Prosegue il progetto di musealizzazione diffusa agli scavi di Pompei, già avviata lo scorso aprile con positivo riscontro del pubblico, con la riproposizione degli arredi dei cubicola (stanze da letto) della Villa Imperiale. Questa volta il progetto si estende alla Fullonica di Stephanus (l’antica lavanderia) con il riallestimento della cucina sul modello di quello adottato un secolo prima dall’allora Soprintendente Vittorio Spinazzola e ben testimoniato dalla documentazione fotografica d’archivio. E alla Palestra grande dove trovano esposizione permanente i reperti organici, già prima nella mostra “Mito e Natura”, da poco conclusasi e qui integrati da una ulteriore sezione di reperti naturalistici provenienti da Moregine.
L’ALLESTIMENTO DELLA FULLONICA DI STEPHANUS
L’attuale allestimento della Fullonica di Stephanus fa parte del progetto di valorizzazione del sito di Pompei inteso come museo diffuso, con spazi dislocati in diversi punti della città antica dedicati a tematiche specifiche. Ne sono esempio la Villa Imperiale con il riallestimento degli ambienti domestici del triclinio e della stanza da letto, e il tempio di Iside dove sono ripercorsi i culti egizi.
La nuova sistemazione della Fullonica, come ben testimoniato da una foto d’epoca del 1916, riprende fedelmente l’originale allestimento voluto da Vittorio Spinazzola, che scavò la struttura nel 1912. L’allestimento di inizio novecento rispondeva a un criterio didattico, molto moderno per l’epoca, di riproposizione degli spazi al fine di condurre il visitatore a percepire quella che era la vita quotidiana della città antica. Si poteva difatti comprendere il funzionamento e l’organizzazione di una cucina del I sec. d. C. , con la griglia in ferro per la carne ancora appesa alla parete e il vasellame necessario per la preparazione e la cottura degli alimenti disposto sul bancone.
In questo ambiente Spinazzola scelse di ricollocare gli oggetti ritrovati in situ, come padelle, pentole e brocche in bronzo, coperchi e piccoli contenitori per gli ingredienti in terracotta. Una pentola è ancora sopra il suo treppiede e permette di osservare come nell’antica Pompei si cuoceva sia ponendo il recipiente direttamente tra le braci che per riverbero delle braci. All’interno di questo progetto di musealizzazione rientrava anche l’allestimento con tutti i relativi corredi del vicino Thermopolio di Asellina, tipico luogo di ristoro pompeiano.
Gli oggetti oggi esposti erano tutti conservati nel deposito di Casa Bacco, e sono stati identificati attraverso la rilettura delle cosiddette Librette Inventariali, importantissimi registri d’epoca che riportano il numero d’inventario dei pezzi e raccontano dove sono stati trovati, fornendo anche piccole descrizioni.
I reperti sono stati opportunamente protetti da una struttura in cristallo temprato stratificato da 13,52 mm, con particolari accorgimenti di sicurezza a tutela del visitatore nel caso di accidentale rottura, e con un sistema di scarico dei pesi a terra. La struttura è realizzata nell’assoluto rispetto del contesto archeologico e soprattutto non sigilla l’ambiente permettendo il ricambio d’aria e evitando così la formazione di micro-climi dannosi per la conservazione dei reperti archeologici
LA FULLONICA
La Fullonica di Stephanus venne portata in luce tra il 1912 e il 1914 nel corso degli scavi diretti da Vittorio Spinazzola lungo via dell’Abbondanza. E’ uno dei più importanti e completi laboratori per il lavaggio e il trattamento dei tessuti scoperti a Pompei. Era dotata di grandi vasche in muratura per il risciacquo, alimentate da un flusso d’acqua ininterrotto; di bacini in pietra per la tintura, per il lavaggio e la smacchiatura con l’utilizzo di particolari tipi di argilla o di orina; di terrazze al piano superiore adibite all’asciugatura e ai trattamenti delle stoffe, e di una pressa (il torcular) con cui il tessuto veniva stirato e reso brillante. Gli ambienti in cui è articolata la fullonica derivano in parte da una precedente abitazione, una casa ad atrio e peristilio, che fu ristrutturata dopo l’eruzione del 62 d.C., cambiando la destinazione d’uso di locali tradizionali per un’abitazione, come l’atrio, la sala di soggiorno (oecus) o il triclinio, trasformando l’impluvium dell’atrio in una vasca dai bordi alti e costruendo gli specifici ambienti del laboratorio con le vasche nel settore alle spalle del giardino.
L’edificio è stato interessato tra il 2014 e il 2015 da lavori di restauro sia strutturale , sia degli apaprati decorativi, finanziato con il Grande progetto Pompei.
LA PALESTRA GRANDE DI POMPEI
LE SEZIONI DI REPERTI ORGANICI E NATURALISTICI
L’allestimento espositivo della Palestra grande si arricchisce di una nuova sezione di reperti organici e naturalistici. L’esposizione dei materiali carbonizzati (pani, semi, frutta secca, cereali, melagrane) ritrovati nell’area vesuviana a seguito dell’eruzione, è stata parte della mostra “Mito e natura. Dalla Grecia a Pompei”, allestita fino a metà giugno nell’Anfiteatro e oggi trova nuova collocazione nel braccio sud della Palestra grande. Queste testimonianze uniche, per la prima volta esposte al pubblico del sito di Pompei, consentono di comprendere l’uso che gli antichi facevano delle piante, soprattutto nel campo dell’alimentazione.
Nella nuova cornice espositiva è presente, inoltre, la sezione dedicata ai reperti naturalistici di Moregine, tra i quali alcuni materiali organici d’eccezione quali le tavolette cerate, un cesto in vimini, suole di sandali, una roncola.
I nuovi allestimenti sono in linea con la originale proposta di visita già riservata all’edificio della Palestra grande al momento della sua riapertura nel 2015. La Palestra difatti, dopo anni di chiusura (dal 2008) è stata restituita al pubblico, a seguito dei restauri, in una modalità di fruizione che consente di godere degli spazi del grande edificio com’era nel suo aspetto originario e al contempo di fruire della stessa quale area espositiva per allestimenti permanenti, oltre che temporanei. In particolare gli straordinari affreschi del complesso di Moregine, prima solo esibiti in mostre internazionali, hanno trovato nel portico meridionale la loro definitiva e prestigiosa collocazione, in un allestimento di grande impatto emozionale corredato da una suggestiva installazione sonora.
L’EDIFICIO DELLA PALESTRA
L’ampio edificio rettangolare, con portici su tre lati ed una piscina al centro, è di età augustea: forniva spazio verde per gli esercizi ginnici delle associazioni giovanili promosse dalla propaganda dell’imperatore, che qui era venerato in un ambiente posto al centro del portico Ovest. Lungo il porticato, un duplice filare di platani, delle cui radici sono stati eseguiti calchi, assicurava un’ulteriore zona d’ombra. I portali sul lato Est, danneggiati dal terremoto del 62 d.C., furono ricostruiti in opera laterizia. Al momento dell’eruzione il muro Nord giaceva abbattuto ed è stato di recente restaurato; dal lato meridionale si accede ad una latrina: per pulirla una canaletta vi portava acqua dalla piscina.
La Palestra era stata oggetto di un ampio restauro negli anni ’30, che aveva indotto alla ricostruzioni di alcune parti delle strutture. Le scelte progettuali moderne si sono orientate, invece, verso la fruizione attraverso linguaggi e materiali moderni degli spazi presenti.
Per l’allestimento del porticato Sud della palestra sono state utilizzate lastre di cristallo e di cor-ten a rivestimento delle pareti, disposte in maniera tale da riprodurre un esempio di modulo decorativo pittorico tripartito, che si alterna alle teche espositive contenenti gli affreschi originali. Pannelli di tessuto, che ricordano i velari degli antichi romani, sono posti tra le colonne del porticato per proteggere dalle radiazioni solari gli affreschi conservati nelle teche e al contempo creare un gioco di luci ed ombre di particolare suggestione. L’allestimento si completa con l’installazione sonora che accompagna il percorso di visita.
I lavori conclusi nel 2014 sono consistiti in interventi di “Restauro e adeguamento per allestimenti espositivi della Palestra grande” e sono seguiti ad un primo lotto di interventi di restauro architettonico e strutturale che aveva interessato tutto l’edificio.
IL SITO DI MOREGINE E I SUOI AFFRESCHI
Si tratta di uno splendido complesso ritrovato in località Moregine, a circa 600 metri a sud delle mura di Pompei, presso la foce del fiume Sarno e del relativo scalo commerciale. Il ritrovamento risale al 1959 in occasione della realizzazione dell’autostrada Napoli- Salerno. In questa prima fase di scavo venne alla luce l’edificio caratterizzato da un cortile porticato sul quale si affacciavano almeno cinque triclini (sale da pranzo), sontuosamente affrescati e terme ancora in costruzione.
La difficoltà dello scavo, a causa della presenza della falda freatica, aveva indotto già nel 1959 ad asportare le pitture.
3 i triclini indagati, i cui affreschi staccati sono oggi esposti nella Palestra Grande.
Il triclinio è composto da tre pareti dipinte in cui sono rappresentate le Muse, divinità ispiratrici del canto, che presiedevano ai diversi generi poetici, alle arti, alle scienze e a tutte le attività intellettuali e la figura di Apollo.
Il Triclinio B, con le rappresentazioni dei Dioscuri, (Castore e Polluce) su pareti decorate in colore nero.
Il Triclinio C, con la personificazione di divinità fluviale (Sarno) in esso raffigurato, su pareti rosse.
Le pitture in IV stile, attribuibili all’epoca Neroniana, erano opera delle stesse officine che decorarono anche la Casa dei Vettii.
Il complesso apparteneva alla famiglia puteolana dei Sulpicii che qui custodivano l’archivio contabile. La funzione dell’edificio era, molto probabilmente, quella di ospitare piccoli gruppi di avventori, forse membri di un collegium.
Lo scavo ripreso in occasione della costruzione della terza corsia dell’Autostrade Salerno – Reggio Calabria, ha permesso di riportare in luce, oltre alle strutture archeologiche, anche materiali di grande interesse quali tavolette cerate con contratti registrati, elementi architettonici e decorativi in legno perfettamente conservati, un tesoro di argenterie di eccezionale qualità. Di particolare interesse la modalità di rinvenimento del tesoro di argenterie: in una latrina fu ritrovata una gerla in vimini, che sembrava piena solo di terra dell’eruzione. Dalle radiografie si intravidero invece dei corpi metallici che un microscavo attentissimo ha consentito di portare alla luce facendo emergere pezzi d’argento; piatti, coppe di varia forma, un cucchiaino, due forme decorate a sbalzo con figurazioni d’animali.
In esposizione in vetrine del porticato anche alcuni materiali e manufatti provenienti dallo scavo.