La Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna e l’Associazione Archeologica Pandora conducono dal 1991 delle campagne di ricerca archeologica nel sito della Piana di San Martino (Pianello Val Tidone, PC).
La campagna di scavo di quest’anno (8 agosto – 3 settembre 2015) si è concentrata sugli strati d’età altomedievale nel settore già indagato dalle campagne precedenti dove era stata individuata la capanna con materiali altomedievali. Le indagini, effettuate sotto la direzione scientifica della Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna, sono condotte sul campo dai volontari dell’Associazione Archeologica Pandora, tra cui l’Ispettore onorario per l’archeologia Elena Grossetti.
Gli scavi iniziati nel 1991 hanno immediatamente individuato materiali protostorici e resti di edifici e sepolture tardoantiche e perciò a partire dal 2000 le indagini sono diventate sistematiche ed estensive. Ciò ha consentito di definire due periodi di frequentazione del sito: una prima fase riconducibile all’epoca pre-protostorica, con testimonianze databili a tutta l’età del Bronzo e alla seconda età del Ferro, e una seconda fase iniziata in età tardoantica e durata per tutto il Medioevo.
Il sito della Piana di S. Martino è un insediamento complesso, ubicato su un pianoro difeso da ripidi pendii a circa 512 metri di altitudine s.l.m., in cui l’intervento umano ha completato con strutture lignee il naturale sistema di difesa, come documentano le numerose buche di palo ricavate nella roccia lungo tutto il perimetro dell’insediamento, rilevate nella campagna di ricognizione del 2012 e di cui è allo studio l’impianto e l’evoluzione.
Le campagne di scavo hanno portato in luce un sito pluristratificato, caratterizzato dalla presenza di notevoli strutture. Le prime testimonianze antropiche attestano un insediamento del Bronzo Finale che persiste fino all’età del Ferro. Le tracce di frequentazione cessano fino all’età tardo-antica quando il sito viene nuovamente occupato, sviluppandosi poi con continuità per tutto il medioevo e, limitatamente all’edificio di culto, fino al XVII secolo
È proprio in età tardoantica (V-VI sec. d.C.) che l’impianto si sviluppa come insediamento fortificato d’altura a cui possiamo ascrivere importanti strutture come una cisterna a due vani ricoperti d’intonaco.
Nel sito sono stati finora individuati un settore abitativo (di cui sono stati messi in luce due ambienti, un forno e una grande cisterna) e un’area religiosa con una necropoli e una chiesa aperta al culto fino ad epoca rinascimentale. Sono state documentate diverse fasi di frequentazione, tra cui una gota e una longobarda, quest’ultima attestata da materiali quali coltelli con codolo a ricciolo, elementi di cintura sagomati e frammenti di olle in ceramica comune con decorazione a onda.
Nel 2006, dagli strati da cui provengono i materiali di età longobarda, sono venuti in luce quattro pesi monetari bizantini di ottima fattura (molto ravvicinati, forse in origine conservati in un contenitore in materiale organico) a cui ne va aggiunto un altro rinvenuto nel terreno scivolato lungo il pendio del pianoro. Si tratta di un peso con lettere “N S” sormontate da croce greca (da 6 nomismata), uno con lettera “N” sormontata da un piccolo cerchio (da 1 nomisma), uno con numerale graffito “IB” (da ½ di nomisma), e uno con numerale graffito “S” (da 1/4 di nomisma).
È un ritrovamento di grande rilievo per quest’area perché rivela, con gli altri manufatti altomedievali rinvenuti, i contatti del sito con il mondo bizantino e longobardo. Inoltre, la corrispondenza del valore monetale presuppone un’ampia circolazione di denaro nel luogo del ritrovamento, il che fa pensare che possano essere stati affidati per la conservazione alla chiesa lì presente, come nel caso di S. Giusto di Canosa, dove il luogo di deposito ha assunto anche la funzione di centro di riscossione per il potere civile.
La campagna di scavo 2011 ha messo in luce una parete absidata della chiesa originariamente intitolata a San Giorgio, attorno alla quale erano disposte alcune tombe prive di corredo probabilmente appartenenti alla fase edilizia più antica della chiesa. Il contesto stratigrafico pare mettere in relazione le tombe con la fase longobarda del sito, attestata anche da una capanna costruita sulle spoglie di un edificio del periodo tardo-antico, che ha restituito diversi attrezzi ed armi, interi e frammentari, anche di età longobarda, tra cui un’ascia barbuta. Questa capanna è stata interpretata come il laboratorio di un fabbro vista la presenza di un crogiuolo, scorie e altri oggetti rotti e lacunosi, raccolti forse per essere usati per la fusione di nuovi attrezzi. L’area dell’apprestamento artigianale è stata oggetto di indagine nelle campagne di scavo 2013-2015 che hanno portato in luce altri strumenti da lavoro in ferro e un calice in vetro assai simili a quelli trovati nelle tombe longobarde di fine VI-inizio VII secolo, a Spilamberto e nella tomba di cavaliere di Borgo d’Ale.
Degno di segnalazione è anche il ritrovamento in situ di diversi laterizi con il segno a cappio, in uno strato di crollo con tracce d’incendio: i frammenti, decorati a crudo, riportano lo stesso motivo decorativo attestato in quelli della tomba 40 ritrovata a Travo S. Andrea e in quelli conservati a Bobbio.
L’attività congiunta della Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna e dei volontari dell’Associazione Archeologica Pandora sta garantendo la tutela e la conoscenza di un sito di grande rilevanza sia per la comprensione delle fasi tardo-antiche e altomedievali dell’area dell’attuale territorio piacentino che per i contatti con l’area ligure-bizantina e toscana.
Info:
Referente scientifico Roberta Conversi (archeologa Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna) roberta.conversi@beniculturali.it
www.archeobologna.beniculturali.it – associazionepandora@virgilio.it