenta alle diverse discipline di dialogare per provare a meglio conoscere l’impianto di fondazione, le sequenze costruttive, quelle di rifacimento antiche e moderne.
I settori più in alto della cavea erano riservati ai ceti meno elevati della scala sociale romana. Avete trovato tracce che raccontano la quotidianità al Colosseo?
I posti nella summa cavea, risponde Alfonsina Russo, direttore del Parco archeologico del Colosseo, si trovavano a quasi 50 metri di altezza e la quotidianità che si svolgeva su quegli spalti, fatta di piccoli pasti e giochi per passare il tempo, andava persa anche a seguito delle pulizie quotidiane dei gradini della cavea, nelle canalette di deflusso delle acque e finiva nei collettori fognari. A questo proposito anticipiamo qui un’importante ricerca archeologica che abbiamo da poco concluso e che ha riguardato proprio lo scavo di uno di questi collettori da cui sono emersi moltissimi elementi relativi alla vita quotidiana e non solo, che meriteranno però un racconto dedicato.
Ad oggi possiamo dire che il restauro in corso ci consentirà di capire meglio il meccanismo dello srotolamento del velario che nelle giornate di sole intenso proteggeva il pubblico: partendo ancora una volta dalle fonti letterarie e dalle testimonianze iconografiche di monete e rilievi, incroceremo i dati presenti nella controfacciata e ricavabili dal sistema di scale e solai usati dai marinai della flotta Capo Miseno, con i dati raccolti sulla facciata esterna del monumento, durante le annuali attività di manutenzione ordinaria con piattaforma elevatrice mobile, e riferibili alle mensole e ai fori di alloggiamento delle travi di legno che sostenevano il peso del velario stesso.
L’intervento offre la possibilità di «leggere» il monumento in tutte le sue plurisecolari fasi: la costruzione, i restauri (ad esempio quelli dopo l’incendio del 217 d.C.), fino agli interventi ottocenteschi.
Quali sono gli elementi più interessanti finora venuti alla luce?
La controfacciata, prosegue Federica Rinaldi, è un palinsesto che racchiude 2mila anni di storia del Colosseo. Ora va detto che osservando dal piano dell’arena la controfacciata fino al colmo si riconoscono abbastanza bene gli interventi di restauro intervenuti dopo il noto incendio del 217 d.C. (che costrinse all’inagibilità l’Anfiteatro per almeno 5 anni), poi proseguiti anche nei secoli successivi almeno fino a quando l’edificio non perse del tutto la sua funzione primaria: i più macroscopici sono i blocchi di travertino, ora a vista (essendo andato perduto il paramento laterizio che in origine li rivestiva), tutti di reimpiego e provenienti preferibilmente da altri monumenti in disuso (semicolonne, blocchi modanati, architravi), sistemati senza il supporto di quelle grappe di metallo che invece caratterizzano l’impianto originario e che oggi, dopo gli spolii tardo antichi, hanno lasciato il posto alla fitta sequenza di vuoti che caratterizzano le superfici dei pilastri fino al terzo livello. Altrettanto percepibili dai livelli inferiori della cavea sono anche le diverse cortine laterizie di rivestimento dei blocchi di reimpiego, soprattutto quelle ottocentesche e novecentesche, cromaticamente e come fattura molto diverse da quelle di età romana.
Il ponteggio, con la sua estensione su tutti i 220 metri lineari della controfacciata, ci consente di notare particolari altrimenti impercettibili, ad esempio, alcuni bolli laterizi, di età severiana ma anche più tardi, di età tetrarchica, arrivando fino a quelli ottocenteschi, che contribuiscono alla definizione di una sequenza cronologica assoluta e sufficientemente precisa delle fasi di restauro; e ancora, i segni della lavorazione del travertino, indicatori di azioni costruttive su cui stiamo ragionando per interpretarne il significato e, se saremo fortunati, anche per stabilire le diverse fasi progettuali del Colosseo, consapevoli che l’incendio del 217 sopra citato ha purtroppo cancellato molte tracce dell’impianto flavio; non da ultimo il rilievo 3d in corso di elaborazione da parte dell’archeologo Dario Rose e dedicato agli elementi architettonici di reimpiego più significativi potrà probabilmente aiutarci nell’avanzare alcune ipotesi sulla loro provenienza, o sulla tipologia di edificio che, una volta smontato, fornì il materiale necessario per il ripristino del Colosseo nel III secolo d.C.
Autore: Arianna Antoniutti
Fonte: www.ilgiornaledellarte.com, 21 nov 2022