Un nuovo progetto di tirocinio, finanziato dalla Provincia, gestito dal Centro Studio e Lavoro “la Cremeria” in collaborazione con il Comune di Reggio unitamente alla Casa Circondariale, attuato fuori dalle mura del carcere per formare figure professionali nel campo del restauro archeologico.
E’ molto difficile oltrepassare la “frontiera” che separa la libertà dalla prigionia, sia questa fisica o mentale, e accade frequentemente che quella stessa “frontiera” sia delimitata da sbarre che rendono la distanza impossibile da attraversare.
La cultura, l’arte può essere uno strumento di recupero sociale dei detenuti e un mezzo
per favorire il reinserimento nel mondo del lavoro, una volta lasciato il carcere. Con questa convinzione a Reggio Emilia ha visto la luce una esperienza totalmente nuova, la prima del suo genere, attuata con cinque detenuti della Casa Circondariale per
iniziativa di più Enti.
I soggetti che hanno reso possibile questa iniziativa sono: la Provincia di Reggio Assessorato “Lavoro, formazione Professionale, politiche del lavoro” (Ente Finanziatore), il Centro Studio e Lavoro “la Cremeria” srl del Comune di Cavriago (Ente attuatore accreditato), il Comune di Reggio Emilia (Assessorato alla Cultura – Musei Civici e Assessorato ai diritti della cittadinanza e pari opportunità – Politiche per l’integrazione, l’inclusione e la convivenza), la Casa Circondariale.
Si tratta di un progetto di tirocinio soprannominato “La Pulce al Museo” destinato a formare nuove figure professionali nel campo del restauro archeologico. Da sottolineare anche la collaborazione sviluppata con due ditte private, Gea s.n.c. e Opus restauri s.r.l. e il patrocinio della Soprintendenza per i beni archeologici dell’Emilia Romagna.
L’iniziativa non a caso ha preso il via dal territorio, dal patrimonio della città. Alle collezioni archeologiche dei Musei Civici fanno capo locali di deposito dei materiali provenienti da scavi effettuati a Reggio e provincia negli ultimi decenni.
La Pulce è la località alla periferia meridionale della città in cui non soltanto ha sede la Casa circondariale di Reggio, ma anche uno dei maggiori depositi dei Musei Civici, nel quale vengono ricoverati i materiali archeologici provenienti da scavi urbani, per lo più risalenti all’età romana. Fra questi sono le oltre 1000 cassette che dal 1978 (anno del ritrovamento) contengono i materiali dello scavo effettuato nell’area della palestra dell’Istituto scolastico “Scaruffi”, dove in età romana si sviluppava il principale quartiere industriale della città, in cui si producevano ceramiche.
Il progetto rivolto ai detenuti, la cui fase attuativa è iniziata a novembre 2006, ha ormai superato il periodo di rodaggio ed è entrato nel vivo delle operazioni. Si concluderà nel prossimo mese di giugno. L’iter comporta l’acquisizione delle fondamentali conoscenze della storia e archeologia della Reggio romana, delle caratteristiche dei materiali che si rinvengono in scavi di età romana, delle tecniche dello scavo archeologico, del trattamento del materiale ceramico dal momento dell’acquisizione dopo lo scavo sino alla
musealizzazione ed esposizione al pubblico.
A differenza di altre iniziative in Italia questo progetto presenta alcune caratteristiche del tutto nuove. Innanzitutto “La Pulce al Museo” è sviluppato totalmente fuori dal carcere.
Un gruppo di detenuti, condannati è stato autorizzato con il beneficio del lavoro all’esterno ad uscire dalle mura della Casa circondariale per seguire l’iter formativo nelMuseo di Reggio Emilia, lavorando fianco a fianco con specialisti del settore.
In secondo luogo non va sottovalutata la possibilità che si offre ai partecipanti al progetto di trovare uno sbocco lavorativo ed anzi una possibile assunzione nel campo dei beni culturali (come tecnici dello scavo archeologico o come restauratori), assicurata dalle ditte che collaborano al progetto. Un aspetto che deve altresì essere messo in evidenza è l’occasione offerta ai detenuti non solo come momento di crescita culturale e di reinserimento nella società in attuazione del mandato istituzionale, così come detta l’art. 27 della Costituzione, ma anche di condivisione partecipata della storia della città che li ospita. I detenuti coinvolti sono infatti prevalentemente stranieri e la conoscenza del luogo in cui vivono, a cominciare dal suo passato più antico, non può che favorirne l’integrazione e la convivenza con la popolazione residente.
Fonte: Sesto Potere 20/03/2007