Con il tradizionale taglio del nastro del ministro Dario Franceschini, in un giorno di eclissi (per gli antichi annuncio di eventi particolari), si riapre a Pompei la Villa dei Misteri che conserva uno dei più grandi capolavori della pittura antica.
In realtà non è mai sta chiusa del tutto, eccetto gli ultimi tre mesi per le rifiniture e le pulizie, perché i restauri che hanno interessato tutti gli apparati decorativi, mosaici e pitture degli oltre 70 ambienti che la compongono sono stati eseguiti per lotti. Iniziati nel maggio 2013, costati circa 900 mila euro dei fondi ordinari della Soprintendenza, preceduti da approfondite indagini scientifiche, hanno coinvolto istituti universitari e di ricerca, chimici e fisici a supporto dei restauratori. Con particolare attenzione per gli affreschi del triclinio, la sala dei misteri dionisiaci che dà il nome alla Villa. Utilizzando anche tecniche d’avanguardia come il laser per la rimozione degli strati superficiali di cera dati in passato a protezione delle pitture. Per la prima volta su affreschi di così grande dimensione.
La Villa dei Misteri è un grande complesso suburbano, esterno alle mura della città, costruito da un nobile sannita. L’impianto architettonico risale al I sec. a. C. Diventata romana, subisce nel tempo molte trasformazioni, danneggiata dal terremoto del ’62, viene travolta insieme a Stabiae e Oplontis dall’eruzione del Vesuvio del 79 d. C.
La riscoperta avviene fra il 1909 e il 1910 con gli scavi privati guidati dall’imprenditore svizzero Item, proseguiti nel ’30 da Amedeo Maiuri, autore a tutt’oggi dello studio più completo sulla Villa. Pur essendo assicurata al demanio e fuori terra in massima parte, non è interamente in mano pubblica (ma si sta provvedendo), tanto che l’ingresso attuale non è quello antico che è ancora da scavare. Era una villa d’otium, affacciata sul mare, con un panorama splendido, un quartiere residenziale affrescato, come tutte le case di Pompei, ma in modo sontuoso. Come attesta la presenza del cinabro, il “minium” che veniva dall’Oriente, costosissimo, che dà la colorazione rosso pompeiano. Ma era anche una proprietà che doveva fruttare con una pars rustica molto estesa, con operai e schiavi impegnati nella produzione di vino. La grande dimora ad atrio, che aveva anche una funzione sociale, negli ultimi anni era di proprietà di una famiglia di Pompei, gli Istaicidi, ricordati per la loro avarizia in un graffito vergato sulla Basilica.
Le pitture più famose del mondo antico, sul cui significato sono stati versati fiumi d’inchiostro, si trovano nella sala del triclinio. E’ uno straordinario ciclo pittorico (melografia), che occupa la fascia mediana della sala al di sopra di uno zoccolo decorato che funge da podio. Al centro della parete di fondo la coppia divina Dioniso e Afrodite (o Arianna), sulle pareti laterali due temi interrelati, da un lato il mondo di Dioniso e l’iniziazione ai suoi misteri, dall’altro la preparazione della fanciulla alle nozze e una matrona che assiste pensosa alla scena. Le figure, ad altezza reale, si muovono come su un palco. Realizzate da un artista campano che si ispirava a modelli alessandrini di terzo stile.
“Non un Apelle”, precisa l’archeologo Antonio Varone, ma un ottimo esecutore che, come si faceva nelle botteghe del tempo, copiava da cartoni variando i particolari, non inventando mai.
“Le pitture del grande salone ora sono un unicum, ma forse prima non era così”, spiega Varone, che propone di leggerle in relazione alle varie età della donna, dalla fanciullezza all’età matura, oppure in una dimensione atemporale. E con un salto di secoli pensa a Fellini. Non una storia, ma l’esaltazione di momenti vissuti in una dimensione diacronica e sacrale. La protagonista vede come in un flashback la propria vita a cominciare dall’iniziazione ai riti dionisiaci. Occorre ricordare che “non siamo di fronte a una pittura, ma a un mondo, a una civiltà” di cui la Villa dei Misteri è la sintesi sublime.
In occasione della riapertura della Villa dei Misteri il soprintendente Massimo Osanna rende noto il programma di mostre. Da quella sui reperti organici come i melograni di Oplontis, a quella sulla seconda vita di Pompei dopo la scoperta nel 1748, all’altra sui calchi delle vittime dell’eruzione che sarà ospitata in una struttura provvisoria all’interno dell’arena dell’Anfiteatro.
E’ soprattutto un’occasione per fare il punto sullo stato dell’arte del Grande Progetto Pompei finanziato dall’Unione Europea con 105 milioni di euro da utilizzare entro il 31 dicembre. I “numeri” li dà il direttore generale del GPP generale Giovanni Nistri: 3 cantieri conclusi (Casa del Criptoportico, Casa Pareti Rosse, casa detta di Loreio Tiburtino), 13 cantieri attivi di cui 12 che concluderanno i lavori entro il 2015, 9 gare aggiudicate, 7 gare in corso. Sono state bandite gare per 98 milioni di euro al lordo dei ribassi, aggiudicate per 64,6 milioni di euro, per una spesa effettiva rendicontata di 7 milioni di euro. Tra i progetti in corso più significativi, il generale Nistri ricorda la digitalizzazione dell’archivio della Soprintendenza e, importantissimo per la sicurezza, il contratto di video sorveglianza firmato il 4 marzo.
“Nell’ultimo anno abbiamo compiuto sforzi considerevoli”, dice il ministro che ricorda come gli ispettori dell’Unesco parlino di risultati “tangibili e significativi”. “Non esiste più il pericolo di esclusione di Pompei dai siti Unesco”, precisa. E prosegue orgoglioso di dire al mondo che “con Pompei l’Italia ha cambiato pagina. Stiamo rispettando la difficile tabella di marcia dettata dall’Unione Europea”. Anche se in un luogo come questo “i lavori saranno perenni”. Ma avendo dato prova di avere lavorato bene si potranno fare nuove richieste di risorse all’Europa. E ha ricordato l’aumento di 200 mila visitatori rispetto all’anno precedente e la disponibilità di 85 persone in più nel personale.
Grazie all’introduzione dell’Art Bonus, all’orizzonte ci sono sponsor privati? chiede qualcuno. Non essendoci ancora niente di definitivo, il ministro preferisce non dire nulla pur essendo sicuro che arriveranno presto. “Ma –precisa – le risorse private possono integrare ma non sostituire quelle pubbliche”.
Di strettissima attualità il pericolo terrorismo. Pur non essendoci un allarme specifico, Franceschini ritiene che la comunità internazionale debba pensare a forme di protezione dei luoghi d’arte in tutto il mondo.
Autore: Laura Gigliotti
Fonte: http://www.quotidianoarte.it, 23 mar 2015