Gli scavi condotti – con diverse campagne – dal Parco Archeologico di Altino e dall’Università Ca’ Foscari di Venezia stanno portando alla luce nuovi elementi che arricchiscono la comprensione di un centro urbano cruciale per la storia del nord-est italiano. Situata ai margini di quella che poi conosceremo in epoca ben più tarda come “Laguna di Venezia”, Altino fu un nodo di connessione fondamentale tra l’entroterra e il mondo marittimo nell’antichità, grazie alla sua posizione lungo le grandi vie di comunicazione pre-romane e romane.
Nonostante la sua importanza storica, la città è stata profondamente compromessa dalle spoliazioni sistematiche avvenute a partire dalla tarda antichità, ed oltre il Medioevo, per fornire materiali alla nascente Venezia. Oggi, Altino rappresenta un sito archeologico chiave per studiare non solo la romanizzazione del Veneto, ma anche le complesse dinamiche di trasformazione del territorio tra età preromana e tardoantica.
Altino si configurava come un centro strategico dei Veneti antichi, situato lungo le rotte fluviali che collegavano l’Adriatico all’entroterra. La sua successiva integrazione nella rete romana la trasformò in una città fiorente della Decima Regio, dove le vie Popilia e Annia si incontravano, garantendo un flusso costante di merci, persone e idee.
La sua importanza commerciale è confermata non solo dalle evidenze archeologiche, ma anche dalla presenza di un porto interno – in una sorta di osmosi tra mare e acque interne, collegato direttamente alla laguna, e da infrastrutture idrauliche avanzate che ne hanno supportato la crescita urbana.
Dopo il declino del controllo centrale romano e con l’ascesa di Venezia, Altino fu progressivamente abbandonata. Sulle tempistiche di questa trasformazione e su quanto fu effettivamente “progressiva”, molto è ancora da studiare.
A partire dal IX secolo, questo appare certo, le sue strutture ancora visibili (e per la verità anche quelle non visibili come preparazioni di sedi stradali ed edifici) venivano sistematicamente smantellate per recuperare materiali da costruzione. Marmi, laterizi e blocchi lapidei furono trasportati lungo i canali verso la laguna per edificare chiese, palazzi e infrastrutture della Serenissima. La calcare lavorarono a pieno regime per trasformare ornamenti architettonici, o vere opere d’arte, preziosi in calce.
Questa spoliazione, pur avendo letteralmente “smontato” il sito, ha comunque permesso di conservare sotto il livello arabile la traccia delle sue testimonianze più importanti. Oggi, gli scavi stanno rivelando quanto ancora giace materialmente e molto spesso in forma di traccia negativa (trincee di spoliazione, scavi di fondazione etc,.) sotto i sedimenti delle attività agricole e di bonifica. Grazie alla grande stagione delle prospezioni (in particolare del dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova e del team diretto da Paolo Mozzi negli anni 2007 e 2008) la città ha una mappa, che da “cartina di tracce” gli scavi stanno trasformando lentamente in mappa di evidenze archeologiche, cucendo tra loro le testimonianze materiali e tangibili aumentando così le conoscenze della vita del centro urbano.
Tra le scoperte più rilevanti del lavoro diretto da Marianna Bressan si segnala una strada basolata risalente al I secolo d.C., in piccola parte conservata e sfuggita alla spoliazione, con crepidini laterali e canalette di scarico. Questa infrastruttura urbana si inserisce in un sottostante sistema idrico complesso, che include una grande cloaca voltata, alta circa 1,80 metri, e un’articolata rete di canalette secondarie.
Sorprendentemente, alcune di queste canalette sono ancora funzionanti, una testimonianza della ben nota efficienza ingegneristica dei Romani. Gli archeologi hanno inoltre rilevato che molte di queste strutture furono costruite sfruttando e modificando un canale precedente, probabilmente risalente alla fase veneta preromana.
Un altro aspetto di rilievo è rappresentato dal continuo rinvenimento di numerosi frammenti di intonaco dipinto e stucchi decorativi. I motivi ornamentali, tra cui partiture architettoniche e motivi vegetali, rivelano il lusso e la raffinatezza delle domus altinati in epoca imperiale.
Accanto agli intonaci, gli scavi hanno restituito ceramiche invetriate, vetri di pregio e frammenti di marmi colorati, testimonianze del tenore di vita elevato di una parte della popolazione locale. Alcuni di questi materiali sono già stati restaurati ed esposti nella mostra permanente “Modus Vivendi” al Museo Archeologico Nazionale di Altino. Grande attenzione, negli scorsi anni, anche al restauro e alle ricostruzioni dei dipinti murali da parte dell’istituto Veneto per i Beni Culturali.
Il lavoro archeologico ad Altino si scontra con sfide complesse legate alla sua storia di spoliazione e trasformazione del territorio. Naturalmente a differenza di siti come quelli vesuviani, Altino non presenta una stratigrafia “congelata”, ma una sequenza complessa di fasi costruttive e di demolizione e di abbandono, che richiedono un’analisi approfondita per ricostruire la storia della città.
Nonostante ciò, le recenti scoperte stanno rivelando una dimensione tridimensionale della pianta urbana, evidenziando la sua capacità di adattarsi ai mutamenti culturali ed ambientali. Lo studio delle sue infrastrutture e della loro evoluzione nel tempo rappresenta una finestra unica sulla pianificazione urbanistica romana e, in molti casi, preromana.
Altino non è solo un sito archeologico; è una cartina di tornasole delle trasformazioni culturali, economiche e ambientali che hanno caratterizzato il nord-est della penisola, ai margini della pianura Padana, nel corso dei secoli. Le sue strade, le sue infrastrutture ed i suoi frammenti decorativi non parlano solo di una città “scomparsa”- titolo che le spetta a tutti gli effetti – ma di un luogo che ha contribuito a plasmare la storia del territorio per millenni, durante la sua lunga vita urbanistica e nella sua vita post-urbana, di trasformazione.
La località Rialto o Ghiacciaia, al centro delle indagini archeologiche da diversi anni, è una delle aree più significative del tessuto urbano di Altino. Diretti dal professor Luigi Sperti dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, gli scavi hanno portato alla luce una complessa rete stradale ed abitativa che testimonia l’evoluzione urbanistica della città tra il periodo augusteo e l’età imperiale.
Gli scavi hanno evidenziato anche qui tratti di strade basolate interne, complete di crepidini laterali e canalette di drenaggio sotterranee. Queste vie, in alcuni casi utilizzate per delimitare isolati residenziali, mostrano segni evidenti di spoliazione, con i basoli rimossi per recuperare i laterizi delle condotte idrauliche sottostanti. Tuttavia, una parte del tracciato stradale è rimasta intatta, permettendo agli archeologi di studiarne le caratteristiche costruttive e il rapporto con il sistema idrico.
L’area ha inoltre rivelato un sistema di smaltimento delle acque sorprendentemente ben conservato, con canalette voltate e strutture più semplici in laterizi. Questi ritrovamenti confermano la capacità di Altino di adattarsi alle condizioni ambientali della laguna, attraverso infrastrutture pianificate con grande competenza ingegneristica.
Tra i reperti più significativi emergono importanti lacerti di mosaici pavimentali, intonaci dipinti policromi e rivestimenti marmorei. Le decorazioni includono motivi vegetali e architettonici, e anche i tubuli per il riscaldamento degli ambienti testimoniano il lusso delle domus altinati.
Insieme agli elementi architettonici, sono stati recuperati oggetti di pregio, come ceramiche invetriate e terra sigillata africana, che riflettono il ruolo di Altino nei commerci di lunga distanza. Tra i numerosi reperti dell’estate 2024 non mancano le monete, databili principalmente al III secolo d.C., utili per contestualizzare le varie fasi di occupazione dell’area.
Gli scavi nella località Rialto o Ghiacciaia rappresentano un progetto di lungo termine, con risultati preliminari che sono già oggetto di studio e pubblicazione.
La campagna estiva del 2024 si è concentrata sulla comprensione dei collegamenti tra i vari edifici individuati negli scorsi anni, in vista di ulteriori lavori previsti per il 2025. Questa continuità di ricerca permette di costruire una visione sempre più dettagliata dell’organizzazione urbana di Altino.
La sfida per il futuro resta quindi trasformare Altino da “cava dimenticata” a luogo di valorizzazione culturale e scientifica, con un’attenzione particolare alla conservazione ed alla comunicazione delle sue straordinarie testimonianze. Il museo, moderno e ben progettato, è un punto di riferimento, ora c’è l’istituzione del parco archeologico e quindi il progetto può decollare in un contesto storico-ambientale affascinante e da far vivere sia nel territorio che per un turismo diverso e più consapevole della Laguna oltre Venezia e prima di Venezia.
Autore: Angelo Cimarosti
Fonte: archeoreporter.com 14 gen 2025