Furti e crolli nell’area archeologica. Un privato vuole investire, dallo Stato soltanto porte in faccia. Benvenuti nella «Terra dei fuochi» di Pompei. Centinaia di furti ogni anno – per i turisti una sorta di take away del souvenir fai da te – senza che nessuno si accorga di nulla.
È l’indifferenza a sovrintendere al patrimonio che il mondo ci invidia. La «mafia» dei custodi e una gara sul nuovo appalto di videosorveglianza dai contorni oscuri. Intimidazioni, crolli (più o meno «pilotati»), cani randagi e rifiuti tra vestigia archeologiche che dovrebbero essere il nostro orgoglio e che invece si sono trasformate nella nostra vergogna. Storia, cultura, turismo. Tutto alle ortiche in una sorta di cupio dissolvi dell’anima e del cuore. E il paradosso di uno Stato che si permette il lusso di dire no a 20 milioni di investimento privati.
Ieri un nuovo crollo. L’ennesimo. Con reazioni contraddittorie. Perché a Pompei anche i crolli (o i furti) hanno un loro fixing politico. Una sorta di borsino mediatico dai diagrammi imperscrutabili. E così se il ministro di turno è un «amico» l’incidente passa sotto silenzio; se invece il ministro è «nemico», vai con la grancassa mediatica.
Ieri la soprintendenza speciale di Pompei, Ercolano e Stabia ha comunicato al Ministero dei Beni e della Attività Culturali e del Turismo (vezzosamente abbreviato in Mibact) di aver riscontrato un cedimento di una porzione di muro di una domus della Regio V dell’area archeologica di Pompei.
«Il cedimento, in base al primo sopralluogo, – spiegano i tecnici – riguarda un tratto di muro (di lunghezza pari a un 1,30 cm e di altezza pari a circa 1 m) di un ambiente all’interno di un’area interdetta al pubblico interessata da interventi di messa in sicurezza nell’ambito del “Grande Progetto Pompei“ (notare la grandeur del nome ndr) che saranno realizzati entro il 2015 (notare la perentoria sicurezza nell’indicazione della data ndr)».
Il vezzoso Mibact ha disposto una perizia tecnica da parte dell’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro (organismo per il quale, al momento, non è ancora stata varata alcuna vezzosa abbreviazione) che invierà questa mattina un gruppo di esperti, coordinati dal direttore dell’Istituto, per verificare la data e le cause tecniche del cedimento. Notizie fondamentali, non c’è che dire. Ma c’è una domanda a cui vorremmo tanto che qualcuno desse una risposta: come mai, in Italia, se c’è un’azienda che vuole investire 20 milioni per un’opera di restauro, la burocrazia arriva al punto di mettergli il bastone tra le ruote?
Pietro Salini, ad esempio, amministratore delegato di Salini Impregilo, ieri a margine della presentazione di risultati 2013 alla comunità finanziaria, ha confermato la sua apertura a destinare denaro per il recupero di Pompei: «La disponibilità c’è ancora tutta». A metà 2013, Salini si disse pronto a finanziare un progetto di recupero del sito campano con i circa 20 milioni che arrivavano da un rimborso legato alla realizzazione del termovalorizzatore di Acerra, opera in carico a Impregilo. Da allora però Salini non ha – a suo dire – ricevuto risposte soddisfacenti, e così i 20 milioni sono ancora lì. «Noi, essendo una società quotata non possiamo fare beneficenza – spiega Salini – ma in Italia le regole sono complicate in questo settore, l’intervento pubblico nel recupero dei beni artistici è sicuramente un tema aperto. Da parte mia conferma la disponibilità ad investire su Pompei». Si attende, gentilmente, un riscontro. Anche se le parole di Susanna Camusso non lasciano certo ben sperare per il futuro. Sentite infatti cosa dice la leader della Cgil, sulle recenti vicissitudini degli scavi di Pompei: «Lo straordinario patrimonio archeologico e culturale dell’Italia dovrebbe diventare rapidamente oggetto di un grande investimento pubblico».
Come dire: i privati stiano alla larga dai nostri capolavori, che a farli andare in malora ci pensa lo Stato.
Fonte: Il Giornale, 21 mar 2014