La più grande casa etrusca arcaica mai scoperta in Italia. Trovata per caso, riconosciuta quasi controvoglia e ora accerchiata ogni giorno di più dai capannoni dell’Interoporto di Prato. Un progetto di Parco Archologico Naturalistico (con museo) che non decolla. E un’area di importante rilevanza archeologica di oltre 12 ettari (30 quelli tutelati), una delle più estese città dell’Etruria settentrionale, a rischio. «Di abbandono e di sepoltura sotto una coltre eterna di cemento» denunciano i comitati cittadini che dieci giorni fa hanno addirittura organizzato una manifestazione di piazza in difesa degli etruschi. Mentre la Soprintendenza dei beni archeologici per la Toscana ha presentato una denuncia contro ignoti per «furto di reperti archeologici».
E’ questa in estrema sintesi la storia recente dell’insediamento di Gonfienti, Prato, Toscana, Italia. Una grande città etrusca risalente al VI-V° secolo A.C. venuta alla luce per caso dieci anni fa mentre alla periferia est di Prato (nella frazione di Gonfienti, appunto) si iniziavano gli scavi per costruire l’Interporto della Toscana Centrale, concepito come il più grande scavo merci regionale. Un investimento di milioni di euro su un’area di 80 ettari attraverso una società costituita ad hoc e posseduta al 45% dal comune di Prato. Che ha investito anche su questa struttura per rilanciare un’economia negli ultimi anni troppo stagnante dopo i periodi d’oro del tessile.
Nel bel mezzo degli scavi per l’Interoporto sono apparsi loro, gli etruschi di Gonfienti. Vecchi di migliaia di anni, inattesi quanto misteriosi. E ingombranti. Era il 1996. Eccitazione del mondo accademico e tra gli addetti ai lavori, interviene la Soprintendenza archeologica, qualcuno si emoziona (forse troppo, arrivando ad ipotizzare che fosse questa la mitica città dove trovò sepoltura Re Porsenna), qualcuno non si emoziona affatto pensando di ricoprire tutto e risolvere così il problema (non facile) di far convivere esigenze di modernità ed archeologia, gruppi di cittadini si costituiscono in associazioni per difendere «un bene che appartiene a tutti». Quello che resta è una scoperta destinata a segnare una svolta nello studio della storia degli etruschi, un popolo tanto importante quanto ancora poco conosciuto. Un ritrovamento che ha avuto risalto sui giornali esteri (The Times, Discovery Channel nel 2000, due pagine sul Sunday Times del 18 aprile 2004, solo per fare alcuni esempi) ma non abbastanza su quelli italiani, forse «troppo» abituati ai ritrovamenti archeologici.
Gli etruschi costringono l’Interporto a cambiare progetto (non più una struttura circolare ma verticale) e la società si adopera per le saggiature insieme alla Sovrintendenza mettendoci i soldi (oltre 800mila euro, di cui 490mila circa arrivati dalla regione Toscana grazie ai fondi europei). La statuetta votiva in bronzo di squisita bellezza detta «l’offerente» (e ora al British Museum di Londra) rinvenuta nel 1735 in collina a Pizzidimonte, meno di un chilometro in linea d’aria dall’insediamento appena scoperto, non era dunque un caso. In quella zona, all’estremità della pianura pratese, sotto l’Appennino, lungo l’autostrada del Sole che oggi collega il nord con il sud Italia, si erano già insediati migliaia di anni fa gli etruschi. E non avevano fatto una città da poco ma un villaggio di grandi dimensioni con una ordinata struttura urbanistica, strade larghe anche dieci metri, numerosi edifici, canalizzazioni lastricate in pietra a secco con pozzi di drenaggio.
La città etrusca di Gonfienti è apparsa, a seguito dell’analisi archeologica, come una delle più grandi mai scoperte fin’ora. Una città «coloniale» organizzata secondo uno schema ortogonale con aree abitative drenate da profondi canali perimetrali su un’importante via di comunicazione che la collegava alla città gemella di Marzabotto. Fondata nel VI secolo a.C. sulla base di un’attenta pianificazione urbanistica, Gonfienti è stata per duecento anni un importante centro commerciale dell’Etruria. Al punto da – pare incredibile – aver sviluppato anche un’attività tessile: gli etruschi avrebbero anticipato di almeno 2.500 anni la moderna attività di Prato. Lo confermano i reperti allo studio degli archeologi (migliaia le cassette di materiali raccolti e catalogati).
In mezzo agli scavi, appaiono anche i muri perimetrali di un’abitazione di 1400 metri quadri, «la più grande abitazione esistente in Italia per orizzonte etrusco – dice il professor Luigi Donati, ordinario di Etruscologia all’Università di Firenze, uno dei massimi esperti in materia che ha seguito anche parte degli scavi – un’abitazione che presentava una corte porticata decorata, con una messe importante di materiali e di cui oggi restano le fondamenta. Una scoperta assolutamente inattesa».
Un edificio di 1400 metri quadri articolato attorno ad un cortile centrale in cui si trovava il pozzo e che era attorniato da un portico a colonne ricoperto da tegole e coppi. Intorno erano disposti tutti gli altri ambienti: cucina, dispensa, zone di rappresentanza e ambienti di servizio, sul modello della “Domus romana pompeiana”. L’edificio era anche dotato di sistemi di drenaggio delle acque con una grande fogna e scannafossi laterali, ancora in parte funzionanti.
Una grande casa residenziale, dunque, all’interno di un’estesa città composta «secondo le esemplificazioni di Marzabotto e Roma», scrive l’archeologo Gabriella Poggesi, responsabile della Sovrintendenza della Toscana per questi scavi. «Un nuovo centro etrusco, esteso ad oggi per 12 ettari, realizzato in forme urbanistiche regolari almeno dalla seconda metà del VI secolo. Con una sistemazione razionale del territori dall’età arcaica». Dunque una vera e propria «città dei vivi». Tra i tanti oggetti recuperati anche quattro antefisse a testa femminile in terracotta che ornavano i tetti del portico attorno al cortile interno della casa, servizi di piatti, numerosi buccheri di produzione locale con forme peculiari e vasi attici di importazione. Senza tralasciare una meravigliosa coppa attica a figure rosse che è stata attribuita al pittore Duris che la realizzò probabilmente tra il 475 e il 470 a.C.
«Ad ora abbiamo messo sotto tutela circa 30 ettari – aggiunge la dottoressa Poggesi – Abbiamo lavorato a lungo e recuperato molti reperti che ora sono in fase di restauro e catalogazione, abbiamo fatto nell’area varie centinaia di saggi ed abbiamo scansionato la zona con il georadar: circa 100 km di profili prodotti. L’archeologia ha vinto, la città etrusca è venuta fuori». Cinque le campagne di scavo finanziate fino ad oggi dalla Sovrintendenza (100mila euro all’anno per cinque anni).
La costruzione dell’Interporto nel frattempo non si è fermata. Fianco a fianco agli scavi della città etrusca in una non sempre facile convivenza. E non senza polemiche. Come l’ultima in ordine di tempo, quando alla fine dello scorso gennaio, durante i lavori per realizzare un parcheggio per i tir è venuto fuori un tratto di strada etrusco. «Un decumano di assoluta importanza che indica l’originale orientamento dell’insediamento. Una scoperta rilevante subito cementata dalla Sovrintendenza che ha dato il via libera a costruirci sopra» attacca il professor Giuseppe Centauro, docente di Resturo architettonico all’Università di Firenze e uno dei fondatori dell’associazione culturale Camars che si propone di tutelare la zona archeologica venuta alla luce. «Una strada di campagna risalente al fine V° secolo inizio IV ° composta da ciottoli e terra che non fa parte dell’insediamento originario e non può essere tenuta in vista perché sarebbe danneggiata dalle piogge e che dopo aver documentato abbiamo coperto» fa sapere la dottoressa Poggesi che ha firmato il nulla osta per il proseguimento dei lavori dell’Interporto.
Tutte le istituzioni dicono che il parco archologico-naturalistico etrusco di Gonfienti è importante e si deve fare.
Il comune di Prato ha confermato lo stanziamento di 700mila euro per acquistare una parte di villa Niccolini (che sorge proprio nella zona degli scavi) in cui allestire un museo di 530metri quadri. L’assessore alla cultura di Prato Andrea Mazzoni fa sapere: «La volontà di tutelare e valorizzare come stiamo già facendo l’area etrusca c’è ed è ben chiara, per esempio, con le visite agli scavi delle scolaresche d’estate avviate da tempo. Stiamo verificando l’ipotesi di un parco archeologico etrusco ma soldi stanziati e data di inizio lavori al momento non ci sono».
Le varie associazioni (tra cui il «Il comitato per la città etrusca sul Bisenzio» , l’associazione Camars, le sezioni pratesi del Wwf , Italia Nostra, Legambiente, Arci, Rifondazione comunista, Giovani comunisti e Verdi, oltre a tanti privati cittadini) lanciano appelli al ministero dei Beni culturali per non abbassare la guardia e raccolgono firme e adesioni pensando anche ad un eventuale esposto alla Procura per verificare «se vi siano stati comportamenti illeciti».
Per il momento, in attesa di finanziamenti cospicui, i resti della grande città degli etruschi di Gonfienti, sempre più accerchiati dall’Interoporto, invasi in molte parti da erbacce e strepaglie sono «protetti» da tondini in ferro per recinzioni e nastri bianco-rossi tipo quelli dei cantieri. Facilmente accessibili da chiunque. In attesa di riprendere gli schiavi e di trovare per gli etruschi la definitiva sistemazione che meritano accanto all’Interoporto. Dieci anni dopo il loro ritorno alla luce e venticinque secoli dopo aver «anticipato» i telai e le filature di Prato.
Fonte: Corriere della Sera 06/03/2007
Autore: Iacopo Gori
Cronologia: Arch. Italica