Il Vesuvio continua ad eruttare problemi e polemiche su Pompei. A volte non meno ardenti e devastanti di lava e lapilli. L’ultimo caso ha riguardato la recente designazione del nuovo Soprintendente per i Beni Archeologici, il prof. Massimo Osanna, scelto tra i sei archeologi che hanno presentato domanda, tre provenienti dal mondo dell’Università, tre dalle Soprintendenze. Si annunciano ricorsi al TAR e alla Corte dei Conti. Ben 85 (su 114) componenti della Conferenza dei Dirigenti del MiBACT hanno preso carta e penna per contestare la decisione del Direttore Generale alle Antichità Luigi Malnati e del Ministro Massimo Bray, che ha dovuto rispondere anche a interrogazioni parlamentari.
Si rischia, dunque, che ancora una volta la logica del cavillo legale e del risparmio prevalga sul criterio della qualità scientifica, del curriculum e delle competenze. Intanto dal 1 gennaio Pompei è senza soprintendente (è il Direttore Generale ad avere l’interim).
Non è corretto entrare nel merito della valutazione che ha portato Malnati e, soprattutto, Bray alla scelta di Osanna (tra gli altri candidati ci sono stimati archeologi, con titoli scientifici adeguati, alcuni certamente in possesso di una conoscenza molto approfondita di Pompei), ma non può esserci alcun dubbio sulle elevate qualità scientifiche del professore dell’Università della Basilicata, autore di scavi importanti, direttore di un’apprezzata Scuola di Specializzazione in Archeologia, con numerose attività didattiche e scientifiche all’estero e una positiva esperienza come Soprintendente in Basilicata. Sembra sia stato proprio il profilo scientifico e internazionale di Osanna a farlo preferire, perché, come ha sottolineato il Ministro alla Camera a «Pompei non basta solo una competenza tecnica e una ordinaria esperienza amministrativa ma occorrono qualità speciali e un curriculum con esperienze diversificate, oltre che una particolare attenzione al mondo degli studi all’interno del nostro Paese e anche internazionale».
Mi sembra un criterio opportuno, per rilanciare l’internazionalizzazione di Pompei e una sua maggiore apertura a équipe di ricercatori italiani e stranieri. Ci aveva provato anni fa, con positivi risultati, Piero Guzzo, un ottimo soprintendente e studioso, ma poi l’apporto dei gruppi di ricerca si è andato progressivamente riducendo.
La scelta è molto positiva anche per favorire una maggiore osmosi tra Università e Soprintendenza, in un Paese nel quale si registra una scarsa mobilità e un’accanita difesa dei recinti di piccole patrie e di rendite di posizione. Pompei potrebbe essere un esempio ideale di creazione di ‘unità miste’ tra Soprintendenza e Università, nelle quali mettere in comune competenze, sensibilità, strumentazioni, laboratori. Pompei dovrebbe essere un enorme cantiere di studio, formazione, restauro, valorizzazione, un luogo di sperimentazione di nuove metodologie, tecniche e tecnologie, dalla ricerca alla fruizione.
Ma il Piano della Conoscenza, pronto da due anni, preliminare a qualsiasi intervento di restauro, non è ancora partito. I fondi europei ed italiani – ben 105 milioni – per il ‘Progetto Pompei’, vanno spesi entro il 2015 e, al momento, solo una piccola parte è stata impegnata (circa 7 milioni) e solo una decina di cantieri ha visto l’avvio. Non c’è più tempo da perdere.
La legge Valore Cultura che ha istituito la Soprintendenza di Pompei, autonoma rispetto a Napoli, è di agosto; ora finalmente c’è il nuovo soprintendente, mentre non sono ancora operativi il Direttore Generale, il suo vice e il loro staff. Anche quella vicenda è stata segnata da polemiche nella scelta tra un archeologo, un manager del mondo bancario o un esponente delle istituzioni (anche chi scrive era tra i candidati). La decisione finale ha privilegiato il Generale dei Carabinieri Giovanni Nistri, persona di alto profilo, già comandate del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale, e, come suo vice, Fabrizio Magani, storico dell’arte, Direttore Regionale in Abruzzo. Una scelta determinata dalla comprensibile volontà di contrastare le possibili infiltrazioni camorristiche nell’uso dei cospicui fondi, anche se bisogna ammettere che non dà certo un bel segnale a livello internazionale un Paese costretto a ‘militarizzare’ anche i beni culturali e la pianificazione territoriale (che sarà tra i compiti del DG) per garantire la legalità.
Pompei sembra, peraltro, l’immagine perfetta del nostro Paese. È in una condizione di degrado, pur essendo noto a livello mondiale e considerato uno dei siti archeologici più importanti. Ad ogni pioggia frana un pezzo, e si corre ai ripari con interventi tampone. È sempre in emergenza, si preferiscono i progetti per grandi opere, mentre servirebbe una strategia sistematica di messa in sicurezza e soprattutto di manutenzione ordinaria. Prevalgono le logiche localistiche, l’incompetenza, un sindacalismo che spesso si traduce solo in difesa di privilegi, i condizionamenti di varie lobby (dai famosi custodi ai palazzinari interessati alla cementificazione del territorio circostante, come dimostra il recente caso del centro commerciale costruito su un importante quartiere produttivo-artigianale extraurbano di età romana), mentre servirebbero competenze, efficienza, capacità di fare sistema, apertura ad orizzonti internazionali, pianificazione di un diverso modello di sviluppo del territorio flegreo.
Negli anni si sono tentate le strade più fantasiose, con manager, city manager, prefetti, esperti di protezione civile, commissari straordinari, che non hanno lasciato un buon ricordo (ha fatto scalpore lo spreco delle bottiglie di vino ‘Villa dei Misteri’ del commissario straordinario Marcello Fiori, ma i casi sono molto più numerosi e gravi), mentre servirebbero archeologi, tecnici e vari specialisti di alto profilo scientifico e con certificate capacità gestionali e manageriali, come accade in tutti i grandi musei e siti archeologici del mondo, dal Louvre al British Museum.
Il Ministro Bray, in questa sfida, si sta impegnando personalmente. Credo che convenga a tutti, a Pompei e al Paese, sostenere questi sforzi, superando le logiche di appartenenza e mettendo da parte le ambizioni personali, dando finalmente prova di saper lavorare insieme per un progetto comune. Gli occhi del mondo interi sono puntati su Pompei e l’Italia non può sbagliare un’altra volta.
Autore: Giuliano Volpe, Docente di Archeologia Università di Foggia, Componente del Consiglio Superiore per i Beni Culturali e Paesaggistici del MiBACT – giuliano.volpe@unifg.it
Fonte: ‘La Gazzetta del Mezzogiorno’, 6.2.2014