Hanno avuto inizio i lavori per il recupero della più antica conceria del mondo, negli scavi di Pompei, quasi alla fine della via Stabiana.
In pratica, gli specialisti del Centro Jean Berard di Napoli, coordinati dal direttore, l’archeologo Jean-Pierre Brun, nella parentesi di bel tempo tra una pioggia torrenziale e l’altra hanno aperto il cantiere per recuperare una struttura senza eguali per valenza scientifica e storica.
La fabbrica, una conceria dove si lavoravano le pelli che arrivavano dall’entroterra campano, in prevalenza dall’Irpinia, venne impiantata nel corso I secolo dopo Cristo in un’area situata alla periferia sud della città, prossima a una delle più importanti porte d’accesso a Pompei: quella che indirizzava alla vicina Stabiae.
L’opificio venne scoperto nel 1873 e interamente scavato negli anni ’50 del secolo scorso, durante il periodo in cui fu soprintendente don Amedeo Maiuri.
Una delle caratteristiche dell’edificio, che tuttavia non era nuova a Pompei, è data dalla divisione degli ambienti che accoglievano sia l’abitazione del proprietario sia i locali per la lavorazione delle pelli.
Il portico era infatti diviso in scompartimenti, separati da tramezzi nella cui muratura era contenuta la condotta che portava l’acqua alle giare.
Nell’area retrostante il portico si trovano quindici vasche circolari, in muratura, intonacate con calcestruzzo di buona fattura; dodici di esse venivano usate per la concia vegetale (si utilizzavano il legname e le foglie di castagno o di quercia) di pelli grandi, e tre per quella delle pelli piccole in cui si impiegava l’allume di rocca.
Numerose anfore piene di quel minerale, provenienti dalle isole Eolie, sono state difatti rinvenute in un primo intervento di scavo.
Sotto il portico centrale della casa si sviluppava la prima fase del lavoro: l’animale veniva scuoiato e la pelle immersa nei tini contenenti tannino.
Quando l’intero processo di concia era terminato, le pelli venivano stese ad asciugare su uno stenditoio.
«Il dato importante – sottolinea Jean-Pierre Brun – oltre al fatto che quasi tutta l’insula era occupata da concerie, è che la conceria che stiamo recuperando era stata impiantata su una officina dello stesso tipo risalente alla I metà del primo secolo dopo Cristo».
Questo significa che quella lavorazione, qualche anno prima dell’eruzione, aveva avuto un grosso sviluppo industriale.
Se i calzolai, come rivela Marziale, facevano denari a palate preparando stivaletti alla moda e scarpe particolari per gli elegantoni, come non avrebbe potuto arricchirsi chi il cuoio e i pellami li preparava, magari senza impegnare grandi capitali?
E il proprietario di quella conceria aveva davvero accumulato sesterzi. Tanto che per mostrare agli amici e agli ospiti il suo nuovo status di arricchito aveva comprato e fatto posare sul pavimento del triclinio un mosaico con teschio e attrezzi da muratore, a simboleggiare la brevità della vita e la necessità di doversela godere.
Il recupero, che per la soprintendenza archeologica speciale di Napoli e Pompei è seguito dall’architetto Paola Rispoli, sarà condotto con il contributo dell’Unione Nazionale Industria Conciaria (Unic), con la quale la Soprintendenza ha sottoscritto una convenzione.
L’intervento in atto consentirà di coprire le stanze delle vasche e delle arre con i dolii e il bancone, oltre a restaurare le vasche e il triclinio estivo. Questa prima tranche di lavori deve essere completata per l’estate 2009.
«Al termine del restauro – sottolinea l’archeologo francese – però, avremo recuperato e reso fruibile ai visitatori di Pompei e agli studiosi uno spaccato di vita e di lavoro non solo risalente a 2000 anni fa ma unico nel suo genere».
Fonte: Il Mattino 04/01/2009
Autore: Carlo Avvisati
Cronologia: Arch. Romana