Intervista De Caro, direttore dell’Iccrom: «Pochi fondi? Necessario scegliere. No alla logica del tutto o niente»
«Non ci sono più soldi per terminare i restauri? Questo purtroppo non mi sorprende, perché in tempi di crisi è sempre più difficile trovare denaro per i beni culturali. Ma certamente non ci si può permettere che quanto già restaurato finisca nel degrado. Bisogna vedere subito se quello che esiste può essere usato, in questo momento non ci si può permettere la logica del tutto o niente».
«Non ci sono più soldi per terminare i restauri? Questo purtroppo non mi sorprende, perché in tempi di crisi è sempre più difficile trovare denaro per i beni culturali. Ma certamente non ci si può permettere che quanto già restaurato finisca nel degrado. Bisogna vedere subito se quello che esiste può essere usato, in questo momento non ci si può permettere la logica del tutto o niente».
È questa la posizione sul futuro del Rione Terra di Pozzuoli di Stefano De Caro, direttore generale dell’Iccrom, l’International centre for the study of preservation and restoration of cultural property fondato nel 1959 sotto l’egida dell’Unesco, dopo aver fatto nei Beni Culturali del nostro Paese tutta la sua carriera di archeologo fino a diventare direttore generale delle Antichità.
Centoquindici milioni di euro per recuperare ll sito storico-archeologico di Pozzuoli sempre chiuso al pubblico dove la cattedrale, appena restaurata con una spesa di dieci milioni di euro è minacciata dalle infiltrazioni…
«I fermi effettivamente sono un problema. I cantieri dovrebbero chiudere e poi i siti restaurati dovrebbero entrare immediatamente in un circuito di valorizzazione. Ma questo, purtroppo, è un problema che riguarda tutti i Campi Flegrei dove è sempre mancata una efficiente politica di gestione. La commissione nominata ha sempre lavorato a fasi alterne e poi, adesso, ci si è messa la crisi economica che ha investito anche i beni culturali e che ci impone di riprogrammare le urgenze: vanno privilegiati quegli interventi che sono più funzionali alle esigenze del territorio, bisogna cercare di scegliere quello che serve di più».
E qual è la cosa più urgente da fare per il Rione Terra, adesso?
«Il primo passo è cominciare a vedere se quello che esiste può essere usato. Non utilizzare quello che è già stato restaurato è assolutamente dannoso, bisogna provvedere immediatamente alle gare d’appalto per i servizi. L’uso è la migliore cura perla manutenzione».
Quale futuro era stato pensato per il Rione Terra?
«Il restauro era nato soprattutto per il recupero urbanistico, civile e storico, prima che archeologico, del rione dopo il bradisismo. Si tratta di un sito di eccezionale importanza perla storia antica non solo dell’Italia ma di tutto il Mediterraneo. Una città antica sopravvissuta dall’epoca romana fino all’epoca medievale, e di cui, grazie al bradisismo, sono state trovate non solo le fondamenta ma l’intero Insediamento edilizio ed abitativo. Una sorta di Pompei dell’area flegrea ma con mille anni in più. Il restauro, dunque, è una delle grandi occasioni possibili del nostro territorio. All’epoca l’idea era quella di metterci anche alcuni istituti stranieri impegnati nell’archeologia e un museo con la storia della città proprio per fame un polo di attrazione culturale e turistico insieme».
Chi e come dovrebbe gestire il Rione Terra?
«Era una città di privati ed è diventata interamente pubblica. Adesso deve recuperare la sua funzionalità, affidandone ai privati non la proprietà ma certamente la gestione. D’altronde, realizzare un nuovo modello di collaborazione pubblico-privato era la sfida del recupero dei Campi Flegrei».
Fonte: Il Mattino, 15/02/2012