Quasi 600 tumuli funerari, quasi 800 tumuli con varie funzioni, una dozzina circa di resti di campi con elevato interesse archeologico sono stati scoperti con le nuove tecnologie nella foresta di Białowieża, un’antica e vergine distesa di boschi originari che si trova lungo il confine tra la Bielorussia e la Polonia, 70 chilometri a nord di Brėst. Essa rappresenta tutto ciò che resta dell’immensa foresta che migliaia di anni fa si estendeva su tutta l’Europa. Con droni e immagini satellitari – concluse, in alcuni casi, con dirette verifiche sul campo – gli archeologi polacchi hanno compiuto un’amplissima e preziosa ricerca, svolta in cinque anni. Ora è il momento dei bilanci. Che sono estremamente positivi.
“Grazie all’uso di metodi di ricerca innovativi, combinati con numerose analisi naturali, abbiamo ottenuto, nonostante il pessimismo iniziale, risultati sorprendenti” – ha dichiarato a PAP la principale coordinatrice del progetto, la dott.ssa Joanna Wawrzeniek dell’IA UKSW. Responsabile del progetto è stato il prof. Przemysław Urbańczyk.
Cosa è stato scoperto? 789 tumuli di varie funzioni, 577 tumuli funerari, 246 tumuli di carbone, ovvero luoghi in cui un tempo veniva prodotta la carbonella su larga scala, 19 complessi di antichi terreni agricoli, 30 trincee, 51 semi-rifugi e 17 cimiteri di guerra – ha calcolato la dottoressa Wawrzeniek. Tutti questi oggetti provengono da periodi diversi, dalla preistoria alla seconda guerra mondiale.
Per quanto riguarda i tumuli funerari confermati, secondo il dott. Wawrzenk, alcuni risalgono all’alto medioevo, ma la maggior parte al periodo dell’influenza romana (II-V secolo d.C.). Molti di loro sono stati scavati. È interessante notare che quelli del Medioevo nascondevano scheletri o sepolture di cremazione. Quelli del periodo antico erano invece privi di resti umani.
Gli scanner laser (LiDAR) e le immagini satellitari stanno rivoluzionando il campo archeologico allo stesso modo in cui il telescopio spaziale Hubble ha rivoluzionato l’astronomia. Presto anche la robotica e l’intelligenza artificiale diventeranno una parte essenziale del campo, trasformando l’archeologia in una disciplina del futuro.
Uno dei principali strumenti che trasformano l’archeologia è LiDAR (acronimo di Light Detection and Ranging). Lo strumento si basa su sensori laser che possono essere dispiegati dall’aria (in genere montati su elicotteri o droni), fornendo immagini 3D di rovine, anche quelle profondamente sepolte nella natura.
La sua accuratezza nel rilevare le caratteristiche nascoste si è dimostrata efficace, in particolare nell’America centrale e nel sud-est asiatico, dove interi insediamenti Maya e Khmer sono emersi dalla verde barriera tropicale.
Nella regione di Petén in Guatemala sono stati scoperti oltre 60.000 complessi abitativi, palazzi, autostrade sopraelevate, terrazze, mura difensive, bastioni e fortezze, rendendolo il più grande progetto LiDAR realizzato finora (2.100 chilometri quadrati).
Quelle erano le mega reti urbane dei tempi preindustriali: incredibilmente complesse, altamente urbanizzate, densamente popolate e interconnesse. Insieme ai reperti archeologici, l’indagine ha anche rivelato gli scavi di migliaia di pozzi. I siti sono nuovi per la comunità archeologica, ma purtroppo non per i saccheggiatori che rappresentano la più grande minaccia per il patrimonio sudamericano.
Un altro strumento da non trascurare sono le immagini satellitari (spesso utilizzate in aree remote, estreme o di conflitto). L’imaging satellitare multispettrale consente agli archeologi di visualizzare diverse parti dello spettro elettromagnetico altrimenti invisibili a occhio nudo e non rilevabili con le tecniche fotografiche.
L’uso delle immagini aiuta a rilevare preziosi indicatori dell’attività umana passata da segnali termici e chimici a sottili cambiamenti nella crescita della vegetazione che potrebbero indicare la presenza di strutture sepolte. Migliaia di antichi insediamenti sono stati documentati analizzando immagini satellitari prese da oltre 600 km dalla superficie terrestre (soprattutto in Egitto e Sud America).
Possiamo aspettarci nei prossimi anni il lancio di un satellite appositamente progettato per uso archeologico, che aiuterebbe a monitorare le aree a rischio e ad accelerare esponenzialmente il processo di scoperta di antichi resti.
Eppure l’aspetto principale dell’archeologia è capire come le persone vivevano in tempi e luoghi specifici, capire il passato è anche la chiave per prevedere il futuro che abbiamo di fronte come specie. Tuttavia, ciò che possiamo aspettarci, è l’evoluzione dei processi di scavo poiché l’archeologia mira a diventare più sostenibile.
Presto, i siti praticamente da scartare diventeranno nuove opportunità di scoperta.
Invece di rimuovere accuratamente uno strato alla volta per documentare e analizzare i siti nel corso degli anni, l’uso di scanner consentirà virtualmente di scavare i siti in poche ore, a distanza, connessi, senza intaccare lo stato dei resti archeologici o dell’ecosistema che li costudisce.
Fonte: www.stilearte.it, 11 ott 2022