Nel Comune di Pietranico (Pe), allo stato attuale delle ricerche, troviamo la maggiore concentrazione di palmenti scavati nella roccia presenti nella regione. Alcuni di questi complessi di pigiatura, oggi all’aperto, furono anticamente recintati da mura e coperti da un tetto.
Dall’esame del catasto onciario di Pietranico del 1748 appare subito evidente la grande quantità di fondi destinati a vigneto: quasi ogni famiglia possedeva una vigna, pur piccola, per i propri consumi.
Le località menzionate, che solo in minima percentuale riscontriamo sulle carte dell’I.G.M., sono circa trenta, ma la maggior parte delle vigne figura in una vasta zona denominata Caprera. In numerosi casi al toponimo “Caprera” ne viene aggiunto un altro per specificare meglio l’ubicazione del fondo agricolo: la vasca, le macchie, la canale, S. Giusta, le scale, lo sportello, preta santa. Oltre al toponimo “vasca”, piuttosto ricorrente, nel catasto troviamo in tre casi un chiaro riferimento al rudimentale impianto di pigiatura.
Alcuni autori, per vasche del tutto simili a quelle presenti nella nostra regione, non esitano a collocare la loro origine in epoche remote giungendo perfino alla preistoria.
Gli unici dati certi sui quali noi possiamo contare per datare le nostre vasche sono i riferimenti presenti nel catasto onciario e la data 1687 incisa su una delle vasche. Non escludiamo, comunque, una loro maggiore antichità che potremmo far risalire alla ripresa dell’agricoltura avvenuta nel medioevo grazie anche a condizioni climatiche particolarmente favorevoli. Datare una semplice pietra scavata è estremamente difficile e gli eventuali reperti rinvenuti al suo interno o nelle immediate vicinanze sono poco indicativi. L’unica indagine sicura è quella che studia il territorio nelle sue vicende storiche e climatiche.
Da una sommaria indagine condotta in alcune regioni con tradizione vinicola si è potuto costatare che l’uso di realizzare delle vasche di pigiatura all’aperto in prossimità delle vigne era piuttosto frequente. Retaggio della colonizzazione greca dell’Italia meridionale, sono particolarmente diffuse in Calabria, Puglia, Sicilia e Campania, ma le troviamo anche in Toscana e sicuramente in altre regioni italiane. Al di fuori dell’Italia sembra particolarmente ricca la regione francese dell’Ardèche.
In Abruzzo sono presenti, nel comune di Pietranico, in provincia di Pescara, in alcune località del Chietino (Pennapiedimonte, Lama dei Peligni, Palena) e del Teramano (Fano Adriano). Per la provincia dell’Aquila il De Nino ne segnalò la presenza a Ripa di Fagnano ed a San Demetrio dei Vestini, sempre nella provincia dell’Aquila. Abbiamo altri ritrovamenti nell’agro di Ofena, zona particolarmente vocata alla coltura della vite; inoltre negli scavi archeologici condotti nel territorio di Molina Aterno (Aq), si sono rinvenuti vasche di pigiatura e strutture appartenenti ad un torchio a trave.
Rimanendo sempre nella regione abruzzese troviamo particolarmente interessanti le notizie su antiche vasche di pigiatura, contenute negli statuti della città di L’Aquila e riportate dal Lopez in un suo interessante saggio. Ogni vasca di pigiatura era munita di un sistema di torchiatura delle vinacce realizzato tramite un torchio a trave.
Il torchio a trave ha una origine molto antica e ne troviamo delle precise descrizioni sia in Plinio che in Catone. Plinio evidenzia il fatto che tale tipo di torchio è particolarmente adatto alla spremitura di grandi quantità di uva.
E’ interessante riportare la descrizione di un torchio a trave fatta da Plinio:
Nei torchi ha importanza la lunghezza, non lo spessore. I torchi grandi premono meglio. Gli antichi li facevano abbassare con funi, cinghie di cuoio e leve. Negli ultimi 100 anni si sono inventati i torchi greci, con un albero centrale scanalato a spirale; a questo albero alcuni fissano un blocco di pietra, altri invece una cassa piena di pietre che si solleva insieme con l’albero: è questa la soluzione più apprezzata.
Probabilmente, almeno nella fase iniziale, in questo tipo di torchiatura le vinacce erano contenute in un sacco e, inoltre, per distribuire meglio la forza premente, nel punto in cui il palo toccava il materiale da spremere erano fissate delle robuste tavole di legno in modo da formare una gabbia di contenimento delle vinacce. Successivamente sarà realizzato il cilindro a listelli che con alcune modifiche verrà applicato ai torchi più moderni.
Il principio di funzionamento del torchio a trave è quello di una leva di secondo genere, il cui fulcro è l’incastro nel quale si inserisce la “testa” del palo, la forza resistente corrisponde alle vinacce, collocate vicino al fulcro e, infine, la potenza è la vite senza fine applicata all’estremità, o il sistema di taglie dell’argano. La platea della vasca era realizzata con una leggera pendenza, in modo che il liquido della spremitura potesse defluire, tramite un condotto, in una vasca più piccola, dentro la quale veniva raccolto.
L’incastro della trave nella roccia delle vasche censite era realizzato in modo molto rudimentale, semplicemente inserendo la sua estremità nell’incavo. Nei torchi a trave più grandi, che troviamo in molti casali della montagna abruzzese, il fulcro veniva perfezionato tramite un perno passante che ancorava la trave alla parete di sostegno e diveniva nello stesso tempo il suo asse di rotazione.
La vite senza fine veniva collegata ad una grossa pietra; la rotazione provocava l’abbassamento della trave e l’aumento di pressione sulle vinacce. Continuando con l’azione di avvitamento si arrivava al massimo della pressione raggiungibile quando la pietra di base si sollevava.
Gli impianti in grotta della Valle di Vusci.
Esaminando alcuni toponimi della Valle di Vusci, nei comuni di Carapelle e Castelvecchio Calvisio, come Colle delle Vigne, Madonna delle Vigne e Strada delle Vigne, questi ci forniscono una chiara testimonianza di un tipo di coltura di cui oggi non rimane traccia nella valle se non nelle strutture fisse per la pigiatura dell’uva, nascoste nel buio delle grotte.
Il numero di impianti di pigiatura presente nei casini e nelle grotte isolate, le dimensioni delle vasche e dei torchi a trave lasciano supporre una notevole produzione di uva. L’orientamento particolarmente felice della valle e la quota che va dai 450 ai 700 metri devono certamente aver favorito questo tipo di coltivazione che ancor oggi produce vini rinomati sulle assolate pendici della vicina conca di Ofena.
L’edificio più interessante ed imponente della valle, giustamente chiamato “palazzo” o “palazzotto”, figura in molte mappe demaniali dell’inizio del 1800 con il nome di “Palombara”. Ma lo troviamo già verso la fine del 1500 fra quei beni che la Baronia di Carapelle dava in affitto.
Un altro casale estremamente interessante, dotato di due impianti di pigiatura, è il casale Visioni, che reca inciso al disopra dell’ingresso la data 1733. Non sappiamo quando sia iniziata la coltivazione della vite nella valle, ma possiamo quanto meno risalire al 1692, visto che troviamo incisa tale data sulla colonna di un torchio a trave. E’ comunque lecito supporre che già da diversi secoli la si coltivasse.
I casini.
La tipologia costruttiva nettamente predominante è quella della casa di pendio. Ogni casino, anche il più piccolo, può contare su una grotta che si addentra più o meno profondamente nella montagna. A piano terra la parte in muratura, prevalentemente coperta da volte a botte, è quasi sempre molto più piccola di quella retrostante realizzata per scavo. In alcuni casi dalla grotta principale si accede ad altri ambienti laterali, dove troviamo i depositi per la paglia e per gli attrezzi agricoli e delle piccole stalle.
L’ambiente più grande è quello occupato dall’impianto di pigiatura per la presenza della trave del torchio che può raggiungere anche i sette-otto metri di lunghezza.
I piani superiori sono estremamente semplici. Uno degli ambienti ha sempre un piccolo camino con ai lati alcuni ripostigli a muro.
Le cornici delle porte e delle finestre, divelte quasi ovunque, sono sempre in pietra.
Le grotte.
La grotta rappresenta senza dubbio il nucleo originario di ogni insediamento della valle per la facilità di scavo di questi declivi e l’economicità nel realizzare degli ambienti coperti. In alcuni casi si è poi costruito nella parte antistante la grotta chiudendola ed alzando uno o più piani. In altri casi la grotta ha svolto la funzione di annesso agricolo di un vicino casino, o ha coperto da sola le esigenze del fondo.
Il suo ingresso è quasi sempre munito di stipiti e di architrave in pietra; non sono rari gli architravi realizzati in legno di quercia.
L’ingresso alla grotta può essere preceduto da un corridoio scoperto, limitato lateralmente da muri a secco. La fronte della grotta è spesso realizzata con pietre e malta per dare una maggiore stabilità alla zona d’accesso.
Superiormente alle zone di ingresso non è raro trovare piante di iris che hanno la precisa funzione, con il loro apparato radicale, di trattenere il terreno e di aumentare pertanto la stabilità e la resistenza all’erosione dagli agenti atmosferici della parte più fragile della grotta.
Gli impianti di pigiatura.
L’impianto di pigiatura e torchiatura era costituito da una vasca, da un pozzetto di raccolta del mosto, da una grossa trave di legno collegata ad una vite senza fine e da un contrappeso solidale con la vite.
Il principio di funzionamento del torchio a trave è quello di una leva di secondo genere, il cui fulcro veniva realizzato inserendo in un foro della parete la testa di un palo tenuto fermo da un perno passante che lo ancorava alla parete di sostegno e diveniva nello stesso tempo il suo asse di rotazione.
La trave passava inoltre fra due colonne in muratura che collegavano la parete esterna della vasca al soffitto: tale accorgimento era necessario per evitare spostamenti laterali della trave che per il notevole peso di questa, potevano rivelarsi pericolosi. La vite senza fine veniva inserita all’altra estremità della trave, terminante in genere con una forcella sulla quale si avvitava una piattabanda filettata, o con un foro passante. La rotazione provocava l’abbassamento della trave e l’aumento di pressione sulle vinacce.
Le vasche sono tutte perfettamente intonacate e realizzate in leggera pendenza verso il foro di scarico. In alcuni impianti, come nella grancia di S. Cristoforo, una intera stanza svolgeva la funzione di vasca di pigiatura.
Le cisterne
L’assoluta mancanza nella valle di sorgenti e corsi d’acqua, problema comune ai centri abitati di Carapelle C. e Castelvecchio C. che disponevano solamente di due pozzi, ha richiesto la costruzione di cisterne per la raccolta dell’acqua in ogni casino, grotta, o anche all’aperto ovunque vi fosse un fondo agricolo.
La costruzione della cisterna interna, o in molti casi il suo scavo, precede chiaramente la costruzione del casino. Ad una bocca molto stretta realizzata in muratura segue la cisterna che si allarga notevolmente con una capienza di diversi metri cubi di acqua. L’interno è in genere accuratamente intonacato per evitare la perdita dell’acqua raccolta.
Nelle cisterne realizzate nelle grotte è difficile capire dove si trovasse il bacino di raccolta dell’acqua, ma possiamo supporre che a monte della grotta si realizzassero delle canalette che confluivano nella cisterna. Anche in alcune cisterne esterne al casino, a volte di notevoli dimensioni, si può pensare al convogliamento delle acque dei piccoli fossi, che in occasione di grossi acquazzoni potevano riempirle.
Autore: Edoardo Micati
Fonte: Amici dell’Archeoclub di Pescara, 8 ottobre 2024