Gli interrogatori confermano i traffici svizzeri, un “memoriale” e l’”organigramma” di Hecht illustrano i collegamenti tra società e persone coinvolte negli illeciti.
L’8 febbraio, giornata grigia, è ripreso il processo con l’ormai solita richiesta per le riprese audiovisive, autorizzata dalle parti dato che sia Marion True che Robert Hecht sono assenti.
La traduzione dei quaranta documenti in inglese presentati come prove, per le difficoltà tecniche viene affidata al traduttore affiancato da un esperto in archeologia. Segue una bagarre sull’ammissibilità dei documenti, alla fine la corte si ritira e decide: alcuni sì, altri, relativi a pubblicazioni del “Los Angeles Times”, no.
Il pm Paolo Giorgio Ferri chiede di produrre nuove prove appena giunte dalla Svizzera, documenti contabili di varie società di Ginevra e fotografie, frutto di quattro diverse perquisizioni. Il presidente della corte Gustavo Barbarinaldo esorta gli avvocati della difesa a non fare un fuoco di sbarramento già in partenza.
Parte il controesame del teste della difesa Maurizio Pellegrini (funzionario dell’ufficio sequestri materiali clandestini della Soprintendenza archeologica del Lazio). Inizia l’avvocato di Stato Maurizio Fiorilli, con una decina di domande di chiarimento. Gli avvocati della difesa protestano ripetutamente, Franco Coppi (difesa True) durante la pausa pranzo sibila fuori dai denti: “Quest’aula è un salotto!”
Tutti si domandano se la difesa si avventerà sul teste, per mangiarselo vivo. Vannucci (difesa Hecht) sussurra: “È indigesto”.
Fonte: Il Giornale dell’Arte on line 01/03/2006
Autore: Federico Castelli Gattinara
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