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ROMA. Il mistero della falsa lupa capitolina rimasta e di quella originale etrusca scomparsa.

lupa

La statua è l’icona stessa della fondazione della città. Le fonti antiche parlano di due statue bronzee della Lupa, una nel Lupercale, l’altra nel Campidoglio.
La prima statua, quella del Palatino, è citata nel 295 a.C., quando i due edili, Quinto Fabio Pittore e Quinto Ogulnio Gallo, le aggiunsero una coppia di gemelli. L’avvenimento, in base al racconto di Tito Livio, risale al 296 a.C. e si rese possibile grazie al denaro che gli stessi edili curuli confiscarono agli usurai. Non possediamo alcun indizio sicuro sul gruppo degli Ogulni, anzi il passo di Livio ha dato il via a due diverse interpretazioni, che considerano i gemelli come parte di un gruppo unitario o come un’aggiunta successiva ad un’immagine più antica della lupa. (wikipedia)
lupaVediamo tutti gli elementi che hanno portato a stabilire che è stata ottenuta nel medioevo.
Le prime notizie sicure sulla statua bronzea della Lupa capitolina risalgono al X secolo. La Lupa era conservata con altri monumenti, come l’iscrizione bronzea della lex de imperio Vespasiani, che venivano esposti come cimeli per attestare la continuità tra Impero Romano e papato, tra antichità e medioevo. La statua venne poi ospitata fino al 1471 nella Chiesa di San Teodoro, che si trova tra il Palatino ed il Campidoglio. In quell’anno fu donata da Sisto IV della Rovere al popolo romano e da allora si trova nei Musei Capitolini, nella Sala della Lupa. La scultura rappresenta una lupa che allatta una coppia di piccoli gemelli, che rappresentano i leggendari fondatori della città, Romolo e Remo. Queste ultime due figure furono aggiunte nel tardo XV, forse da Antonio del Pollaiolo, in accordo con la storia di Romolo e Remo: in un’incisione su legno delle Mirabilia Urbis Romae (Roma, 1499), appare già con i due gemelli.
Negli ultimi decenni quest’opera, da sempre considerata un’opera etrusco–italica, si trova al centro di un’accesa controversia che ha visto l’intervento dei massimi studiosi di Roma antica. Nel 2006, dopo l’ultimo restauro, la storica dell’arte e restauratrice Anna Maria Carruba ha pubblicato un libro nel quale attribuisce, per motivi tecnici, la fusione del bronzo all’età medievale, precisandone la datazione, in base a considerazioni di carattere stilistico, al IX secolo. Nel 2008, in seguito a una lunga serie d’interventi sulla stampa che attirano l’attenzione del grande pubblico, ha luogo presso la Facoltà di Lettere dell’Università “La Sapienza” un incontro scientifico, con le prese di posizione dei più accreditati esperti del settore improntate per lo più a scetticismo rispetto alla datazione medievale.
Il tema torna d’attualità con le rivelazioni sulla datazione al radiocarbonio eseguita presso l’Università di Lecce, che attribuisce la fusione al XII–XIII secolo. Un’ulteriore pubblicazione in tedesco e inglese, Die roemische Woelfin, appare nel 2011. Il giorno dopo la presentazione del volume a Francoforte, un articolo sul Der Spiegel presenta la Lupa come un falso che non si vuole riconoscere pubblicamente. Dal febbraio 2011 riprendono le indagini tecnologiche dirette sul bronzo da parte di Edilberto Formigli, con risultati in grado di conciliare le posizioni delle due correnti d’opinione: la Lupa sarebbe una copia di bronzo medievale eseguita attraverso un calco ripreso da un originale etrusco–italico.
lupaLa tecnica di fusione da calchi negativi
Dopo le ultime indagini è possibile dimostrare che sia coloro che parteggiavano per l’antichità della Lupa sulla base di accorgimenti iconografico–stilistici, sia coloro che, limitandosi ai soli aspetti tecnici, la datavano al Medioevo hanno avuto ragione. Si tratta, infatti, di una copia medievale da originale antico, eseguita con una tecnica a cera persa indiretta a calco. La struttura articolata di sbarre di sostegno interne, la disomogeneità degli spessori e la presenza d’impronte digitali su frammenti della terra di fusione avevano finora indirizzato gli studiosi a considerare la tecnica di fusione a cera persa diretta come l’unica possibilità per la Lupa e, quindi, a escludere implicitamente la possibilità dell’uso di calchi negativi. Si negava già a priori l’eventuale ipotesi che la Lupa potesse essere una copia. Esiste una tecnica indiretta, non conosciuta in età antica, che fa uso di calchi negativi e prevede la creazione manuale dell’anima interna. Con essa è possibile realizzare la fusione in un unico getto, senza bisogno di saldature successive. Le sbarre di ferro devono essere solidali l’una con l’altra ed entrare anche nelle parti più sottili, come nelle zampe di un animale o nelle braccia di una figura umana.
I ritocchi sulla cera lungo il vello dorsale
Lungo la parte alta della figura, dal vello all’attacco della coda della Lupa, per tutta la zona dorsale fino alla testa si rileva una fascia di ritocchi eseguiti su cera. Essa segue la linea di accostamento delle due valve negative, pressoché simmetriche, del calco principale. La cera era colata tra l’anima di fusione e i calchi negativi e lungo la linea di accostamento, tra le valve negative del calco si veniva a formare una cresta per l’infiltrazione della cera liquida dentro la fessura. Una volta tolti i calchi, si presentava la copia in cera, con la terra di fusione e l’armatura di ferro interna. In questo stadio dei lavori c’era la possibilità di ritoccare facilmente il modello togliendo, schiacciando o aggiungendo cera su cera. Nelle zone piane prive di modellature particolari; l’eliminazione delle creste di cera era molto più semplice e non lasciava tracce di sorta, mentre la parte di vello interessata dalle creste doveva essere accuratamente rimodellata.
Sul vello dorsale chi ha eseguito il ritocco aveva una modellatura di riferimento nella peluria circostante. La cera della cresta in sovrapposizione è stata eliminata e in parte schiacciata sulla modellatura riportata dal calco. Nella parte ritoccata delle ciocche, i solchi non sempre corrispondono a quelli del modello originale, sia come numero, sia come incurvatura e, in taluni punti, la leggera schiacciatura dei rilievi intorno ad essi indica chiaramente che il lavoro è stato eseguito su cera e non su bronzo. Anche alcune piccole escrescenze di fusione di forma rotondeggiante presenti nei solchi delle zone ritoccate dimostrano che queste non sono state riprese a freddo sul bronzo.
lupaUna coda adatta alla fusione in un unico getto
La coda attuale della Lupa non proviene da un calco dell’originale, ma è stata rimodellata ex novo e rifinita nei dettagli delle ciocche di peli dagli esecutori della copia e riadattata in posizione diversa. Tant’è che il tipo di modellatura del vello originario e quello della coda sono completamente diversi. La coda originaria aveva probabilmente una posizione libera, senza un accostamento e un contatto diretto con altre parti del corpo, ed è probabile che al momento dell’esecuzione dei calchi fosse già andata persa.
L’attuale posizione della coda, con l’attacco alla zampa posteriore sinistra, si è resa necessaria per la fusione della copia medievale in un unico getto. In questo modo il bronzo liquido poteva circolare tra la coda e la zampa, facilitando la buona riuscita del getto. Gli antichi fonditori, invece, con le loro avanzate tecniche di saldatura, non avrebbero avuto problemi di questo tipo e avrebbero potuto procedere con la fusione separata di una coda libera nello spazio e con una successiva giuntura per la saldatura metallurgica.
Trattamento del vello sul corpo e sulla coda
Il vello sul corpo della Lupa che possiamo vedere oggi è il risultato di diverse fasi di lavoro: dapprima la modellatura originaria antica su cera, che prima della fusione ha dato luogo alle masse in leggero rilievo dei riccioli del vello; poi, dopo la fusione, il ritocco a freddo direttamente sul bronzo, lavoro che non manca mai sulle opere antiche greche, etrusche e romane, in questo caso eseguito con scalpello.
In seguito, nel lungo periodo che va dal momento della sua prima esposizione fino all’età medievale, l’accumulo di polveri e prodotti di corrosione nei solchi del vello hanno contribuito a rendere meno “fresca” la resa della fine lavorazione antica. Questa minore chiarezza e incisività dei dettagli si saranno, inoltre, ripetute nei calchi medievali dai quali è stata ricavata la cera per la fusione della copia. Anche i successivi rimaneggiamenti del modello hanno provocato piccoli appiattimenti della cera, visibili su alcune punte di ciocche. L’antica lavorazione è ancora percepibile nella riproduzione delle ciocche sulla copia: si vedono ancora i profondi segni degli strumenti usati nella lavorazione a freddo, pur attenuati dal passaggio attraverso la calcatura e la successiva fusione in bronzo. Ciò che vediamo oggi del vello non ha subito un ritocco a freddo di rifinitura da mano medievale: possiamo, infatti, vedere molto chiaramente tutti quei piccoli difetti e protuberanze del bronzo lasciato così com’è uscito dalla fusione. Si notano, in particolare, numerose creste di fusione che attraversano i solchi della suddivisione dei riccioli.
Tornando sulla coda, si nota l’evidente diverso trattamento nella modellatura della peluria. Qui il rilievo della ciocca è minimo, ottenuto solo spianando la cera del sottofondo. Gli strumenti usati sono una spatola per i piani lisci e una punta per incidere sulla cera le linee di suddivisione dell’interno delle singole ciocche. Il modello di fusione in cera della coda, ottenuto per via diretta, conteneva al suo interno un’anima di terra e una sottile sbarra di ferro, che nella parte bassa andava ad accostarsi al modello della zampa in previsione del getto insieme all’intero corpo della Lupa.

Autore: Chiara Lucarelli, 31 mag 2018

Fonte: Fabio Rossi, Gruppo Italiano Amici degli Etruschi, 23 feb 2021

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