E’ stato riaperto al pubblico il Lupanare (VII, 12, 18), uno degli edifici pompeiani più conosciuti, oggetto del primo vero intervento di restauro complessivo, durato circa un anno, che ha interessato le strutture architettoniche in una prima fase, e, successivamente, gli apparati decorativi. Il restauro è stato realizzato dalla Soprintendenza archeologica di Pompei con fondi erogati dalla Compagnia di San Paolo di Torino.
Il Lupanare, da lupa che in latino significa prostituta, era il più importante dei numerosi bordelli di Pompei, l’unico costruito con questa precisa finalità. Gli altri erano infatti di una sola stanzetta, spesso ricavata al piano superiore di una bottega.
Il Lupanare è un piccolo edificio ubicato all’incrocio di due strade secondarie: esso è costituito da un piano terra ed un primo piano collegati da una stretta rampa di scale. Era destinato, al piano terra, alla frequentazione di schiavi o delle classi più modeste e ciò si risente nella povertà della costruzione anche se il poco spazio è organizzato con grande razionalità. Il piano terra presenta due ingressi, un corridoio di disimpegno e cinque stanzette con letto e capezzale in muratura, chiuse da porte di legno, mentre sul fondo è ubicato una latrina. I letti in muratura venivano coperti da un materasso. Alle pareti sono visibili quadretti dipinti, raffiguranti diverse posizioni erotiche.
Al piano superiore si accede da un ingresso indipendente ed attraverso una scala che termina su un balcone pensile si accede alle diverse stanze. Queste, più ampie e con maggiore decoro erano riservate ad una clientela di rango più elevato.
La costruzione dell’edificio risale agli ultimi periodi della città: in una cella l’intonaco fresco ha catturato l’impronta di una moneta del 72 d.C.
Nell’edificio è stato installato un sistema con sensori a raggi infrarossi per il rilevamento delle persone. Le apparecchiature fanno parte del progetto di monitoraggio: quello delle superfici affrescate e quello per l’afflusso dei visitatori. Il primo consente di eseguire una serie di indagini utili alla valutazione dello stato di degrado degli affreschi e delle cause che lo determinano, attraverso sensori che rilevano la temperatura e l’umidità dell’ambiente, della parete e della superficie affrescata, oltre alla percentuale di anidride carbonica all’interno dell’ambiente stesso. I sensori inviano in continuo via radio i dati ad una centralina, che, una volta impostato un campo di valori da rispettare, fa scattare un segnale di allarme.
Il sistema monitoraggio dell’afflusso dei visitatori (anch’esso elemento di stress per i monumenti) è invece composto da due cellule ad infrarossi, posizionate all’ingresso ed all’uscita dell’ambiente, che, superato il numero massimo prestabilito di 10 persone a volta, emettono un segnale di allarme.
Fonte: MiBAC – Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Cronologia: Arch. Romana