Prima della decisiva battaglia contro Costantino, l’imperatore nascose sul Palatino i suoi ornamenti da parata perché non finissero in mano al nemico.
Doveva essere la prova tangibile del suo trionfo e invece sprofondò con lui nell’oblio della sconfitta. Il tesoro di Massenzio, autoproclamatosi imperatore nel 306 d.C., era stato nascosto nel cuore della Roma imperiale affinché non cadesse in mano al nemico, per essere poi recuperato al termine della battaglia di Ponte Milvio (312 d.C.) contro Costantino.
Però, dopo la disfatta, nessuno era tornato a prenderlo. I fedelissimi di Massenzio erano tutti morti e non si sapeva più dove cercarlo. Si trattava di armi, stendardi, globi di vetro ritrovati durante una missione di scavi diretta da Clementina Panella dell’Università La Sapienza di Roma.
Oggetti di sorprendente bellezza, che rappresentavano il potere e venivano sfoggiati in adunanze pubbliche e parate: saranno visibili dal 23 febbraio in una grande mostra a Palazzo Massimo. Il luogo della scoperta, alle pendici nord-orientali del Palatino, è un’area che 300 anni prima aveva ospitato la domus natale di Ottaviano Augusto.
La sfera in vetro verde appartenente allo scettro a calice e il globo in calcedonio
In una fossa ricavata nella pavimentazione di un ambiente sotterraneo gli esperti hanno scoperto strani astucci in legno di pioppo i cui coperchi erano collassati su loro stessi. Avvolti in seta e lino (resti degli stendardi ormai mineralizzati dal tempo) c’erano tre lance, due giavellotti con lame in ferro e impugnatura in oricalco (miscela di rame e zinco) cui venivano applicate le insegne, altri due giavellotti e tre sfere di vetro, due gialle e una verde, più una azzurra in calcedonio.
Grazie al lavoro di Esmeralda Senatore dell’Istituto centrale del restauro, la sfera verde ha trovato la sua naturale collocazione tra i petali di ferro di un piccolo scettro che faceva capolino dalla terra. Per le altre è stato necessario fare un ulteriore sforzo di immaginazione, fonti iconografiche alla mano.
«Un ritrovamento eccezionale, anche perché finora questi manufatti erano conosciuti solo attraverso le loro raffigurazioni su monete e pitture di età imperiale» dice Panella. «Entrambe le sfere gialle appartenevano, forse, a un secondo scettro, quella azzurra rappresenta la Terra ed era sormontata da un’aquila o dalla Vittoria. Forse si tratta di un terzo scettro o di un oggetto prezioso che simboleggiava la regalità».
Non si sa se per istinto o in seguito a qualche presagio Massenzio chiese a un suo uomo di mettere al sicuro le insegne prima dello scontro con Costantino. Nel 306 d.C. Massenzio era assurto al soglio imperiale al posto di Severo nei territori precedentemente governati dal padre Massimiano, cioè l’Italia e l’Africa, mentre in Gallia e Britannia il comando era passato nelle mani di Costantino. Quando, due anni dopo, quest’ultimo fu nominato Cesare (cioè unico imperatore), nessun ostacolo giuridico sembrava più frapporsi tra lui e il potere assoluto, a eccezione del ribelle Massenzio.
Dopo gli scontri di Torino e Verona, la battaglia finale avvenne il 28 ottobre 312. Con 100 mila uomini Massenzio pregustava la vittoria. Ma la notte prima, accampato con le truppe all’entrata nord della città, sulla via Flaminia, Costantino ebbe una visione. Secondo la leggenda, gli apparve una croce con la scritta «In hoc signo vinces» nel disco solare.
Al risveglio fece segnare tutti gli scudi con una croce latina e, nonostante l’inferiorità numerica, sbaragliò le truppe nemiche. Massenzio stesso morì annegando nel Tevere. Degli anni di Massenzio sono rimasti i resti della Villa sull’Appia Antica, la Basilica e poco altro.
Il corpo fu recuperato dalle acque e la sua testa divenne lo stendardo portato in trionfo dalle truppe nemiche. I suoi simboli pagani sarebbero stati invece soffocati dalla polvere dei secoli e sostituiti da quelli, crociati, del vincitore.
Fonte: Panorama.it 31/01/2007
Autore: Marco Merola
Cronologia: Arch. Romana